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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 9 gennaio 2024, n. 670.

Segnalazione a cura dell'Avv. Nicola Stiaffini.

Massima redazionale

Sulla questione relativa alla tutela riconoscibile al soggetto che abbia stipulato un contratto di fideiussione “a valle” (nella specie, prestata a garanzia di una apertura di credito in conto corrente), in caso di nullità delle condizioni stabilite nelle intese tra imprese “a monte”, per violazione dell’art. 2, comma 2, della l. n. 287/1990, sono intervenute le Sezioni Unite[1]. Come noto, è stato statuito che la nullità dell’intesa “a monte” sia determinativa della “nullità derivata”, ai sensi dell’art 1419 c.c., del contratto di fideiussione “a valle”, ma limitatamente alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (che, peraltro, ha espressamente fatto salve le altre clausole).

La nullità parziale del contratto di fideiussione “a valle”, che riproduca le previsioni dello schema ABI colpite a loro volta da invalidità, per violazione della normativa anticoncorrenziale e limitatamente alle clausole riproduttive di quelle previsioni, comporta la nullità dell’intero solo ove la parte affetta da nullità risulti essenziale per i contraenti, che non avrebbero concluso il contratto «senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità», secondo quanto prevede (in piena conformità con le affermazioni della giurisprudenza europea, riferite alla normativa comunitaria) il diritto nazionale.

E sempre che di tale essenzialità la parte interessata all’estensione della nullità fornisca adeguata dimostrazione. Ciò avviene solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non abbia un’esistenza autonoma, né persegua un risultato distinto, ma sia, per converso, in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità[2].

Ebbene, ciò premesso, il Tribunale marchigiano, consapevole del dibattito giurisprudenziale in materia «che ha visto la giurisprudenza fortemente divisa tra l’applicazione dell’art 1419 c.c. e la tesi, tranciante, della nullità dell’intero» ha inteso aderire al secondo orientamento. I Giudici circondariali giustificano tale convincimento sull’affermazione, che si traduce in una petizione di principio, che in un mercato concorrenziale non falsato dalle intese tutte le Banche non avrebbero sottoscritto i contratti di fideiussione senza beneficiare delle clausole di reviviscenza o di sopravvivenza ex nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI e sull’apodittico assunto secondo il quale la valutazione dell’essenzialità delle clausole sarebbe stata fatta, a monte, dalla stessa ABI che le aveva predisposte.

Si tratta di un giudizio formulato in modo astratto, senza tener conto di alcuno specifico e preciso elemento controfattuale idoneo a dimostrare che la Banca non avrebbe stipulato la fideiussione con l’espunzione delle clausole vietate. Tanto più che, secondo le stesse Sezioni Unite, l’evenienza che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità in un caso come quello di specie è di ben difficile riscontro, quanto meno per il garante; ciò in quanto la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto l’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione.

 

 

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[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994.

[2] Cfr. Cass. 05.02.2016, n. 2314.

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