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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 27 marzo 2024, n. 8304.

di Sara Pezzotta

Studio Legale Gladys Castellano

La Corte di Cassazione Sezione III Civile si è pronunciata, con ordinanza del 27 marzo 2024 n.8304, in tema di istanza di verificazione della sottoscrizione della fideiussione, con focus sulla necessaria produzione (tempestiva) del documento in originale nonché in tema di autorizzazione del fideiussore ai sensi dell’art.1956 c.c., ponendo l’attenzione sui principi di buona fede e correttezza, quali criteri guida del comportamento delle parti.

Il caso.

La banca otteneva dal Tribunale di Monza un decreto ingiuntivo nei confronti dei fideiussori di una società fallita.

Uno dei fideiussori, tale A.A., incardinava il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo disconoscendo la propria sottoscrizione in calce alla fideiussione ed eccependo l’intervenuta violazione dell’art. 1956 c.c. (e la conseguente nullità della garanzia stessa) per non averlo la banca informato dell’intenzione di ulteriormente finanziare la società debitrice principale e dunque per non aver ottenuto la relativa autorizzazione.

Il fideiussore lamentava altresì la violazione degli obblighi di buona fede e trasparenza ex art.119 TUB per non averlo la banca informato sulle vicende relative ai rapporti garantiti.

Intervenivano in giudizio gli altri fideiussori e si costituiva in giudizio la cessionaria del credito chiedendo il rigetto della proposta opposizione.

In seguito a CTU, il Tribunale, in prime cure, dichiarava autentiche le sottoscrizioni apposte dai fideiussori sulla garanzia oggetto di causa, con rigetto della relativa opposizione.

Il fideiussore A.A. proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado in cui resistevano la banca e la relativa cessionaria. Restavano contumaci gli altri fideiussori. La Corte d’Appello di Milano rigettava il proposto gravame.

A.A. proponeva ricorso in Corte di Cassazione fondato su sei motivi.

La decisione.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso proposto dal fideiussore A.A., ritenendo gli altri assorbiti, affermando poi che “per ineludibile completezza, poiché l’errore presente nella sentenza emerge ictu oculi, si rileva comunque che anche il secondo motivo è manifestamente fondato”.

Il primo motivo di ricorso in punto mancata produzione dell’originale della scrittura oggetto di istanza di verificazione.

In appello il ricorrente aveva rilevato che la produzione, ai fini della verificazione della sottoscrizione, della fideiussione in originale dopo lo spirare dei termini ex art.183 comma 6 c.p.c. in primo grado fosse stata tardiva. Di conseguenza, l’originale della scrittura non sarebbe mai stato prodotto dalla banca, ma solo esibito (tardivamente) e pertanto l’istanza di verificazione avrebbe dovuto esser dichiarata inammissibile, con conseguente nullità della relativa consulenza tecnica.

La Corte aveva disatteso il motivo di appello per non avere il fideiussore, in sede di opposizione, contestato la conformità della copia della fideiussione prodotta dalla banca all’originale. Inoltre, a detta della Corte, in comparsa la banca avrebbe chiesto tempestivamente la verificazione, riservandosi ad un momento successo la produzione dell’originale del documento.

Con il primo motivo di ricorso in Cassazione, dunque, la doglianza del fideiussore, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., riguardava la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. per essersi svolta la verificazione della sottoscrizione della scrittura (fideiussione) su un originale esibito (peraltro tardivamente, ossia dopo il decorso dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.), ma mai prodotto.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale primo motivo in quanto ha considerato condivisibile il rilievo del ricorrente secondo cui la verificazione di una scrittura deve svolgersi necessariamente sul documento originale.

Ciò si ricava direttamente dalla lettura dell’art. 217 c.p.c. secondo cui  “Una volta proposta l’istanza di verificazione, il giudice istruttore deve disporre le opportune cautele per la custodia del documento ed il suo deposito in cancelleria ”.

Secondo la Suprema Corte in commento dunque “se la verificazione potesse effettuarsi sulla copia non vi sarebbe alcuna necessità di cautele opportune alla custodia del documento diverse e superiori rispetto alla tutela degli altri documenti prodotti e quindi presenti nei fascicoli di parte. Tale necessità di superiore tutela, peraltro, insorge solo quando viene disposta la verificazione…..e quindi non è sostenibile che, a differenza appunto degli altri documenti, quello oggetto di verificazione possa essere prodotto oltre i termini decadenziali”.

Nello stesso senso si sono espressi il Tribunale di Napoli n. 5678/2022 secondo cui quanto previsto in punto custodia dall’art. 217 c.p.c. “è ulteriore conferma che la produzione dell’originale dell’atto disconosciuto deve avvenire contestualmente alla proposizione dell’istanza di verificazione o, comunque, entro i termini ordinari imposti dal codice di rito” nonché Cass. Civ., Sez. II, con ordinanza 6 luglio 2018, n. 17902, secondo cui “La parte che intenda avvalersi di una scrittura privata disconosciuta deve presentare l’istanza di verificazione, in modo non equivoco, entro il termine perentorio previsto per le deduzioni istruttorie delle parti, ossia entro il termine entro il quale è possibile la produzione del documento (conf. Cass. n. 2411/2005)”.

Nel caso contrario, “i documenti sono inutilizzabili ai fini della decisione e privi di rilevanza probatoria” posto che, a maggior ragione nel giudizio di ingiunzione, come nel caso di specie, “Come è noto….. per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti (Cass. civ. Sez. I, 27/06/2000, n. 8718)” (cfr. sempre Tribunale di Napoli n. 5678/2022).

Infine sul punto si è espressa la Corte D’Appello di Milano n. 3588/2022 secondo cui l’istanza di verificazione di un documento disconosciuto può considerarsi implicitamente abbandonata, a seguito della mancata produzione delle scritture in originale e “un documento disconosciuto che non sia fatto oggetto di regolare istanza di verificazione resta una prova muta e non può formare oggetto di alcun apprezzamento da parte del giudice, di conseguenza, la parte che aveva prodotto in giudizio e intendeva avvalersi della prova documentale rappresentata dalle scritture private (ex adverso disconosciute nella sottoscrizione) aveva l’onere di produrne gli originali”.

Non è mancato tuttavia un orientamento divergente della Suprema Corte n. 23959/2023 secondo cui “l’istanza di verificazione………….non esige la formale apertura di un procedimento  incidentale, né l’assunzione di specifiche prove; da ultimo: Cass. 02/11/2022, n. 32169; Cass. 04/07/2017, n. 16383).  Coerentemente con la descritta struttura, gli artt. 216 e 217 del codice di rito non prescrivono, quale requisito di ammissibilità della istanza di verificazione (proposta in via incidentale o principale), la produzione dell’originale, dacché la parte che su di essa fondi la propria pretesa è abilitata a dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento con i mezzi ordinari di prova”.

L’orientamento non è condivisibile in quanto la pronuncia in commento sancisce chiaramente che in mancanza dell’originale “potrà essere possibile provare con i mezzi di prova ordinari il contenuto del documento, ma giammai la firma”.

 

Il secondo motivo di ricorso in punto autorizzazione del fideiussore ex art.1956 c.c.

In sede di appello il ricorrente denunciava il mancato riconoscimento, da parte del giudice di prime cure, della violazione dell’art. 1956 c.c. e del mancato rispetto dei doveri di buona fede e correttezza da parte del creditore nonché la mancata declaratoria di nullità della garanzia per non averlo la banca informato della sua intenzione di ulteriormente finanziare la debitrice principale e dunque per non aver ottenuto la relativa autorizzazione prevista dalla norma.

Con il secondo motivo di ricorso in Cassazione, il fideiussore ricorrente faceva valere dunque, ex art. 360, comma 1,n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1956 c.c., argomentando in particolare in punto assolvimento dell’onere probatorio in relazione alla richiesta di autorizzazione del fideiussore per l’obbligazione futura, gravante sul creditore.

La pronuncia in commento aderisce al consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 21730/2010 e Cass. n. 27932/2018) secondo cui nell’art. 1956 c.c. è stato “incorporato il principio di correttezza/buona fede per cui la norma – rileva la Relazione ministeriale al Codice Civile – richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”.

Secondo la Corte dunque il principio di correttezza e buona fede è un “principio giuridicamente etico” da intendersi in senso oggettivo in quanto “manifesta un dovere di solidarietà rinvenibile nell’art. 2 Cost., che crea una tutela reciproca delle parti pur essendo queste titolari di interessi contrapposti”.

Ogni parte del contratto pertanto dovrà operare in senso reciproco, preservando cioè gli interessi dell’altra parte (cfr. Cass. n. 32774/2019) e ciò in quanto “La buona fede nell’esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del “neminem laedere”, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico” (cfr. Cass. n. 32478/2019).

Il principio cardine è dunque tutela della controparte contrattuale e nello specifico caso che ci riguarda del fideiussore inconsapevole (esposto altresì al rischio di non potersi più rivalere sul debitore per quanto corrisposto al creditore) in attuazione della buona fede e della correttezza intese come salvaguardia dell’altro contraente (cfr. Cass. n.  21730/2010, Cass. ordinanza n. 5017/2023 e Cass. ordinanza n. 27932/208, nonché Corte d’Appello di Milano n. 3014/2023) e ciò sin dal primo momento in cui la banca abbia consapevolezza del significativo peggioramento della situazione economica e patrimoniale del debitore principale, con diretto riflesso sulla posizione del garante.

Ne deriva direttamente che l’onere del creditore di chiedere l’autorizzazione del fideiussore ex art.1956 c.c. “presidia il diritto ontologicamente solidaristico nella normativamente delineata species negoziale, del fideiussore di sottrarsi, non autorizzandola, ad un’obbligazione divenuta senza sua colpa maggiormente gravosa” (cfr. anche Cass. n. 7444/2017), anche in forza della valorizzazione della fiducia che il garante ripone nella solvibilità del debitore garantito.

Attraverso l’art. 1956 c.c. dunque il dovere astratto di correttezza e buona fede si concretizza e viene a caratterizzare il comportamento del creditore per l’intera durata della vicenda contrattuale (cfr. Cass.  n. 23273/2006) e difatti il concetto di “fare credito” non richiede necessariamente che venga instaurato un nuovo rapporto obbligatorio tra banca e creditore, ma comprende anche il rapporto preesistente coperto da fideiussione in quanto anche una diversa modalità di gestione del rapporto preesistente può generare un pregiudizio in capo al garante (cfr. Cass. n. 4112/2016).

Ciò in quanto nel corso del rapporto viene a generarsi una “modificazione qualitativa dell’oggetto dell’obbligazione del fideiussore…. in forza della quale l’art. 1956 c.c. opera come clausola rebus sic stantibus del rapporto fideiussorio, come meccanismo automatico di estinzione della garanzia” che cessa dopo l’intervenuto mutamento se non accompagnata dall’autorizzazione del garante (cfr. “Limiti alla clausola di esonero dall’osservanza dell’art.1956 c.c.” di Paolo Carbone, il Corriere Giuridico n. 101/1989, 1084 ss.).

L’applicazione concreta di tali principi generali comporta dunque che, di fronte ad un fideiussore inconsapevole del peggioramento della situazione patrimoniale del debitore e che abbia fatto affidamento su una certa garanzia patrimoniale del garantito stesso, la banca creditrice abbia uno specifico dovere di condotta e l’obbligo di salvaguardia, da leggersi in altri termini quale dovere di protezione, ossia la richiesta di autorizzazione ex art. 1956 c.c.

L’istituto di credito dunque “se non vuole perdere il beneficio ottenuto dal garante è tenuto pertanto ad informare il garante inconsapevole di tale situazione affinché non venga persa, in ragione della volontà del creditore di aumentare il proprio margine di rischio, la garanzia patrimoniale generica su cui il garante ha fatto iniziale affidamento” (cfr. Cass. n. 21730/2010) e ciò in quanto, correttamente, la banca “non può vantare alcuna pretesa nei confronti del fideiussore il soggetto garantito che, con un contegno contrario ai canoni di buona fede e correttezza contrattuale, abbia aggravato la posizione del garante” (cfr. Cass. n. 32478/2019).

Da tutto quanto sopra discendono anche le relative conseguenze sul piano probatorio.

Il fideiussore è onerato di provare che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. n. 8883/2020; Cass. n. 5833/2019; Cass. n. 6251/2018; Cass. n. 2132/2016; Cass. n. 2524/2006; Cass. n. 10870/2005; Cass. n. 18578/2023).

“In particolare, tale onere deve essere assolto mediante il raffronto della consistenza patrimoniale e della solvibilità del debitore esistente al momento della prestazione della fideiussione con la situazione verificatasi al momento della concessione del credito al terzo (cfr. Tribunale di Milano, n. 5577 del 29 giugno 2021).

Dal canto suo il creditore sarà onerato della relativa prova di aver adempiuto all’onere di richiesta di autorizzazione del fideiussore, il cui mancato adempimento comporterà che la banca dovrà subire la conseguenza della perdita della garanzia.

Tale mancato adempimento comporta inoltre “ove provato un danno risarcibile e tale rilievo costituisce un ulteriore elemento per considerare la rilevanza dell’obbligo di protezione cui è tenuto il creditore, che non si esaurisce al tempo del rilascio della fideiussione, ma permane per tutto il tempo della sua vigenza” (cfr. Cass. n. 2327372006).

In ultimo, la pronuncia in esame, ha affermato che “non è certo possibile che – come sembra invece ritenere il giudice d’appello – una clausola negoziale……possa esonerare il creditore garantito dall’adempimento delle fondamentali regole di correttezza/buona fede, id est dalla loro concretizzazione nell’art. 1956 c.c., “rovesciando” suoi derivati obblighi proprio sul soggetto – il fideiussore – che con essi la legge obbliga a tutelare”, in adesione a Cass. 8304/2024.

Trattasi verosimilmente della clausola contenuta all’art.5 del c.d. schema ABI di fideiussione, che addossa sul garante l’onere di informarsi delle condizioni patrimoniali del debitore e, in particolare, di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la banca.

Tale clausola è peraltro da ritenersi, nei rapporti consumeristici, abusiva, stante lo squilibrio contrattuale che viene a configurarsi tra le parti in quanto il Professionista viene ad addossare al Consumatore un obbligo informativo che non gli spetta, liberandosi indebitamente dei propri doveri da intendersi ineludibili ed addossandoli su un soggetto che non è in grado di assolverli, al solo scopo di esonerarsi dal rispetto del precetto di cui all’art. 1956 c.c.

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