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Nota a Trib. Roma, Sez. XVII, 5 settembre 2024, n. 13684.

di Sara Rescigno

Tirocinante ACF

La controversia presa in esame, dopo aver affrontato il tema della nullità contratto di fideiussione omnibus per violazione dell’art. 2, Legge 287/1990 (cd. Legge Antitrust) perché riproduttivo di intese restrittive della concorrenza, ha affrontato il tema della corretta qualificazione del contratto in oggetto come fideiussione omnibus e le differenze con il contratto autonomo di garanzia.

Nel caso di specie, Parte attrice ha chiesto la declaratoria di nullità del contratto di fideiussione, stipulato nei confronti della Banca odierna convenuta a garanzia delle obbligazioni del debitore principale, per violazione dell’art. 2, Legge 287/1990.

In effetti, il contratto in oggetto, come rilevato dal giudice di merito, riportava pedissequamente, agli artt. 2 e 6, il formato della clausola di reviviscenza e la deroga all’applicazione dell’art. 1957 c.c. previsti dallo schema ABI.

Nel decidere la controversia in parola, il giudice di merito ha allora richiamato il provvedimento n. 55 del 02/05/2005 della Banca d’Italia[1], con il quale l’Autorità ha denunziato il contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI e l’art. 2 della legge n. 287/1990[2] (cd. Legge Antitrust), che sanziona con la nullità, le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

Le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, sono state qualificate come deliberazioni di un’associazione di Imprese, rientrando, per questo motivo, nell’ambito di applicazione dell’art. 2, comma 1, della Legge 287/90, laddove recita: “Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”.

Il Tribunale ha poi richiamato una pronuncia del Supremo Collegio in base alla quale viene precisato che l’art. 2, Legge 287/1990, quando stabilisce la nullità delle “intese”, non ha inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza[3].

In altri termini, il legislatore, con la suddetta disposizione normativa, ha proibito, in senso più ampio, il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche.

I contratti a valle di accordi contrari alla normativa antitrust – in quanto costituenti «lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti» – partecipano della stessa natura anticoncorrenziale dell’atto a monte, e vengono ad essere inficiati dalla medesima forma di invalidità che colpisce i primi[4].

Ciò premesso, il giudice de quo, conformandosi al recente arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte, ha aderito alla tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un’ipotesi di nullità parziale, che è maggiormente in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust in ambito europeo e nazionale[5].

La nullità prevista dall’art. 2, lett. a) Legge 287/1990 e 101 TFUE[6] è, dunque, una nullità speciale, la cui ratio si rinviene nell’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico economico. Le altre clausole presenti nel contratto di fideiussione, invece, in quanto finalizzate, attraverso l’obbligazione di garanzia assunta dal fideiussore, ad agevolare l’accesso al credito bancario, non sono colpite dall’invalidità, come ha stabilito la Banca d’Italia nel citato provvedimento, nel quale ha espressamente fatte salve tutte le altre clausole dell’intesa ABI.

Con la comparsa di costituzione, la Banca odierna convenuta ha sollevato la questione riguardante la corretta qualificazione del contratto in oggetto, che andrebbe inquadrato come contratto autonomo di garanzia piuttosto che come contratto di fideiussione, al fine di non far valere la nullità parziale e di garantire la deroga ai termini stabiliti dall’art 1957 c.c.

Secondo la Banca, l’inserimento nel contratto di fideiussione di una clausola che preveda il pagamento a prima richiesta, e l’impossibilità per il garante di opporre eccezioni è sufficiente per qualificare il rapporto come contratto autonomo di garanzia.

Il contratto autonomo di garanzia è espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c. e ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento gravante sul debitore principale, escludendo l’elemento dell’accessorietà dell’obbligazione[7]. L’obbligazione del garante, dunque, è del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, in quanto qualitativamente diversa.

Richiamando un noto arresto della Cassazione a Sezioni Unite, il giudice di merito ha affermato che la clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, eccetto il caso in cui vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale[8].

Le formule “a prima richiesta e senza eccezioni”, come ha precisato il Tribunale, non devono essere considerate ai sensi del dato meramente letterale, potendosi desumere l’esistenza del contratto autonomo di garanzia anche dall’utilizzo di formule analoghe ovvero dal contenuto del contratto, che esclude eccezioni sollevabili dai garanti.

Nel caso in esame, il Tribunale ha classificato il contratto in oggetto come una fideiussione omnibus, non potendosi desumere il carattere autonomo della garanzia né dal dato testuale, che si riferisce ripetutamente e costantemente alla figura della fideiussione, né dalla disciplina dell’escussione della garanzia, che è riferita alle modalità dell’escussione ed ai tempi del pagamento da parte del fideiussore, senza previsione di limiti alle eccezioni da quest’ultimo opponibili.

Il Tribunale ha poi osservato che, anche qualora si ritenesse dubbia l’interpretazione del testo, il contratto in oggetto andrebbe comunque qualificato come una fideiussione per i seguenti motivi: a) la fideiussione, diversamente dalla garanzia autonoma, è una fattispecie tipica alla quale si deve presumere indirizzata la comune volontà delle parti; b) trattandosi di contratto redatto su modulo predisposto dalla banca, opera il criterio ermeneutico di cui all’art. 1370 c.c.; c) i garanti opponenti nel giudizio odierno non appartengono al novero dei soggetti che professionalmente svolgono l’attività di rilascio di garanzie autonome.

In conclusione, nella controversia de quo, il Tribunale ha qualificato la garanzia prestata dalla Parte attrice come fideiussione omnibus e ne ha dichiarato la parziale invalidità per violazione dell’art. 2 L. n. 287/1990.

Nonostante la declaratoria di nullità dell’art. 6 del contratto di fideiussione che prevedeva la deroga all’applicazione dell’art. 1957 c.c.[9], il giudice di merito ha comunque riscontrato che la Banca odierna convenuta ha agito nel pieno rispetto dei termini previsti dall’art. 1957 c.c., facendo valere i propri diritti di credito entro il termine di sei mesi, con la conseguenza che la garanzia era valida ed efficace per essere stata tempestivamente attivata nei confronti del debitore principale, come previsto dalla citata norma.

 

 

 

 

 

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[1] Con tale provvedimento, la Banca d’Italia ha disposto che: “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (cd. fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”.

[2] L’art. 2, Legge 287/1990 così dispone: “1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari; 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, (…); 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”.

[3] Cfr., Cass., civ. n. 827 del 1999.

[4] Cfr., Cass. civ. SS.UU., n. 2207/2005.

[5] La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha affermato – a sua volta – che la portata e le conseguenze della nullità delle intese, per violazione dell’art. 101 (ex 81 Trattato CE) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, non dipendono direttamente dal diritto unionale, ma devono essere individuate dai giudici nazionali in base al diritto di ciascuno Stato membro. Si è, invero, statuito che – fermo restando il diritto al risarcimento del danno – la sorte dei contratti a valle di intese antitrust – che non vengono automaticamente travolti, in forza del diritto europeo, dalla nullità dell’intesa a monte – è riservata ai diritti nazionali (Corte Giustizia, 14/12/1983, C319/82, Societè de Vente de Cimentes; Trib., 21/01/1999, T- 190/96, Chrístophe Palma).

[6] L’art. 101, par. 1, TFUE stabilisce che “1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno […]”

[7] Cfr. Cass. Civ., sez. III, n. 12152 del 14.06.2016.

[8] Cfr. Cass. SS.UU, Sentenza n. 3947 del 18/02/2010.

[9] L’art. 6 del contratto di fideiussione in esame stabiliva che: “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.

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