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Nota a Trib. Brindisi, 12 settembre 2024.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Con ordinanza depositata in data odierna, invero supportata da un articolato apparato argomentativo, il Tribunale di Brindisi (est. dott. A.I. Natali) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale:

«A) “Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento come quello nazionale che preclude al Giudice dell’esecuzione (in sede di istanza di sospensiva e, quindi, di cognizione sommaria oppure in sede di trattazione del merito dell’opposizione all’esecuzione), di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, d’ufficio o su richiesta del debitore, nonché di accertare una simile vessatorietà, anche solo in via incidentale e sommaria e/o di concedere un termine per l’introduzione di un giudizio di opposizione tardivo al fine di far accertare dal Giudice della cognizione la predetta vessatorietà. 

Ciò, allorquando, concorrano le seguenti condizioni:

a) sia stata proposta un’opposizione a decreto ingiuntivo per ragioni che esulano dalla vessatorietà delle clausole del contratto di fideiussione e la stessa sia stata definita con sentenza passata in giudicato (che investa implicitamente la mancata vessatorietà di una clausola contrattuale);

b) non vi sia stato il controllo di abusività in sede monitoria o di giudizio di opposizione;

c) né, in sede di genesi e emissione del decreto ingiuntivo, vi sia stata l’informazione diretta all’ingiunto della possibilità di avvalersi della tutela consumeristica;

B) Se, in tale fattispecie, ai fini della predetta valutazione di compatibilità della disciplina interna, assuma rilievo, anche solo ad abundantiam, che il consumatore acquisisca consapevolezza del proprio status dopo la proposizione della prima tempestiva opposizione e tale presa di coscienza sia stata precedentemente preclusa dal diritto vivente (che disconosceva in capo ad esso la qualità di consumatore solo perché garante, senza distinguere secondo lo scopo obiettivo della garanzia)».

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È di tutta evidenza come la questione de qua rappresenti l’altra faccia della medaglia rispetto a quella sulla quale si è già espressa, nel maggio 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea[1] e, di riflesso, a distanza di poco meno di un anno (lasso “prudenziale” per consentire la metabolizzazione di un principio dirompente per le dinamiche ordinamentali nazionali), nell’aprile 2023, le Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione[2]. Riassumendo il costante lavorio giurisprudenziale (specie di matrice unionale) sulla perimetrazione della concettualità di “consumatore”, il Tribunale brindisino pone la questio dell’effettività della tutela consumeristica, a fronte dell’abusività della clausola contrattuale e del consolidamento del giudicato anche se implicito, e, dunque, privo di una specifica statuizione sul profilo dell’eventuale anticomunitarietà), interrogandosi sull’estensibilità dei principi già statuiti dalla Cge.

D’altronde, in via generale, e’ evidente la predilezione, da parte dell’ordinamento comunitario, per un modello di tutela di tipo “reale” e non meramente monetario, e, dunque, per equivalente, ovverosia destinato a estrinsecarsi in misure di carattere prettamente economico o compensativo. Il Giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo della clausola contrattuale che ricada nell’ambito di applicazione della dir. 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine[3].

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Con la richiamata sentenza, le Sezioni Unite hanno recepito i principi espressi dalla CGUE, conformando i poteri del Giudice della fase monitoria e di quella esecutiva, tenendo conto le peculiarità dell’impianto codicistico di rito, nel suo complesso; segnatamente:

  1. il primo dovrà svolgere d’ufficio il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della causa, con potere di impulso per richiedere il contratto ed eventuali chiarimenti, al fine di verificare l’abusività di clausole a danno del consumatore;
  2. il secondo, fino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo sul profilo di abusività delle clausole, dovrà controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/io sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo. In presenza di tali clausole il Giudice dovrà avvisare il debitore esecutato della possibilità di proporre opposizione al decreto ingiuntivo ai sensi dell’ 650 c.p.c., entro 40 giorni, per fare accertare solo ed esclusivamente l’eventuale abusività delle clausole con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo.

D’altronde, come evidenziato in dottrina, l’operata “necessaria saldatura tra ordinamenti, sovranazionale e interno”, “è la cifra, anche culturale, attraverso la quale rendere concretamente operante il principio di effettività”.

Per quanto riguarda il profilo rimediale, se la CGUE aveva riconosciuto in capo allo stesso G.E. il potere di rilevare d’ufficio la  vessatorietà in assenza di motivazione specifica del decreto ingiuntivo al riguardo anche in chiave meramente negativa, o di una sostanziale “provocatio ad opponendum”, le Sezioni Unite hanno voluto attribuire al G.E. un potere di accertamento solo incidentale e strumentale all’eventuale concessione di un termine per la proposizione di un’opposizione consumeristica.

L’accertamento a cognizione piena, in tale ricostruzione rimediale, spetterebbe solo al Giudice dell’eventuale opposizione tardiva. 

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In seno all’articolato dibattito apertosi in dottrina, il Giudice brindisino ritiene che le pronunce rese dalla CGUE siano state enucleate in materia consumeristica, ma costituiscano, al contempo, un modello operativo che il Giudice nazionale è chiamato a osservare in tutti gli ambiti di disciplina in cui si assiste alla concorrenza del livello nazionale di tutela (che detta la disciplina di dettaglio o attuativa) e di quello comunitario (che si estrinseca per lo mezzo di direttive generiche o di regolamenti anch’essi dettanti norme puntuali e immediatamente operative). In altri termini, l’intervento della Corte sovrannazionale è stato unicamente occasionato dalla disciplina in materia di clausole abusive, dovendosi, correttamente, ritenere che la cedevolezza del giudicato, almeno nella forma meno pregnante del c.d. giudicato implicito (su questioni semplicemente deducibili, anche se non dedotte) debba poter operare ogniqualvolta lo stesso si ponga in contrasto con una norma comunitaria (positiva o scaturente da una pronuncia della CGUE), che, per le sue caratteristiche di sufficiente descrizione del precetto, si ponga in termini di diretta applicabilità.

In tali termini, dovrebbe ricostruirsi l’impatto della pronuncia, che ha valenza eterointegrativa della disciplina comunitaria oggetto dell’intervento nomofilattico, beneficiando delle stesse caratteristiche della diretta applicabilità e della primazia proprio del diritto comunitario[4].

Come riconosciuto dalla pronuncia stessa della CGUE, la stabilità e immodificabilità del giudicato rappresenta un valore primario della civiltà giuridica e anch’esso un principio generale dell’ordinamento comuni comunitario, perché volto a presidiare la certezza dei rapporti giuridici, così come l’affidamento riposto dai consociati nel fatto che la regola, contenuta in una sentenza non più impugnabile, costituisca la regola definitiva di una determinata fattispecie concreta.

Nondimeno, è altrettanto indubbio che il giudicato implicito, tradizionalmente inteso (come ricomprensivo del dispositivo e delle ragioni, spese in motivazione che ne costituiscano presupposto logico-indefettibile) sia di per sé una variante “anomala” del giudicato inteso in senso stretto, perché teso a ricomprendere nell’operato di questo istituto processuale, anche profili motivazionali estranei al dispositivo.

Così appare evidente come il giudicato implicito, inteso elasticamente (ovvero come esteso a questioni neanche concretamente dedotte e, quindi, neppure esternate in sede di motivazione, ma deducibili in sede di giudizio di cognizione) costituisca una creatura giurisprudenziale, del tutto avulsa dallo schema tradizionale del giudicato, rispondente a esigenze di economia processuale dotate di rilievo costituzionale e sovranazionale, ma destinata a essere accantonata ogniqualvolta, a seguito di un giudizio di bilanciamento dei valori in gioco, la stessa sia idonea a pregiudicare la disamina giudiziale di una questione la cui regolamentazione sia posta da una norma comunitaria imperativa, appartenente all’ordine pubblico economico comunitario.

La portata delle pronunce unionali ha impattato non solo sull’istituto del giudicato implicito, ma anche su principi processual-civilistici della cui tenuta logica finora non si è dubitato:

  1. la tradizionale ricostruzione del decreto ingiuntivo non opposto o confermato a seguito della proposta opposizione, quale fattispecie di giudicato formale e sostanziale;
  2. la distinzione rigorosa tra momento della cognizione e sede processuale esecutiva – costituente, secondo taluni autori, principio di ordine pubblico processuale – con conseguente difetto, in relazione al Giudice dell’esecuzione, di qualunque potere di sindacare il contenuto del titolo esecutivo, specie se di natura giudiziale, per fatti anteriori alla sua definitività[5].

Né, in tale prospettiva, possono costituire profili idonei a confutare la tenuta delle pronunce della CGUE con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico alcuni corollari logici (e inevitabili) della costruzione comunitaria:

  1. la degradazione del decreto ingiuntivo, in materia consumeristica, da provvedimento assistito dalle qualità di giudicato formale e sostanziale, a semplice titolo stragiudiziale, suscettibile di essere posto in discussione in relazione ad ogni profilo non oggetto di espressa trattazione;
  2. l’appesantimento degli oneri di istruzione sommaria del Giudice del monitorio, tenuto a verificare d’ufficio la esistenza di clausole vessatorie per evitare l’eventuale successivo travolgimento del provvedimento assunto;
  3. la maggiore gravosità degli oneri allegatori di parte creditrice, anche solo in termini «negativi», che dovrebbe evidenziare l’inesistenza di clausole vessatorie.

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La soluzione prospettata dalla CGUE, anche ove estesa alla fattispecie del decreto ingiuntivo opposto per ragioni diverse dalla sua anticomunitarietà, può essere idonea ad assicurare, nella logica di un ragionevole contemperamento di valori contrapposti, da un lato, le esigenze di effettività della tutela consumeristica, dall’altro, una ragionevole difesa dei principi processual-civilistici.

Non può, invero, sottacersi una certa comunanza di ratio fra l’ipotesi del decreto non opposto e quella del decreto opposto senza far valere l’anticomunitarietà della clausola.

Una prima ragione è da ravvisarsi nella necessità di un’effettiva consapevolizzazione del consumatore[6] circa la possibilità di giovarsi di quella speciale tutela comunitaria, che è data dalla declaratoria di nullità, seppur parziale. A tal riguardo, l’ordinamento comunitario, ai fini dell’esperimento del rimedio giudiziale, sostituisce al valore della mera conoscibilità (secondo l’ordinaria diligenza) delle condizioni legittimanti allo stesso – proprio del sistema civilistico italiano – quello dell’effettiva conoscenza[7].

Ogniqualvolta si sia in presenza di una regolamentazione sovranazionale, da un lato, a rilevare è che il destinatario della tutela ne sia stato effettivamente informato, anche mediante l’esplicitazione dell’apparato rimediale, predisposto dall’ordinamento giuridico; dall’altro, perde qualunque rilievo che tale informazione inerisca l’esistenza della norma, così come la concreta applicazione della norma alla fattispecie concreta.

L’informazione del consumatore e la conseguente consapevolizzazione da parte di tal ultimo sono prodromiche all’esercizio dei diritti e, dunque, dei poteri processuali previsti dalla normativa consumeristica tra cui l’esperimento dell’azione o dell’eccezione di nullità. L’eventuale scelta di non agire deve essere conseguenza della «somministrazione» giudiziale di un quadro informativo effettivo sulle possibilità rimediali. 

Adottando una diversa prospettiva, non può non tutelarsi chi, pur proponendo tempestiva opposizione, non abbia speso quale specifico motivo a fondamento della stessa, la propria qualità di consumatore, in quanto negata (incondizionatamente) dal diritto vivente vigente al momento dell’introduzione del giudizio.

Il repentino e inaspettato cambio di prospettiva da parte dell’interprete non può andare a scapito del consumatore, perché diversamente sarebbe violato il principio di effettività della tutela, dispensata dall’ordinamento in favore dello stesso.

Invero, il profilo psicologico, relativo all’esistenza di uno stato di ignoranza incolpevole, è rimasto estraneo alla rete argomentativa della pronuncia della CGUE del 17 maggio del 2022, per quanto ben evidenziato dal Giudice italiano remittente. Orbene, parrebbe coerente con la ratio ispirativa della scelta compiuta dalla CGUE, nel maggio del 2022, l’estensione dell’apparato rimediale, prefigurato per la fattispecie del decreto rimasto inopposto, anche all’ipotesi in cui la opposizione sia stata effettivamente proposta, ma alcuna informazione specifica e selettiva abbia avuto l’opponente, né la questione dell’eventuale applicazione della norma abbia costituito oggetto di contendere tra le parti o di un eventuale rilievo d’ufficio.

Altra ratio della pronuncia della CGUE, concorrente nel delineare l’impianto delle pronunce, è quella di consentire ad un’Autorità giurisdizionale di esercitare un controllo sull’eventuale abusività delle clausole contrattuali. La garanzia, in sede di emissione del decreto ingiuntivo, di un’informazione strumentale all’eventuale azione di nullità e il rilievo di ufficio da parte del Giudice del monitorio, sono due momenti imprescindibili e idonei a consentire la tenuta del giudicato nazionale. Laddove difettino l’una o l’altra, il giudicato – quello implicito e non anche quello esplicito, come, peraltro, sostanzialmente distinto anche dalla CGUE -, è destinato a cedere.

Allo stato, la disciplina processuale italiana (salvo l’innesto salvifico della Suprema Corte) non prefigura un meccanismo, che preveda, in sede di formazione ed emissione dell’ingiunzione di pagamento, l’obbligatorietà di un’informazione del consumatore e/o di un controllo giudiziale della vessatorietà che possano dirsi effettivi. Nondimeno, come ribadito dalla CGUE, è sufficiente che, nel complessivo iter procedurale giurisdizionale, intrapreso dal consumatore, inteso in senso unitario e non atomistico (e, dunque, comprensivo sia del momento strettamente cognitivo dell’opposizione o del giudizio, attivato in via autonoma, sia di quello esecutivo) sia assicurato uno standard di tutela conforme al principio di effettività.

Dunque, se anche il controllo giudiziale, da esternarsi in una sintetica, ma adeguata motivazione, sia difettato in sede di cognizione (sia piena, sia sommaria), sembrerebbe sufficiente, ai fini della garanzia della comunitarietà delle scelte ordinamentali, che lo stesso sia svolto dal G.E. dell’esecuzione. Se il Giudice del giudizio presupposto non dovesse esercitare il sindacato di abusività, “l’attuazione dell’effettività della tutela consumeristica – che deve essere necessariamente garantita – si sposta a valle, cioè in sede esecutiva”.

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Tutto ciò posto, nel caso di specie, il controllo in sede monitoria non vi è stato, né, tantomeno, vi sarebbe potuto essere, stante l’allora mancata inclusione nel garante dell’impresa nella categoria deli consumatori, né, in sede di genesi del decreto ingiuntivo, vi è stata l’informazione diretta all’ingiunto della possibilità di avvalersi della tutela consumeristica. Parrebbe, consequenzialmente, a giudizio del Tribunale brindisino, esserci spazio per un rilievo del predetto profilo di anticomunitarietà in sede esecutiva.

Premessa l’equipollenza (valoriale e strutturale) delle due fattispecie, quella del decreto non opposto e quella del decreto, oggetto di regolare opposizione, deve ritenersi che sia richiamabile anche l’argomentazione di tipo strettamente logico.

In particolare, è evidente che se la CGUE ha voluto preservare le ragioni di tutela del consumatore che sia rimasto totalmente inerte (anche se incolpevolmente), omettendo, del tutto, di attivare il rimedio oppositorio, a fortiori tale tutela «rafforzata» deve essere riconosciuta quando l’opponente sia stato processualmente diligente, formulando ragioni di doglianze cui sia rimasta, però, estranea la problematica della violazione della normativa comunitaria.  

Lo impone un principio di coerenza sistematica e di ragionevolezza.

La necessità di soluzioni, che trattino in maniera omogenea situazioni equipollenti, sotto il profilo del bisogno di tutela, induce a ritenere che la soluzione, già sposata dall’Onorevole Corte di Giustizia con le pronunce del 17 maggio 2022, debba essere estesa anche alla fattispecie, oggetto del presente rinvio, al fine di evitare la violazione del principio comunitario di non discriminazione e di parità di trattamento, sostanzialmente, equivalente al principio interno di eguaglianza.

Invero, la CGUE, nell’accogliere, con la pronuncia del maggio 2022, l’esegesi delle norme comunitarie prospettata dal Tribunale milanese, sembrerebbe non aver riconosciuto alcun valore all’elemento della sopravvenuta conoscenza della propria qualità di consumatore, che, invece, il tribunale di Milano aveva valorizzato[8].

Il Giudice ritiene di risottoporre tale profilo, di carattere soggettivo, alla CGUE non perché ritenga che possa assumere la rilevanza di condizione per l’operare dei principi enucleati dal Giudice comunitario, ma perché circostanza di fatto, idonea, comunque, a rafforzare i suddetti principi.

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Semicitando il Manzoni, ai giudici unionale l’ardua (nuova) sentenza.

 

 

 

 

 

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[1] Il riferimento è a Nota a CGUE, 17 maggio 2022, C-693/19 e C-831/19, su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori: allargamento della tutela effettiva, a discapito del giudicato implicito, 17 maggio 2022, Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori: allargamento della tutela effettiva, a discapito del giudicato implicito. – Diritto del Risparmio.

[2] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 6 aprile 2023, n. 9479, su questo Portale, con nota di G. Castellano-N. Stiaffini, Tutela del consumatore e superamento del giudicato: la sentenza delle Sezioni Unite Civili (n. 9479/2023), 6 aprile 2023, Tutela del consumatore e superamento del giudicato: la sentenza delle Sezioni Unite Civili (n. 9479/2023) – Diritto del Risparmio.

[3] Cfr. CGUE, 14 marzo 2013, C-415/11, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; CGUE, 21 dicembre 2016, C-154/15, C-307/15 e C-308/15, punto 58; CGUE, 26 gennaio 2017, C-421/14, punto 43.

[4] Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla disciplina in materia di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002,  n.  231, attuativo della dir. 2000/35/CE e, in particolare, all’art. 7 Nullità, secondo cui «1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile».

Norme che concorrono a delineare lo statuto normativo del c.d. terzo contratto, connotato soggettivamente dal fatto di intercorrere fra imprenditori dotati l’uno di minore forza contrattuale dell’altro, in considerazione dei diversi requisiti dimensionali, delle quote di mercato possedute e di altri fattori idonei a incidere sulla libertà di contrarre e di autodeterminarsi dell’impresa, in posizione recessiva.

[5] Fatti da far valere solo davanti al Giudice dell’opposizione Nondimeno, di tali principi si impone una rimodulazione in omaggio a quella tutela della libertà negoziale del consumatore che, nella logica dell’ordinamento comunitario, si pone quale strumento di tutela dell’assetto concorrenziale del mercato, quale unico modello idoneo ad assicurarne la competitività e l’efficienza.

[6] Consapevolizzazione che dovrebbe avvenire in sede di formazione e emissione del decreto ingiuntivo, mediante l’inclusione, a livello contenutistico, dell’avviso di potersi avvalere del rimedio della nullità consumeristica (mediante domanda o anche mera eccezione o difesa).

[7] Peraltro, tale conoscenza ha per oggetto non la vicenda fattuale ma la sua qualificazione giuridica.

 

[8] I giudici del rinvio avevano evidenziato come la mancata proposizione del ricorso da parte dell’opponente fosse dipesa da un revirement interpretativo, prima della CGUE, e, poi, del Giudice della nomofilachia italiano. Revirement attinente alla riconducibilità del garante nell’alveo del consumatore. La CGUE ha, per converso, prediletto un approccio oggettivo, fondato sulla verifica dell’adeguatezza dei meccanismi processuali e della loro attuazione, senza nessuna menzione alla tutela dell’affidamento riposto dall’opponente sulla iniziale approccio interpretativo, per lui, più restrittivo; affidamento che lo aveva condizionato nelle proprie scelte di tutela. A tal riguardo, ha affermato che “il fatto che il debitore ignorava, al momento in cui questa precedente decisione giurisdizionale è divenuta definitiva, il proprio status di consumatore, ai sensi della direttiva 93/13, è irrilevante, poiché, come ricordato al punto 53 della presente sentenza, il giudice nazionale è tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva”.

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