Nota a Cass. Civ., Sez. III, 19 maggio 2022, n. 16221.
Massima redazionale
Nella specie, parte ricorrente lamentava che la Corte territoriale avrebbe ritenuto “la legge n. 108 del 1996 non applicabile agli interessi moratori, quando invece sarebbe ormai pacifico ed indiscusso che gli interessi di mora soggiacciono alla normativa alla normativa antiusura al pari degli interessi corrispettivi”. A giudizio della Terza Sezione Civile, dalla lettura della sentenza impugnata emerge esattamente il contrario; ritiene, invero, il giudice di seconde cure “che l’eventuale nullità della clausola negoziale relativa agli interessi di mora (in forza della sostenuta applicabilità anche a questi delle disposizioni di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., su cui l’appellante si è ampiamente diffusa e che anche da ultimo è stata affermata da ord. Cass. n. 27442/18) non possa in alcun modo comportare che l’utilizzatore non sia tenuto al pagamento di qualsiasi interesse, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione degli importi percepiti a titolo di corrispettivo del finanziamento. Escluso che la nullità della clausola relativa agli interessi di mora comporti la nullità dell’intero contratto (come del resto nemmeno preteso dall’attore, che ne vuole mantenere tutti gli altri effetti afferenti all’esecuzione, quali il pagamento dei canoni ed il riscatto del bene locato ad esaurimento del rapporto) la tesi attorea sembra far riferimento ad un’interpretazione estensiva dell’art. 1815 II com. c.c. (…)”.
Le riportate affermazioni si pongono senza soluzione di continuità con quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite[1], che, dirimendo il contrasto sussistente in ordine alla applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori e alle conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia, hanno chiarito che «Una volta che il giudice di merito abbia riscontrato positivamente l’usurarietà degli interessi moratori, il patto relativo è inefficace. In tale evenienza si applica la regola generale del risarcimento per il creditore di cui all’art. 1224 cod. civ., commisurato (non più alla misura preconcordata ed usuraria, ma) alla misura pattuita per gli interessi corrispettivi, come prevede la disposizione. Invero, tale conseguenza rinviene il suo fondamento causale nella considerazione secondo cui, caduta la clausola degli interessi moratori, resta un danno per il creditore insoddisfatto, donde l’applicazione della regola comune, secondo cui il danno da inadempimento di obbligazione pecuniaria viene automaticamente ristorato con la stessa misura degli interessi corrispettivi, già dovuti per il tempo dell’adempimento in relazione alla concessione ad altri della disponibilità del denaro. Ciò, in quanto la nullità della clausola sugli interessi moratori non porta con sé anche quella degli interessi corrispettivi: onde anche i moratori saranno dovuti in minor misura, in applicazione dell’art. 1224 c.c., sempre che quelli siano lecitamente convenuti».
In tale condivisibile prospettiva, non convincono le doglianze di parte ricorrente che si appuntano su una pretesa violazione degli artt. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c., tale da inferire la non debenza di alcuno interesse (corrispettivo e moratorio).
[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 18.09.2020, n. 19597.
Seguici sui social:
Info sull'autore