Nota a ABF, Collegio di Bologna, 16 marzo 2022, n. 4437.
di Donato Giovenzana
Il Collegio intende prendere le mosse dalla giurisprudenza ABF relativa alla frequente casistica di liti relative al periodo successivo al decesso di un correntista e alle istanze degli eredi (rectius: di uno dei coeredi), in merito alla liquidazione del saldo attivo o anche solo della propria quota di astratta spettanza.
Come ben noto, la prassi bancaria consolidatasi negli anni era nel senso di ritenere necessario l’accordo di tutti i chiamati all’eredità per richiedere il pagamento, oltre che dell’intero, anche di una quota del saldo, corrispondente, come di solito accadeva, alla quota astratta devoluta per legge o per testamento (nel caso del ricorso, trattasi di delazione testamentaria) al coerede. Alla base di questa prassi, certamente improntata a principi di prudenza, vi era anche una certa interpretazione dell’art. 727 c.c., laddove detta norma faceva riferimento alla non divisibilità dei crediti ereditari e alla loro comprensione in un negozio di divisione (il quale richiede, come noto, l’intervento di tutti i condividenti), prodromico alla distribuzione dei crediti.
Questa interpretazione, ai fini della valutazione del ricorso in vertenza, è stata superata da una recente decisione del Collegio di Coordinamento (decisione n. 27252/18) di cui d’appresso si riportano i passaggi di interesse:
“il Collegio ritiene di doversi discostare dall’indirizzo prevalente dei Collegi territoriali con riferimento all’esistenza di un litisconsorzio necessario tra i coeredi che intendano far valere il credito ereditato, poiché tale indirizzo contrasta con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24657/2007 e ancor più perché incompatibile con le più liberali conclusioni raggiunte dall’ordinanza n. 27417/2017, la quale, come visto sopra, ammette l’azione individuale del coerede anche in assenza della dimostrazione che l’azione stessa è promossa anche nell’interesse degli altri coeredi. Pure valuta il Collegio di doversi discostare dalla sopra più volte richiamata decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella parte in cui affermano che il preteso debitore che sia stato convenuto dal coerede ha la facoltà di chiedere “l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi […], se ed in quanto egli abbia interesse ad una pronuncia che faccia stato anche nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione”, atteso che, come sopra accennato, la pronuncia dell’ABF non può assumere il valore di cosa giudicata e, pertanto, il resistente non può avere per definizione alcun interesse ad eccepire la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei coeredi e la conseguente inammissibilità del ricorso. Ritiene infine il Collegio che l’esigenza di tutelare l’intermediario resistente da condotte abusive del coerede che promuova il ricorso senza coinvolgere gli altri coeredi trovi adeguato soddisfacimento nella circostanza che il pagamento che l’intermediario fa nelle mani del coerede ricorrente ha efficacia liberatoria anche nei confronti degli altri, essendo tale liberazione corollario necessario della legittimazione attiva spettante al singolo coerede (arg. ex art. 1105, comma 1, c.c.). In conclusione, questo Collegio formula il seguente principio di diritto: “Il singolo coerede è legittimato a far valere davanti all’ABF il credito del de cuius caduto in successione sia limitatamente alla propria quota, sia per l’intero, senza che l’intermediario resistente possa eccepire l’inammissibilità del ricorso deducendo la necessità del litisconsorzio né richiedere la chiamata in causa degli altri coeredi. Il pagamento compiuto dall’intermediario resistente a mani del coerede ricorrente avrà efficacia liberatoria anche nei confronti dei coeredi che non hanno agito, i quali potranno far valere le proprie ragioni solo nei confronti del medesimo ricorrente”.
Nel caso di cui al ricorso, in effetti, la prima decisione assunta dalla banca, di non liquidare la somma richiesta dalla ricorrente neppure per la sua astratta quota di spettanza, non ha alcun pregio e deve essere considerata non conforme a legge.
Ma il principio di non contraddizione impone di ritenere conforme a legge la seconda decisione della banca, ossia quella di liquidare al coerede della ricorrente quanto dallo stesso chiesto, quando anche ciò fosse superiore alla quota astratta di titolarità del medesimo. Se è vero, come è vero, che il coerede ha autonomamente, inaudita altera parte, il diritto di richiedere alla banca il pagamento dell’intero, quando anche fosse titolare di una minima quota del compendio ereditario, ha altresì il diritto di chiedere un minus, quando anche questo minus fosse maggiore della propria quota astratta.
In ragione di ciò, il Collegio ritiene esente da censure il contegno mostrato dalla banca (se non per la prima risposta fornita alla cliente, su cui però null’altro si può aggiungere, se non la mera ricognizione dell’illegittimità del rifiuto opposto), dovendo la ricorrente fare valere, presso l’Autorità Giudiziaria ordinaria e comunque presso altra sede, quelli che ritiene essere i propri diritti, nei confronti del coerede, non già della banca.
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