Nota a Trib. Bergamo, Sez. III, 1° ottobre 2024, n. 1819.
Massima redazionale
Nella specie, parte attrice lamentava che la clausola floor fosse nulla, in quanto vessatoria ai sensi dell’art. 33 cod. cons.
Il giudice bergamasco, anteponendo una sintesi del quadro normativo di riferimento, rileva come il prefato art. 33 stabilisce che «Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». Tale previsione deve essere letta anche tenendo in considerazione il disposto dei primi due commi del successivo art. 34, a mente dei quali «1. La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende. 2. La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione pagina 5 di 8 dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile».
Le citate disposizioni del Codice del consumo costituiscono il recepimento nell’ordinamento italiano degli artt. 3 e 4 della Direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. In particolare, il summenzionato art. 34, al secondo comma, riflette l’art. 4, paragrafo 2, della citata Direttiva, per cui «la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».
In maniera complementare, dalla giurisprudenza eurounitaria è, comunque, desumibile il perimetro della nozione di “oggetto principale del contratto” – sottratto al vaglio della vessatorietà (salvo il caso della mancanza di chiarezza e comprensibilità) – e delle clausole esterne a tale “oggetto principale”. In generale, attengono all’oggetto principale del contratto le clausole che «fissano le prestazioni essenziali del contratto stesso e che, come tali, lo caratterizzano» e non quelle clausole «che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale»[1]. Con specifico riferimento ai contratti di finanziamento, devono essere ricondotte all’oggetto principale del contratto «le clausole relative alla contropartita dovuta dal consumatore al mutuante o che incidono sul prezzo effettivo da pagare a quest’ultimo da parte del consumatore»[2].
Tale considerazione ben si attaglia all’ordinamento italiano, nel quale la centralità dell’obbligazione di pagamento degli interessi nell’economia contrattuale è sottolineata dall’art. 1815 c.c., che stabilisce la naturale onerosità del mutuo.
Sulla base di tali considerazioni, non si ritengono condivisibili le diverse conclusioni di una parte minoritaria della giurisprudenza di merito, non potendosi affermare il carattere accessorio di una clausola che stabilisce la misura minima di una delle prestazioni principali del contratto di mutuo. Le clausole che disciplinano il pagamento degli interessi e la misura degli stessi – come la clausola floor o di “tasso minimo” – concorrono, infatti, a determinare la portata della prestazione posta a carico di una delle parti e, quindi, l’oggetto del contratto ai fini dell’art. 34, comma 2, cod. cons.[3]. Ne consegue che una clausola floor o di “tasso minimo” può essere considerata vessatoria solo se formulata in modo non chiaro o non comprensibile. Nella specie, si rileva che la clausola in esame prevede semplicemente che “Il tasso complessivo di volta in volta applicato non potrà mai essere, comunque, inferiore al 3,500% (tre virgola cinquecento per cento)”. La clausola, così formulata, è chiara e comprensibile e rende prevedibili i suoi effetti in caso di andamento negativo (verificatosi nel caso di specie) del tasso di riferimento, con esclusione della lamentata vessatorietà.
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[1] V. CGUE, 30.04.2014, C-26/13.
[2] V. CGUE, 23.11.2023, C-321/22.
[3] V. ABF, Collegio di coordinamento, n. 4137/2024.
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