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Nota a App. L’Aquila 8 aprile 2020, n. 537.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

Le circostanze di fatto.

Il Tribunale di Teramo aveva rigettato la domanda originariamente formulata da un investitore, finalizzata alla dichiarazione di nullità del contratto sottoscritto, con la Banca convenuta, denominato “4YOU”. Nell’atto introduttivo, invero, veniva, altresì, chiesto l’annullamento per dolo del contratto de quo, nonché la sua risoluzione, ai sensi dell’art. 1453 c. c., con conseguente condanna dell’Istituto alla restituzione delle somme indebitamente percepite, oltre interessi, nonché al risarcimento del maggior danno, ex art. 1224 c.c.Il giudice di primo grado, nel suo pronunciamento, aveva ritenuto che: a) la mancata sottoscrizione del contratto, da parte della Banca, essendo stato il documento prodotto dalla parte, non potesse costituire motivo di nullità, dovendosi, per contro, trarre da tale ultima circostanza “la certezza che il cliente [avesse] manifestato l’intenzione di concludere il contratto”;b) non fosse stata fornita la prova, nel corso del giudizio, della lamentata circostanza che il contratto fosse stato concluso fuori sede e, quindi, in violazione di quanto previsto dall’art. 30 TUB; c)al momento della sottoscrizione, il contraente avesse dichiarato di aver ricevuto i quattro allegati (segnatamente, costituiti: dal documento sui rischi generali dell’investimento; dall’estratto delle condizioni concernenti la copertura assicurativa; dal prospetto informativo relativo all’offerta al pubblico di quote di fondi comuni di investimento; dal documento integrativo, che regola i termini e le condizioni del prestito obbligazionario); d) l’operazione finanziaria posta in essere dovesse ritenersi pienamente lecita, traducendosi in una forma di autofinanziamento e difettando, quindi, il carattere aleatorio e speculativo; e) non si potesse ravvisare alcuna violazione dell’art. 28 Reg. Consob sull’obbligo di acquisire notizie sull’esperienza del cliente – investitore in materia di strumenti finanziari, atteso che la normativa non imponesse alcun dovere in tal senso per la banca e l’obbligatorietà fosse unicamente riferibile all’eventuale rifiuto della parte di fornire le necessarie informazioni conoscitive; f) l’assenza del conflitto di interessi dovesse desumersi dalla sottoscrizione delle clausole contrattuali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1341 e 1342 c.c.; g) la chiarezza dei termini dell’operazione comportasse l’impossibilità di configurare l’annullamento (o la risoluzione, anche per aliud pro alio) del contratto.

Avverso tale pronunciamento proponeva appello l’investitore, riformulando, nella sostanza, i medesimi motivi posti a fondamento della domanda in primo grado. La Banca, costituendosi in giudizio, deduceva l’infondatezza del gravame e concludeva per il suo integrale rigetto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

 

Le ragioni della decisione.

La Corte territoriale giudica l’appello fondato. Nello specifico, in ossequio al principio della ragione più liquida, giudica meritevole di accoglimento la doglianza inerente alla nullità del contratto “4YOU” per mancanza di causa lecita.

A tal riguardo, il Collegio rileva come il contratto de quo prevedesse la concessione, in favore del sottoscrittore, di un finanziamento, al tasso annuo del 6,833%, avente durata di anni trenta, decorrenti della data di erogazione, da rimborsare mediante n. 358 rate mensili costanti, comprensive del capitale e degli interessi. L’importo così erogato sarebbe stato in parte destinato all’acquisto di strumenti finanziari e nell’ulteriore porzione sarebbe stato utilizzato per la sottoscrizione di quote di un fondo comune di investimento mobiliare, istituito da una società collegata all’Istituto convenuto da rapporti di gruppo. Tanto il primo quanto il secondo dei suddetti strumenti finanziari sarebbero stato costituiti in pegno, a favore della Banca, a garanzia dell’integrale rimborso di quanto dovuto, in forza del finanziamento sottoscritto. Alle scadenze prestabilite gli importi sarebbero stati addebitati sul conto corrente ordinario, acceso presso lo stesso Istituto.

A sostegno delle ragioni dell’esclusione della nullità si è, negli anni, argomentato essenzialmente che tale ipotesi patologica non possa che scientemente rappresentare una extrema ratio, consentita, in quanto tale, solo in presenza di un esplicito riferimento normativo. Nondimeno, in seno alla giurisprudenza di legittimità, gli orientamenti sono risultati ondivaghi. In esito a un intenso dibattito, si è stabilito, a partire dal 2005[1], che, in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. “nullità virtuale”), debba trovare conferma la tradizionale impostazione, per cui, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto sia suscettibile di determinarne la nullità e non anche la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale, per contro, può essere fonte di responsabilità.

I prefati principi, nella loro trasposizione nel campo dell’intermediazione finanziaria, hanno comportato che la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni (che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario)[2] possa dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, laddove siffatte violazioni siano avvenute nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione, destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (c.d. “contratto – quadro”, assimilabile, per taluni aspetti, all’archetipo codicistico del mandato). La medesima violazione può dar luogo, per contro, a responsabilità contrattuale (ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto), nel caso in cui si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento (o disinvestimento) compiute in esecuzione del contratto – quadro; in ogni caso, deve escludersi che, in mancanza di un’esplicita previsione normativa, la violazione dei summenzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, primo comma, c.c., la nullità del contratto – quadro e dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso[3]. In altri termini, agli obblighi informativi deve essere riconosciuta unicamente la finalità di garantire la piena conoscenza dell’operazione finanziaria e, quindi, dell’investimento, sicché, non riguardando aspetti essenziali del contratto (e, più segnatamente, “elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto”) alla loro violazione non potrà conseguire, in alcun modo, la nullità del rapporto[4].

All’interno di tale composita architettura è necessario apprezzare la meritevolezza degli interessi. In tal guisa, è stato recentemente stabilito[5] che, ai sensi del secondo comma dell’art. 1322 c.c., non integri un interesse meritevole di tutela, da parte dell’ordinamento, per contrasto con i principi generali ricavati dagli artt. 47 e 38 Cost. (circa la tutela del risparmio e l’incoraggiamento delle forme di previdenza, anche privata), quello perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali del cliente, da parte degli operatori professionali, mediante operazioni negoziali complesse di rischio e di unilaterale riattribuzione del proprio rischio d’impresa, in ordine alla gestione di fondi comuni comprendenti anche titoli di dubbia o problematica redditività nel proprio portafoglio, in capo a colui a cui il prodotto sia stato espressamente presentato come rispondente alle sue esigenze di previdenza complementare, quale piano pensionistico a profilo di rischio molto basso e con possibilità di disinvestimento senza oneri in qualunque momento; di talché, non è efficace, per l’ordinamento, il contratto atipico che consista nella concessione di un mutuo, di durata ragguardevole, all’investitore, destinato all’acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice e in un contestuale mandato alla Banca ad acquistare detti prodotti, anche in situazione di potenziale conflitto di interessi.

Le ragioni deponenti in tal senso, come sottolineato puntualmente dalla Corte abruzzese, sono molteplici:

  • la c.d. “passività dell’investitore”, dal momento che a quest’ultimo non è concesso influire in alcun modo sulle concrete modalità di gestione, che, per contro, sono demandate alla Banca fin dal momento della composizione dei fondi di investimento e, quindi, di determinazione del relativo rischio, con atto unilaterale del finanziatore, anche in potenziale conflitto di interessi[6].
  • L’illecito “in sé”, che non riguarda né il trasferimento del rischio dell’oscillazione del valore dei fondi, né, tantomeno, quello dell’insolvenza del cliente, bensì la commistione di essi e la finalizzazione dell’uno all’altro: combinazione che finisce con l’attribuire alla Banca, a fronte della convinzione di controparte di avere assunto ragionevoli prospettive di investimenti a fini di previdenza complementare, il vantaggio della garanzia patrimoniale generale del cliente, in ordine a quei titoli che essa stessa può avere individuato (specie se in conflitto di interessi e se in concreto destinati a esiti finanziari infausti o rovinosi).
  • La verifica della reale intenzione perseguita dall’Istituto di credito, mediante la sottoscrizione dei piani di finanziamento per cui è causa: far apparire come rispondente alle esigenze di previdenza complementare del contraente ciò che, in realtà, consiste nella concessione di un mutuo, preordinato all’acquisto da parte della Banca – mandataria di prodotti finanziari, riconducibili a soggetti del proprio stesso gruppo e, quindi, determinando una situazione di evidente conflitto di interessi.

Nella sua complessità, la questione si inserisce all’interno dell’ampio dibattito riguardante i limiti del potere normativo di eterointegrazione della volontà consacrata dalle parti in un atto negoziale. Questione che ha senz’altro vissuto una profonda evoluzione[7] rispetto al tempo delle summenzionate pronunce della Corte di Cassazione (del 2005 e del 2007) e che, consequenzialmente, richiede una ponderata rivisitazione. Difatti, la fattispecie posta a fondamento della pronunciamento delle Sezioni Unite, del 2007, era inerente a una vicenda sostanziale diversa rispetto a quella attuale, interessando l’opposizione proposta avverso un decreto ingiuntivo, per scopertura su conto corrente, nel quale andava a confluire una linea di credito per operazioni su titoli derivati (che, per loro definizione, rappresentano un titolo il cui prezzo è basato sul valore di mercato di un altro strumento finanziario, definito sottostante). In secondo luogo, pur riconoscendo la possibile incidenza di tali strumenti con il principio sancito all’art. 47 Cost., la cui finalità è quella “di incoraggiare il risparmio e garantirne la tutela”, il massimo consesso aggiungeva che “è evidente che così non è, perché non può ragionevolmente sostenersi che la suaccennata esigenza implichi necessariamente la scelta, da parte del legislatore, del mezzo di tutela consistente proprio nel prevedere la nullità dei contratti nelle situazioni in discorso, così travolgendo sia il discrimine tra regole di comportamento e regole di validità sia quello tra vizi genetici e vizi funzionali del contratto”. Da ultimo, la stessa sentenza de qua, pur menzionando l’art. 1325 c.c., operava un riferimento unicamente all’ipotesi dell’assenza dell’accordo, ritenendo “neppure i casi di nullità contemplati dal comma 2 dell’articolo da ultimo citato, però, sono invocabile nella situazione in esame. È vero che tra questi casi figura anche quello della mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325”.Infine, pur citando espressamente la Direttiva 2004/39/CE, sull’estensione della nullità alle ipotesi di violazione delle regole di comportamento contrattuale e precontrattuale, concludeva per il mancato recepimento da parte del legislatore della fonte normativa comunitaria, desumendo da tale circostanza un ulteriore profilo a sostegno della tesi contraria alla nullità del contratto.

A giudizio del Collegio, le argomentazioni maggiormente convincenti, a supporto della tesi sostenuta dalla giurisprudenza del 2015 (e, quindi, del sostanziale revirement sulla questione) possono essere racchiuse in due passaggi:

  • l’indispensabilità di una lettura del fenomeno di schemi contrattuali assimilabili al “4YOU” in un’ottica costituzionalmente garantita, alla luce dei precetti di cui agli artt. 2, 38 e 47 Cost., nonché adeguatrice della normativa comunitaria sopraccitata. In tal senso, punto di riferimento può essere rappresentato dalla necessitata salvaguardia della parte asseritamente debole, nelle disposizioni normative consumeristiche (per esempio, nel combinato disposto degli artt. 33 e 36 cod. cons., circa la codificazione di specifiche clausole connotate da una presunzione di vessatorietà, con conseguente onere della prova a carico del professionista e previsione, in difetto di adeguato assolvimento, della nullità della singola clausola).
  • Un “rinnovato” requisito della causa: occorre considerare l’ipotesi di una invalidità di uno schema contrattuale, per nullità della causa, secondo la previsione di cui all’art. 1343 c.c., per contrarietà della stessa all’ordine pubblico.

Ciò premesso, può agevolmente sostenersi che la causa si debba identificare nella ragione giustificativa del contratto, aprendo, al contempo, il panorama ordinamentale a una nuova (rectius, rinnovata) nozione di un ordine pubblico economico. Ne consegue l’immeritevolezza (proprio per contrarietà all’ordine pubblico economico) di quell’iniziativa di un soggetto economico in grado di poter negare la libertà di iniziativa degli altri, contraddicendo così tutta una serie di valori espressi dalla Carta Costituzionale.

Sul piano strettamente rimediale, si è, quindi, di fronte a nullità speciali e di protezione, nel duplice senso che il loro fondamento viene desunto da un complesso di valori e principi estranei al corpus codicistico e che, allo stesso tempo, producono effetti del tutto peculiari.

A fronte di quanto diffusamente argomentato, a giudizio della Corte d’Appello non emergono valide ragioni per addivenire all’inapplicabilità dei principi statuiti nel richiamato pronunciamento del 2015, in ordine alla meritevolezza degli interessi. Se, infatti, è circostanza veritiera quella per cui la fattispecie oggetto della decisione della Suprema Corte fosse incentrata su di un identico piano finanziario, ma sottoscritto con la convinzione, ingenerata nel cliente, di stipulare un piano pensionistico integrativo, a profilo di rischio molto basso e con possibilità di disinvestire in qualunque momento, senza alcun onere, risulta altrettanto fuor di dubbio che i dati fattuali maggiormente evidenziati afferiscono ad aspetti (quali: le conseguenze del recesso; la ripartizione del rischio; le situazioni di conflitto di interesse; la durata; la finalità di finanziamento dell’Istituto concedente) che costituiscono, senza dubbio, un tratto comune e peculiare dei piani finanziario cc.dd. “4YOU”, al punto da ritenere pienamente giustificata un’estensione applicativa del principio di diritto enunciato al caso oggetto del ricorso.

In senso avvalorativo, la più recente giurisprudenza di legittimità ha stabilito che “La composizione del piano finanziario “4You” posto in essere dalle parti, articolato in una serie di operazioni necessariamente interdipendenti, quali il finanziamento, l’acquisto di obbligazioni, la sottoscrizione di quota di un fondo di investimento, la costituzione in pegno delle obbligazioni e della quota, non risulta sussumibile nella fattispecie di mera operazione di finanziamento per operazioni relative a strumenti finanziari, sia pure compiute con la partecipazione del soggetto che ha concesso il finanziamento stesso. Il contratto in questione rivela uno squilibrio abnorme tra le controprestazioni in quanto mentre la banca acquista l’immediata disponibilità della somma erogata a mutuo da destinare ad investimenti finanziari senza vincoli di mandato e lucra gli interessi restitutori, il sottoscrittore maturerà solo alla scadenza del contratto il premio del proprio investimento e solo se questo risulterà attivo.[8].

Senza soluzione di continuità si è espressa anche la giurisprudenza di merito, lì dove ha evidenziato che “Il contratto atipico denominato “4YOU” [sia] un negozio in forza del quale la banca acquista immediatamente la disponibilità della somma erogata all’investitore a mutuo da destinare all’acquisto di prodotti finanziari con contestuale mandato senza vincoli di acquistare detti prodotti e lucra gli interessi restitutori mentre il sottoscrittore aratura, ma solo alla scadenza, il premio del proprio investimento purché questo risulti attivo. Detto contratto, poiché si pone in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 38 e 47 Cost., sulla tutela del risparmio e l’incentivo delle forme di previdenza anche privata, non meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., in quanto si fonda sullo sfruttamento, da parte degli operatori professionali, in potenziale conflitto di interessi con il cliente, delle preoccupazioni previdenziali di questi, mediante operazioni negoziali complesse di rischio e di unilaterale riattribuzione del proprio rischio d’impresa, in ordine alla gestione di fondi comuni, in capo all’investitore.[9].

In ossequio a quanto rassegnato, il contratto “4YOU”, sottoscritto dalle parti, deve essere dichiarato nullo. Alla declaratoria di nullità, consegue l’accoglimento della domanda di ripetizione di indebito riproposta anche in appello.

Non può, di contro, essere accolta la richiesta. di condanna della convenuta anche per la svalutazione monetaria: trattandosi di un debito di valuta, la prova del maggior danno da svalutazione monetaria risulta subordinata all’assolvimento di un precipuo onere probatorio e solo allegatorio che, tuttavia, nel caso di specie, non pare essere stato compiutamente assolto.


[1] Il riferimento è a Cass Civ., Sez. , 2005, n. 19024.

[2] Nella specie, l’art. 6. 1. n. 1/1991.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, con nota di T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite, in Giustizia Civile, fasc. 12, 2008, 2785. V. anche F. Greco, Intermediazione finanziaria: violazione di regole comportamentali e tutela secondo le Sezioni Unite, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 3, 2008, 556; A. Bove, Le violazioni delle regole di condotta degli intermediari finanziari al vaglio delle Sezioni unite., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 2, 2009, 143.

[4] Trattasi di riaffermare l’ontologica (e irriducibile) differenza intercorrente tra norme di comportamento, imposte ai soggetti contraenti, e norme di validità del contratto.

[5] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. VI, 30 settembre 2015, n. 19559, con nota di A. Ferretti, No al contratto atipico che sfrutti le esigenze previdenziali per investire in prodotti finanziari, in Diritto & Giustizia, fasc. 35, 2015, 4. V. anche A. Tucci, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 2, 2016, 141.

[6] È ininfluente la previsione della possibilità di “disinvestire in qualunque momento”, in quanto ciò si rivela un’evidente forzatura, attesa la rigidità e il carattere complessivo di una simile azione.

[7] Come testualmente riportato nella pronuncia annotata, “si è assistito a un progressivo, ma radicale, mutamento di prospettiva sicché, come sostenuto da autorevole dottrina che si è interessata alla questione, il compito della legge non è più quello di vietare ex ante un determinato regolamento contrattuale, ma di disapprovare soltanto quell’accordo che, in ragione delle modalità concrete con cui si è formato, non costituisce sufficiente espressione di libertà e autonomia di uno dei contraenti”.

[8] Cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 7 febbraio 2019, n. 3679, già commentata in questa Rivista, con nota di A. Zurlo, L’immeritevolezza del contratto “4YOU”, 17 febbraio 2019, https://www.dirittodelrisparmio.it/2019/02/17/limmeritevolezza-del-contratto-4you/. V. anche R. Bencini, Operazione finanziaria «4you»: il giudizio di meritevolezza, in Diritto & Giustizia, fasc. 26, 2019, 3.

[9] Cfr. App. Napoli, Sez. VII, 23 aprile 2019, n. 2221.