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Nota a ACF, 12 luglio 2022, n. 5626.

di Antonio Zurlo (Studio Legale Greco Gigante & Partners)

 

Nella specie, alcune delle operazioni contestate erano state effettuate nell’ambito della prestazione del servizio di consulenza, rispetto alle quali risultava consegnata alla parte ricorrente una scheda prodotto, asseritamente decettiva, con particolare riguardo al passaggio in cui si faceva riferimento al fatto che “Il prezzo di emissione delle Azioni rappresenta il limite inferiore al di sotto del quale, sulla piattaforma di negoziazione, non può scendere il prezzo di scambio delle Azioni”; nella scheda prodotto relativa all’acquisto più risalente era indicato sul punto che “Il prezzo di emissione delle Azioni costituisce il limite inferiore sotto il quale non può scendere il prezzo di scambio delle Azioni sulla succitata piattaforma di negoziazione”.

Il Collegio, con precipuo riferimento a una scheda prodotto relativa ad azioni dello stesso resistente, recante contenuti sostanzialmente analoghi a quelli attenzionati, ha già avuto modo di osservare “come la stessa scheda prodotto predisposta dal resistente si presenti obiettivamente assai poco chiara, e sotto certi aspetti ingannevole, in ordine al grado di liquidabilità delle azioni. Al riguardo, infatti, non può non notarsi come, pur doverosamente contestualizzandola, l’affermazione che «il prezzo di emissione delle Azioni costituisce il limite inferiore sotto il quale non può scendere il prezzo di scambio delle Azioni sulla […] piattaforma di negoziazione» sia alquanto ambigua, anche perché tale da ingenerare, almeno nell’investitore medio, l’idea che sia possibile, attraverso la negoziazione sulla piattaforma, sempre e comunque vendere le azioni al loro prezzo di emissione. Il che, evidentemente, non è[1]. In occasione di tale ultima pronuncia è stato, altresì, rilevato che “l’Intermediario ha in questo caso versato in atti una tabella riportante i dati di aste relative agli anni cui risalgono le operazioni qui contestate”, documento presente anche agli atti dell’odierno procedimento, osservando che, in ogni caso, “ove pure in quegli anni il prezzo di asta si sia effettivamente attestato, ad esito degli scambi, su valori coincidenti o, in ogni caso, non distanti dal prezzo di emissione, tale circostanza non può dirsi in sé idonea a far ritenere corretta l’informazione, di carattere preventivo, veicolata nel caso in esame, in quanto il contenuto della scheda prodotto era comunque tale da ingenerare in un investitore dal profilo della odierna ricorrente l’aspettativa che, attraverso la negoziazione sulla piattaforma, fosse sempre e comunque possibile liquidare le azioni al loro prezzo di emissione; il che, anche laddove verificatosi in concreto in taluni momenti, non poteva darsi sempre e comunque per scontato come l’assertività delle affermazioni contenute nella scheda induce erroneamente a credere”.

Per contro, con riguardo all’operazione di adesione all’aumento di capitale, la Banca resistente aveva allegato alla relativa scheda di adesione una versione della scheda prodotto contenente puntuali informazioni sui principali fattori di rischio dei titoli, anche con specifico riguardo al “Rischio di illiquidità connesso alle Azioni”; si precisava, più nello specifico, che: “[…] Gli investitori potrebbero trovarsi nella impossibilità di rivendere a terzi le proprie azioni, in quanto le richieste di vendita potrebbero non trovare contropartita, o nella difficoltà di vendere le medesime azioni in tempi ragionevolmente brevi e/o a prezzi in linea con le proprie aspettative e trovarsi conseguentemente nella condizione di dover accettare un prezzo inferiore a quello di sottoscrizione. […] Inoltre, non si può escludere che in futuro tale piattaforma possa venire meno con conseguente ulteriore impatto sulla liquidità del titolo”. Quanto all’adeguatezza di detto investimento, parte ricorrente lamentava la non corretta esecuzione della profilatura, con specifico riguardo ai questionari compilati in sede di stipula del contratto-quadro, in esito ai quali era stato attribuito un profilo di rischio “AGGRESSIVO”, sebbene, da tali questionari, potesse evincersi che l’investitore fosse pensionato, privo di specifiche conoscenze ed esperienze in ambito finanziario, con un reddito netto annuo “FINO A 30.000 EUR”, ma, al contempo, avente “UN’AMPIA CONOSCENZA DI STRUMENTI FINANZIARI”, con riferimento anche ai “PRINCIPALI ELEMENTI DI RISCHIO PER ES. AZIONARIO, VALUTARIO, EMITTENTE”, un obiettivo di investimento consistente nello “ACCRESCIMENTO SIGNIFICATIVO DEL CAPITALE, ESSENDO DISPOSTO A SOPPORTARE ANCHE FORTI OSCILLAZIONI O RIDUZIONI DI VALORE DELL’INVESTIMENTO (PROPENSIONE AL RISCHIO:ALTO)” e un orizzonte temporale di oltre sei anni.

È ictu oculi evidente come siffatte risultanze fossero incompatibili con il profilo dell’investitore e in conflitto con la pregressa composizione del portafoglio (consistente in obbligazioni). Ciò essendo, a giudizio del Collegio, è improponibile giustificare il profilo “aggressivo” attribuito, tenuto conto che l’Intermediario non possa acriticamente limitarsi a recepire le dichiarazioni dei clienti, essendo comunque tenuto ad apprezzarne in modo critico la relativa coerenza con i dati oggettivi dei quali ha evidenza e che (in questo caso) gli mostravano di trovarsi di fronte a un piccolo investitore, con un’operatività di tipo conservativo.

 

Qui la decisione.

[1] Cfr., ex multis, ACF, Decisioni n. 1857 del 25 settembre 2019, n. 3873 e 3874 del 16 giugno 2021 e, da ultimo, n. 5116 del 16 febbraio 2022.

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