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Nota a App. Napoli, Sez. VII, 24 settembre 2024, n. 3719.

La Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla società emittente. Con una analisi pregevole i giudici della Corte hanno ripercorso il quadro normativo di riferimento, dato rilevanza al provvedimento dell’AGCM e ai principi di buona fede e correttezza, operanti in tutta la vicenda negoziale (artt. 1337, 1366, 1375 c.c.).

Il quadro normativo di riferimento prende le mosse dall’art. 2 co. 2 d.lgs. 284/99 che ha incaricato il Ministro del Tesoro, da un lato, di stabilire con appositi decreti le caratteristiche e le altre condizioni dei buoni fruttiferi postali e, dall’altro, di emanare norme in materia di pubblicità, trasparenza e comunicazioni periodiche ai risparmiatori. In adempimento della delega, il D.M. del 19/12/2000 adottato dal Ministro del Tesoro fissa le condizioni generali di emissione dei buoni postali disponendo, per quanto di interesse, che: a) L’emissione dei buoni fruttiferi postali viene effettuata per “serie” con decreti del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, adottati ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 284/99, ove sono indicati il prezzo, il taglio, il tasso di interesse, la durata, l’eventuale importo massimo sottoscrivibile da un unico soggetto nella giornata lavorativa, nonché ogni altro elemento ritenuto necessario (art. 2 co.1); b) Per il collocamento dei buoni fruttiferi postali rappresentati da documento cartaceo viene consegnato al sottoscrittore il titolo e il foglio informativo contenente la descrizione delle caratteristiche dell’investimento (art. 3 co.1); c) I buoni fruttiferi postali sono liquidati, in linea capitale e interessi, alla scadenza prevista nel decreto di emissione della relativa serie (art.4); d) l’intermediario espone nei propri locali aperti al pubblico un avviso sulle condizioni praticate, rinviando a fogli informativi, che saranno consegnati ai sottoscrittori, la descrizione dettagliata delle caratteristiche dei buoni fruttiferi postali (art. 6 co.1); e) I diritti dei titolari dei buoni fruttiferi postali si prescrivono a favore dell’emittente trascorsi dieci anni dalla data di scadenza del titolo per quanto riguarda il capitale e gli interessi. (art. 8 co. 1).

Posto l’inquadramento normativo applicabile al caso in esame, i buoni postali, secondo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza (cfr. Cass. Civ. Sez. Un. 13979/2009) sono qualificabili non come titoli di credito ma come titoli di legittimazione ex art. 2002 c.c.; da ciò discende che essi sono sottratti all’applicazione dei principi di autonomia causale, dell’incorporazione e della letteralità – propria dei primi –, avendo la sola funzione – propria dei secondi – di identificare l’avente diritto alla prestazione o a consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione. In particolare, la svalutazione del principio di letteralità giustifica l’eterointegrazione ab externo del rapporto contrattuale di diritto privato (cfr. Corte Cost. 303/1988) intercorrente tra l’investitore e l’intermediario nonché la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori alla disciplina dettata dai decreti ministeriali emanati in materia. Ciò significa che, per un verso, il rapporto negoziale soggiace al potere di variazione in pejus dei tassi di interessi in corso di rapporto (caso affrontato dalla Cass. Civ. Sez. Un. 13979/2009) e, per altro verso, in capo al legittimo possessore dei titoli sussiste un onere di attivazione volto alla conoscenza degli elementi disciplinanti il rapporto, benché non espressamente indicati nel buono.

Tuttavia, tale onere può essere diligentemente assolto purché l’investitore sia messo in condizione di poterlo adempiere. In questa prospettiva si collocano gli obblighi sia pubblicitari (ex art. 6 co. 1 del D.M. 19/12/2000) sia di trasparenza, operanti in sede di conclusione del contratto di collocamento del buono (art. 3 co.1.). Si tratta di obblighi la cui precipua funzione è quella di rendere l’investitore edotto sull’intera operazione, tutelando, in questo modo, il suo interesse al risparmio costituzionalmente protetto (art. 47 Cost.).

Ciò è tanto più necessario quanto più si consideri, come evidenziato dall’AGCM nell’adunanza del 18 ottobre 2022, che i buoni fruttiferi postali rappresentano prodotti finanziari nominativi che rappresentano, insieme ai libretti di risparmio, i più tradizionali prodotti del risparmio postale. Si tratta, infatti, di strumenti di investimento a basso rischio, in quanto emessi dall’intermediario, garantiti dallo Stato italiano e distribuiti per il tramite di , in grado di assicurare al consumatore/risparmiatore la restituzione del capitale investito, oltre agli interessi maturati (dopo un periodo iniziale di infruttiferità).

Proprio in quanto costituiscono strumenti di investimento a basso rischio, associabili ad un’idea di semplicità di utilizzo e di sicurezza, i BFP possono risultare, anche avuto riguardo alle segnalazioni pervenute, di interesse soprattutto per consumatori con un reddito medio-basso e/o con un grado di istruzione finanziaria contenuto, essendo la propensione al rischio influenzata anche da fattori come le caratteristiche socio-demografiche (tra cui, appunto, livello di reddito e livello di istruzione). Sulla base di queste considerazioni si fonda l’assoluta centralità dell’esigenza di garantire all’investitore una piena consapevolezza relativamente non solo alla tipologia dell’investimento concluso ma anche, per quanto interessa in questa sede, alla sua scadenza ed al suo conseguente regime giuridico prescrizionale, poiché da questo dipende l’integrale soddisfo dell’interesse creditorio.

I  rapporti tra investitore e intermediario sono caratterizzati da un’asimmetria informativa fisiologica tale da porre il primo in una posizione di debolezza contrattuale. L’ordinamento, al fine di perequare i poteri contrattuali, onera la parte meglio organizzata all’adempimento di obblighi informativi che si sostanziano nella consegna di documenti da cui la parte debole può evincere le condizioni dell’investimento (v. punto “3” D.M. citato): circostanza che, nel caso di specie, non si è verificata. Dall’esame degli atti di causa si evince che il FIA allegato dalla parte appellante si riferisce a buoni diversi da quelli sottoscritti dagli odierni appellati (serie M18 anziché F18), impedendo loro di avere conoscenza del termine iniziale dal quale poter far valere il loro diritto al rimborso. Sotto altro aspetto, poi, non può trascurarsi di considerare che è la parte che eccepisce la prescrizione ad avere l’onere di dimostrare il “dies a quo” della decorrenza del relativo termine, costituente il fatto costitutivo dell’eccezione proposta, di talché, anche in questa diversa prospettiva, devono essere addebitate all’odierno appellante le conseguenze dell’incertezza della prova e della genericità delle allegazioni sul punto. 5.1 La parte appellante non ha, dunque, assolto il relativo onere probatorio. Come enunciato dalle Sez. Un. n. 13533/2001 in punto di riparto dei carichi probatori in caso di inadempimento dell’obbligazione, ai creditori spetta l’onere di allegazione dell’altrui inadempimento, gravando sulla controparte debitrice la prova positiva dell’avvenuto adempimento; ciò in ragione dei principio di vicinanza della prova. Tale prova positiva non risulta essere stata offerta nel giudizio in esame.

Né questa conclusione può essere revocata in dubbio dalla natura giuridica dei buoni postali che, come in precedenza ricordato, costituiscono meri titoli di legittimazione e che, pertanto, possono essere disciplinati da atti normativi e amministrativi esterni che l’investitore ha l’onere di conoscere, stante la loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Infatti, l’eterointegrazione del rapporto contrattuale ex art. 1339 c.c., nelle pronunce adottate dalla Suprema Corte di Cassazione nel suo più ampio consesso, ha riguardato la modificabilità in pejus di tassi di interessi. Ciò presuppone che il creditore/investitore possa ancora riscuotere il proprio credito, sia pure con tassi variati rispetto a quelli sussistenti al momento della conclusione del contratto.

Discorso diverso è quello relativo al regime di prescrizione e in particolare all’individuazione del dies a quo poiché qui si discute non di un effetto “meramente” modificato del diritto – conseguente all’esercizio di uno ius variandi di tipo pubblicistico – ma piuttosto di un effetto estintivo, quale quello conseguente all’impossibilità di ottenere il rimborso del buono per intervenuta prescrizione. Stante la ben più grave conseguenza, deve ritenersi – anche per quanto si dirà oltre – che l’investitore deve essere messo in condizione di sapere ex ante il tempo a partire dal quale inizierà a maturare il termine di prescrizione.

I giudici della  Corte d’Appello hanno rilevato che non può nemmeno ritenersi meritevole di pregio l’argomentazione dell’appellante per la quale “all’epoca della sottoscrizione dei titoli nessuna norma imponeva la sottoscrizione “per ricevuta” dei fogli informativi consegnati ai clienti”.

Infatti, gli obblighi di trasparenza – che il legislatore disciplina espressamente quando si tratta di rapporti negoziali asimmetrici (cfr. a titolo esemplificativo, artt. 21 TUF, 117 TUB e 3 DM 19/12/2000) – costituiscono declinazione dei principi di buona fede e correttezza, operanti in tutta la vicenda negoziale (artt. 1337, 1366, 1375 c.c.), il cui fondamento è direttamente rinvenibile nel più generale dovere di solidarietà sociale costituzionalmente imposto ex art. 2 della Carta fondamentale.

Sotto questo profilo, è orientamento ormai costante in sede di legittimità quello secondo cui le disposizioni di buona fede di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. operano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti; sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte (Cass Civ. 7358/2022). La buona fede, dunque, assolve una funzione che, etero integrando il contenuto negoziale, mira a proteggere gli interessi di controparte, sia pure nei limiti dell’apprezzabile sacrificio. Tale funzione di protezione è vieppiù intensa quando il rapporto contrattuale si instaura tra l’investitore e un soggetto pubblico ) che – nonostante la forma privatistica – svolge una funzione di pubblica utilità sostanziantesi nella raccolta del risparmio tramite collocamento, ad opera della Cassa Depositi e Prestiti, dei buoni postali.

Alla base c’è un bilanciamento di interessi tra la tutela alla stabilità dell’economia pubblica e la tutela al risparmio costituzionalmente garantita (art. 47 Cost.); bilanciamento che trova un punto di equilibrio nella previsione normativa – sia pure di rango secondario – di quegli obblighi informativi, chiari e precisi, in ordine alla scadenza dei titoli, affinché sia altresì garantito il diritto di autodeterminazione negoziale relativo alla riscossione dei predetti buoni. Pienamente condivisibili sono, dunque, le argomentazioni contenute nel provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza del 18.10.2022, recepite in alcune decisioni richiamate dagli appellati, che, nel comminare una ingente sanzione alle per aver formulato in modo ingannevole informazioni essenziali relative ai termini di scadenza e prescrizione dei buoni, ha ribadito la necessità di una chiara formulazione della data di scadenza del titolo ed ha escluso che sia conforme a buona fede “addossare all’utente-consumatore l’onere di individuare la scadenza del buono..”.

Per concludere sul punto, va condiviso il principio affermato nella giurisprudenza di merito in casi analoghi a quello in esame per cui, rispetto a buoni fruttiferi postali che non riportino indicazioni circa la durata e, quindi, circa il termine di scadenza – costituente il dies a quo della prescrizione del diritto al rimborso – e a fronte della mancata consegna, al momento della loro sottoscrizione, di specifici fogli informativi, si deve ritenere che l’intermediario non abbia assolto al proprio onere di trasparenza e di informazione.

Al riguardo non essendosi verificato tutto ciò nel presente giudizio, il Collegio ha ritenuto che possa ricevere applicazione l’art. 2935 c.c. il quale dispone che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Sul punto occorre, altresì, precisare quanto segue.

I fatti ai quali l’art. 2935 c.c. conferisce rilevanza in punto di impedimento del decorso temporale della prescrizione sono solo quelli derivanti da cause giuridiche che, pertanto, ostacolano l’esercizio del diritto. La norma in esame non ricomprende anche gli impedimenti di tipo soggettivi o meramente fattuali che assumono rilevanza per le cause tassativamente indicate dall’art. 2941 c.c. in materia di sospensione: l’art. 2941 n. 8, infatti, espressamente menziona l’ipotesi in cui il debitore ha dolosamente occultato l’esistenza del debito cui la legge ricollega l’effetto sospensivo.

Ciò posto, nel caso in esame, non v’è dubbio sul fatto che l’ignoranza del dies a quo di decorrenza della prescrizione ha trovato causa, per le ragioni dinanzi indicate, nell’assenza di indicazioni della scadenza sul titolo e sul D.M. ad esso relativo. L’ignoranza della scadenza del termine del buono postale, dal quale è derivato il decorso della prescrizione, ha trovato fondamento, quindi, nell’inadempimento della società convenuta, collocatore e gestore dei titoli, in particolare quanto agli obblighi informativi sopra individuati.

Tale circostanza non può ritenersi un mero impedimento soggettivo quanto piuttosto una causa giuridica (l’inadempimento, appunto) rilevante ai sensi dell’art. 2935 c.c. in quanto, per effetto di tale inadempimento, gli odierni appellati non sono stati messi nelle condizioni di acquisire consapevolezza circa la necessità di attivarsi per far valere il proprio diritto, impedendo loro la possibilità di farlo valere.

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