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Nota a ABF, Collegio di Bari, 23 ottobre 2023, n. 10180.

di Caterina Vincenti

Studio Legale Vincenti

Con la recente decisione in oggetto, l’Arbitro Bancario Finanziario si è espresso in riferimento a una controversia, nella quale il ricorrente ha chiesto di accertare il proprio diritto a ottenere tutta la documentazione relativa alle operazioni effettuate da un delegato su un conto corrente e un deposito amministrato intestato al de cuius, oltre al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla impossibilità di conoscere la identità del soggetto che, a suo dire, ha posto in essere indebite operazioni su tali rapporti.

Il ricorrente, insoddisfatto della interlocuzione intercorsa durante la fase del reclamo, si è rivolto all’ABF, evidenziando che:

  • il conto corrente di cui era titolare il de cuius (rispetto al quale si è verificata la successione nei confronti del ricorrente), con potere di altra persona di agire per delega, era stato azzerato nel 2018 mediante giroconto bancario in favore di altro conto intestato alla persona delegata a operare;
  • dal deposito amministrato di cui il de cuius era titolare erano stati trasferiti titoli di stato ed obbligazioni pari a varie decine di migliaia di euro in favore di altro deposito amministrato intestato a persona diversa;
  • dall’esame dei vari estratti conto risultassero vari movimenti, tra cui prelievi di cifre consistenti in vari periodi e addebiti a vario titolo.

Per tali motivi, il ricorrente ha asserito che tali “comportamenti” sul conto corrente e sul deposito amministrato dal de cuius apparissero “poco giustificabili per entità, frequenze e modalità”, precisando di aver richiesto di conoscere chi avesse materialmente agito sui rapporti intestati al de cuius.

Inoltre, il ricorrente ha lamentato di non aver ricevuto le informazioni e i documenti richiesti dall’intermediario sia via PEC che di persona nelle filiali e che, pertanto, con tale condotta gli fosse stato negato il diritto di cui all’art. 119 comma 4 T.U.B., stante la violazione dell’obbligo di collaborazione e correntista da parte dell’intermediario.

Per tali motivi, il ricorrente ha quantificato in euro 87.320,00 il danno subìto e ha chiesto la condanna dell’intermediario finanziario a fornire tutte le informazioni richieste nonché di sanzionare “l’eventuale ulteriore inadempienza che si porrebbe come ulteriore corollario di altro comportamento scorretto evidenziato (chiusura del conto); il tutto oltre al risarcimento del danno consistente nel non aver potuto dare “maternità” o “paternità” alle varie operazioni bancarie”.

L’intermediario convenuto si è ritualmente costituito prendendo posizione sulle deduzioni di controparte:

  • ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per la mancanza di prova sulla legittimazione ad agire del ricorrente, dato che l’art. 119 TUB prevede che la documentazione bancaria spetti al cliente e a colui che gli succede a qualunque titolo ma, a detta dell’intermediario, parte ricorrente ha reiterato le sue richieste documentali in qualità di erede ma senza mai produrre la relativa documentazione attestante tale status (certificato di morte, copia di un eventuale testamento…);
  • ha evidenziato che la richiesta relativa alle operazioni di prelievo effettuate nel 2011 è fuori dai limiti temporali di cui agli artt. 119 TUB e 2220 c.c., dato che parte ricorrente ha richiesto informazioni su chi avesse disposto i prelievi in questione per la prima volta solo nel 2022;
  • quanto alla domanda risarcitoria, l’intermediario ha sostenuto che l’attribuzione di tale diritto debba essere suffragata da una prova idonea a consentire di qualificarlo e quantificarlo, circostanza che nel caso di specie non si è verificata: non avendo dimostrato la sua qualifica di erede, il ricorrente non può vantare un interesse giuridicamente tutelato rispetto all’integrità del patrimonio del correntista defunto.

A ciò si aggiunga che, sempre a sostegno delle sue ragioni, l’intermediario ha fatto notare che la quantificazione del danno si basasse solo su giudizi ipotetici e che comunque non vi era alcun obbligo di svolgere controlli su come il cliente (ed eventuali suoi delegati) spendesse il denaro.

Infine, secondo l’intermediario l’ABI non ha il potere di irrogare sanzioni nei suoi confronti e ha chiesto il rigetto del ricorso.

In seguito alle controdeduzioni dell’intermediario ha replicato il ricorrente rimarcando le sue deduzioni a sostegno della tesi di parte.

A questo punto è intervenuto l’Arbitro Bancario Finanziario il quale, in relazione alla domanda con cui l’intermediario ha eccepito la carenza di legittimazione attiva del ricorrente, ha dichiarato tale eccezione infondata e non meritevole di accoglimento. Infatti, nonostante la giurisprudenza di questo Arbitro abbia identificato la dichiarazione di successione (o la dichiarazione di esonero dalla presentazione della denuncia di successione) come il principale mezzo di prova documentale idoneo a dimostrare la qualità di erede, si è aggiunto che tale prova possa essere raggiunta anche tenendo conto del comportamento tenuto innanzi all’Arbitro dall’intermediario resistente: ne deriva che la verifica della qualità di erede non serve:

  • quando l’intermediario costituito abbia espressamente riconosciuto il diritto vantato dal ricorrente;
  • oppure quando il ricorrente ha svolto difese nel merito tali da ritenersi incompatibili con la negazione della titolarità del diritto.

A ciò si aggiunga che il c.d. Decreto Semplificazioni del 2020 ha ritenuto che la prova della qualità di erede può essere raggiunta anche mediante la produzione di allegazioni diverse rispetto alla dichiarazione di successione. Nel caso di specie il ricorrente ha prodotto, tra gli altri documenti, il certificato relativo allo stato di famiglia.

Peraltro, l’intermediario, in sede di riscontro ai reclami, ha tenuto un comportamento apparentemente in contrasto con l’eccezione preliminare sollevata dato che, tra le altre cose, ha pure consegnato la documentazione “inerente tutti gli estratti conto oggetto della richiesta” di febbraio 2023.

Alla luce delle risultanze documentali, pertanto, l’Arbitro ha ritenuto che il ricorrente e il cointestatario del ricorso sono eredi legittimi del de cuius per rappresentazione ai sensi dell’art. 467 c.c. e che bisogna riconoscere il loro diritto di richiedere la documentazione di cui all’art. 119, comma 4, TUB e la legittimazione ad agire.

Rispetto alla negata richiesta di esibizione dei documenti da parte del ricorrente, l’Arbitro ha ribadito che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo dei vari Collegi territoriali, “l’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione di consegnare la documentazione contrattuale per il suo smarrimento, in assenza di prova almeno indiziaria di caso fortuito o forza maggiore, non può essere qualificata quale causa non imputabile di estinzione dell’obbligazione stessa, trattandosi di un disservizio che inerisce alla sfera organizzativa e di controllo della banca medesima, sulla quale grava il dovere di custodire con diligenza la documentazione contrattuale.

Pertanto, ferma la censurabilità della condotta dell’intermediario e pur riconosciuto l’astratto diritto del ricorrente alla consegna della documentazione richiesta, il denunciato smarrimento di quest’ultima da parte dell’intermediario non consente di accogliere la domanda di consegna. Si è precisato, infatti, che la violazione dell’obbligo di fornire al cliente la documentazione richiesta potrebbe condurre non certo alla condanna a fornire documenti non più esistenti, ma unicamente a una responsabilità di natura risarcitoria per violazione del dovere di custodia”. Nel caso in esame è stato accertato l’inadempimento dell’intermediario – il quale è venuto meno ad una delle obbligazioni derivanti dal rapporto contrattuale con la clientela – ma, nonostante questo, la domanda del ricorrente non è stata accolta neanche dal punto di vista risarcitorio poiché sembra essere riferita alla impossibilità di poter conoscere la paternità delle operazioni contestate.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno, secondo l’Arbitro “manca qualsivoglia elemento idoneo a dimostrare – anche in via presuntiva, come vorrebbe il ricorrente – la sussistenza del pregiudizio asseritamente subito”. Tale decisione è stata motivata nel senso che (al di là dei criteri utilizzati per calcolare quantitativamente il pregiudizio) la sola prova del danno non può comportare il risarcimento del danno eventualmente subìto se il ricorrente si limita ad allegarlo senza assolvere all’ulteriore onere di dimostrarne l’esistenza.

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