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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 3 agosto 2022, n. 24095.

Massima redazionale

 

In tema di ripetizione di indebito opera il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore che, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi[1]. Il principio trova applicazione anche ove si faccia questione dell’obbligazione restitutoria dipendente dalla (asserita) nullità̀ di singole clausole contrattuali; invero, chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte e, al contempo, proponga nei confronti dell’accipiens l’azione di indebito oggettivo per la somma pagata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta[2]. Ciò̀ implica che, ove sia assunta l’esistenza del contratto scritto di conto corrente, l’attore in ripetizione, che alleghi (esattamente come nel caso in esame) la mancata valida pattuizione, in esso, dell’interesse debitore, sia onerato di dar prova dell’assenza della causa debendi attraverso la produzione in giudizio del documento contrattuale: è attraverso tale scritto, infatti, che il correntista dimostra la mancanza, nel contratto, della pattuizione degli interessi o la nullità̀ di essa (nullità̀ che, nel periodo anteriore all’entrata in vigore della 1. n. 154/1992, può̀ spesso dipendere dalla non sicura determinabilità̀ della prestazione di interessi alla stregua della genericità̀ dell’elemento estrinseco cui fa rinvio l’accordo negoziale).

Nella specie, la Corte territoriale, a fronte dell’allegazione dell’attore (che agiva in ripetizione di indebito) in ordine alla mera conclusione «verbale» dell’accordo contrattuale relativo al rapporto di conto corrente (si badi, sorto nel 1985), ha ritenuto di fare ricadere sulla banca, mera convenuta in giudizio (che, tuttavia, aveva allegato la piena legittimità degli addebiti contestati) il relativo onere di produrre la contraria pattuizione scritta del contratto e delle clausole contestate (in particolare, la pattuizione di interessi ultralegali richiedente la forma scritta, ex art. 1284 c.c., oltre che delle commissioni di massimo scoperto e delle spese). La giurisprudenza di legittimità, in un precedente del tutto conferente alla presente controversia[3], ha confermato una sentenza della Corte di Appello di Roma che, in controversia inerente a un’azione di ripetizione di indebito promossa da una società nei confronti di una banca, la quale aveva avanzato domanda riconvenzionale per la condanna della correntista al pagamento del saldo debitore del contratto di conto corrente, aveva riformato la decisione di primo grado (di rigetto per mancato assolvimento degli oneri probatori, in difetto di produzione del contratto di cui era stata allegata la nullità delle singole pattuizioni), ritenendo provata l’esistenza del rapporto di conto corrente tra le parti – pur non essendo stato allegato un documento scritto né dalla correntista né dalla banca, sulla considerazione che l’esistenza di detto rapporto costituiva circostanza non contestata, erano stati prodotti gli estratti conto e non era richiesta la forma scritta (data della stipulazione: 1986) –, rideterminando gli interessi passivi nella misura legale (avendo la stessa banca ammesso di avere praticato interessi ultralegali, invocando la correttezza del proprio operato), espunta la capitalizzazione trimestrale degli stessi interessi. La Corte rilevava che, quanto alla prova del contratto, il giudice d’appello avesse considerato la non contestazione dell’esistenza del contratto, gli estratti conto prodotti (dalla correntista a ciò onerata) e l’esito della consulenza tecnica espletata, mentre, quanto alla prova dell’illegittimità delle pattuizioni concernenti gli interessi passivi, aveva correttamente, ritenendo provata l’applicazione di interessi ultralegali e della capitalizzazione trimestrale, sulla scorta degli estratti conto, della CTU e delle ammissioni della stessa banca, in difetto di prova di un accordo scritto in merito all’applicazione di interessi ultralegali, ex art.1284 c.c., determinato gli interessi nella misura legale.

Nel caso oggetto di ricorso, quindi, la Corte territoriale ha, correttamente, tratto la prova della illegittimità̀ delle pattuizioni afferenti a interessi ultralegali (circostanza questa non contestata dalla banca, che ha dedotto di aver applicato legittimi tassi) dalla mancanza di documentazione circa la pattuizione per iscritto, nonché sulla scorta degli estratti conto e della CTU: pertanto, non essendo stato provato l’accordo scritto sul punto, correttamente la Corte di appello ha ritenuto non integrati i presupposti per l’applicazione delle disposizioni richiamate, che presuppongono, pur sempre, che tra le parti sia intercorso un accordo di cui, nello specifico, non è stata data la prova. Anche in relazione alla commissione di massimo scoperto, la Corte di appello ha desunto la prova della sua applicazione in base agli estratti conto prodotti e alla elaborazione eseguita dal CTU; lo stesso discorso vale per le altre voci contestate.

Quanto alle singole clausole, se è vero che anche nelle azioni di accertamento negativo l’onere della prova incombe sull’attore, tuttavia, quanto ai fatti negativi (nella specie, l’inesistenza di convenzione scritta di interessi ultralegali e di previsione contrattuale sufficientemente specifica di commissioni di massimo scoperto e spese, oltre che in punto di anatocismo) trova applicazione il principio di vicinanza o inerenza della prova, che ribalta l’onere sul convenuto.

 

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[1] Cfr. Cass. 27.11.2018, n. 30713; Cass. 23.10.2017, n. 24948.

[2] Cfr. Cass. 14.05.2012, n. 7501.

[3] Cfr. Cass. n. 24051/2019.

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