Nota a Trib. Macerata, 16 ottobre 2024, n. 858.
Massima redazionale
La domanda relativa alla dedotta vessatorietà della c.d. “clausola floor” apposta al contratto di mutuo in oggetto è infondata.
Preliminarmente, va rilevato che la clausola floor prevede un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti non possono scendere; detta clausola garantisce, in buona sostanza, il mutuante che gli interessi corrispettivi siano almeno pari al valore percentuale individuato dalla clausola stessa anche laddove il parametro di calcolo degli stessi, in genere variabile in base all’Euribor, sia inferiore al valore del tasso assunto dalla clausola floor. Lo scopo della banca è, quindi, quello di garantirsi in ogni caso un rendimento minimo in termini di interessi corrisposti dal mutuatario senza dover gravare il risparmiatore finanziato con uno spread eccessivamente penalizzante.
Opposta e speculare rispetto a quella floor è la clausola cap, che può essere definita come quella clausola che prevede un limite percentuale al di sopra del quale gli interessi dovuti non possono salire. Contrariamente alla precedente, tale clausola presenta una funzione garantistica e di salvaguardia per la parte mutuataria, assicurando che gli interessi corrispettivi non superino il valore percentuale individuato dalla clausola stessa, anche ove il parametro di calcolo degli interessi sia maggiore del valore del tasso assunto dalla clausola cap.
In presenza di entrambe le clausole il contratto si definisce collar, individuando un limite minimo ed un limite massimo di riferimento del tasso di interesse variabile. In questo caso gli interessi sono calmierati entro una percentuale massima a vantaggio del cliente, mettendolo al riparo da eventuali rialzi dei tassi d’interesse, ma contemporaneamente garantiscono all’istituto di credito una percentuale minima di interessi, tutelandola da un eventuale andamento al ribasso dei tassi Euribor.
Ebbene, non può affermarsi che esista nel nostro ordinamento un obbligo in capo agli istituti di credito di compensare obbligatoriamente una clausola floor con una clausola cap, nè, viceversa, di compensare una clausola cap con una di segno opposto di tipo floor. Un contratto di mutuo, pertanto, ben potrebbe essere legittimamente stipulato secondo le seguenti quattro differenti ipotesi:
- nessuna contemporanea presenza di clausole floor e cap;
- presenza della sola clausola floor;
- presenza della sola clausola cap;
- presenza contemporanea di entrambe le clausole, cosiddetto contratto collar[1].
Tanto premesso, ritiene il Tribunale marchigiano che deve escludersi il carattere vessatorio della clausola in questione, atteso che, come ritenuto dalla giurisprudenza di merito prevalente, la vessatorietà non può essere valutata in forza della determinazione dell’oggetto o dell’adeguatezza del corrispettivo, avuto riguardo al chiaro disposto dall’art. 34 cod. cons., dovendosi limitare la valutazione alla chiarezza e comprensibilità della clausola.
A tale riguardo, si osserva come, nel caso di specie, la pattuizione oggetto di censura sia stata inserita nell’atto pubblico di mutuo, con una previsione del seguente tenore: “il tasso globale dell’operazione nel periodo di ammortamento del muto a tasso variabile non potrà comunque scendere al di sotto del 3%”. Al tempo stesso, il documento di sintesi allegato al mutuo riporta sia il tasso minimo contrattuale (c.d. “floor”), fissato nell’anzidetta misura del 3%. La formula negoziale in oggetto appare, ad avviso del Tribunale, estremamente chiara e comprensibile, essendo prima facie evidente, dalla lettura della stessa, che il tasso di interesse corrispettivo dovuto alla banca non sarebbe stato comunque inferiore alla misura del 3%. Per completezza deve richiamarsi anche quanto di recente statuito dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione «Costituisce un puro artificio la tesi (…) secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una ‘inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore’ di una option floor, e dunque un contratto derivato». Secondo le dette Sezioni Unite, infatti, «la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell’indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l’evento condizionante è la fluttuazione dell’indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l’evento condizionato la misura del pagina 23 di 24 saggio: dunque un patto lecito e consentito dall’art. 1353 c.c.»[2].
Alla luce delle superiori considerazioni l’opposizione va, dunque, respinta.
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[1] Cfr. Trib. Ferrara, 16 dicembre 2015, n. 1131; Trib. Trento, 27 marzo 2017.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 23 febbraio 2023, n. 5657; Cass. Civ., Sez. I, 27 febbraio 2024, n. 5151.
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