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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 15 maggio 2023, n. 13144.

di Sara Rescigno

Tirocinante ACF

Nella controversia presa in esame, il Ricorrente – che ha stipulato un contratto di leasing immobiliare a tasso variabile con la Banca odierna convenuta – ha impugnato in Cassazione la sentenza del giudice di Appello nella parte in cui: a) ha escluso la sommatoria tra tasso d’interesse corrispettivo e tasso d’interesse moratorio ai fini del superamento della soglia antiusura; b) ha ritenuto valida la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 11 delle condizioni generali del contratto di leasing; c) ha considerato valido l’ammortamento cd. ‘’alla francese’’ applicato al contratto di leasing immobiliare di cui si discute.

Il giudice di legittimità, nel pronunciarsi sul caso de quo, ha parzialmente accolto i primi due motivi di ricorso e ha ritenuto inammissibile il terzo motivo.

In relazione alla sommatoria tra tasso di interesse corrispettivo e tasso di interesse moratorio ai fini della verifica antiusura, la Suprema Corte ha ribadito «alcuni sicuri punti fermi […] fissati dalla recente giurisprudenza di legittimità».

Innanzitutto, la Corte, dopo aver richiamato una propria pronuncia del 2020[1], ha chiarito che la normativa antiusura non si applica soltanto agli interessi corrispettivi ed ai costi posti a carico della parte finanziata per il caso di regolare adempimento del contratto, ma anche agli interessi di mora.

La ratio di una simile previsione si rinviene nel fatto che quest’ultima intende sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.

Tuttavia, argomenta la Corte, l’applicazione della normativa antiusura agli interessi ed al costo complessivo della mora impone l’esigenza di stabilire, da un lato, quale sia la soglia oltre la quale il tasso deve intendersi usurario, dall’altro, quali siano le conseguenze dell’usurarietà dei soli interessi di mora in ordine alla validità e agli effetti del contratto, laddove gli interessi corrispettivi siano invece rispettosi della normativa antiusura.

Ebbene, la Corte ha individuato una diversa soglia antiusura per gli interessi moratori rispetto a quella fissata per gli interessi corrispettivi e ha stabilito che l’usurarietà del tasso di interesse di mora non incide sulla validità della clausola relativa agli interessi corrispettivi, né sull’obbligo di pagamento di questi ultimi.

In conclusione, la Suprema Corte ha sostenuto che «il principio della sommatoria dei rispettivi tassi degli interessi corrispettivi e di mora per stabilire il tasso contrattuale da confrontare con la soglia antiusura […] non è altro che uno – e, si potrebbe dire, il più grezzo – dei criteri utilizzabili per sintetizzare un tasso unico, […] oltre ad essere stato espressamente ripudiato in altre sentenze[2]».

La Corte, dunque, ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso in relazione a tale aspetto. Tuttavia, sempre in merito a tale primo motivo, il giudice di legittimità ha invece accolto le doglianze del Ricorrente, riconoscendo la sussistenza di un tasso di mora maggiore rispetto al tasso soglia in vigore in quel momento, pari al 9,51%.

Proprio in tale contesto, la Corte ha specificato che i decreti del Ministro del tesoro pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, con i quali viene effettuata la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, rilevanti ai fini della concreta individuazione dei tassi soglia di riferimento[3], sono atti normativi, dati i loro caratteri di generalità, innovatività ed astrattezza. Dal momento che si tratta di atti normativi, tali decreti vanno considerati alla stregua di vere e proprie fonti integrative del diritto, che il giudice deve conoscere a prescindere dalle allegazioni delle parti.

Per questo motivo, secondo il giudice di legittimità, è nullo il patto con il quale sono stati concordati interessi moratori che, alla data della stipula del contratto, eccedevano il tasso soglia di cui all’articolo 2 della L. n. 108 del 1996.

Il secondo motivo di ricorso si ricollega al primo, nella misura in cui la Suprema Corte non ha condiviso la conclusione del giudice di Appello con la quale, al fine di escludere la suddetta nullità del contratto di leasing, ha considerato valida la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 11 delle condizioni generali di contratto di leasing oggetto di controversia.

Invero, la Corte, come già osservato nel 2019[4], ha affermato che la clausola di salvaguardia giova a garantire che, pur in presenza di un saggio di interesse variabile o modificabile unilateralmente dalla banca, la sua fluttuazione non oltrepassi mai il limite stabilito dall’articolo 2, comma 4, della L. n. 108 del 1996.

Sebbene la clausola di salvaguardia ponga le banche al riparo dall’applicazione della sanzione prevista dall’articolo 1815, comma 2, c.c., per il caso di pattuizione di interessi usurari, la stessa non ha carattere elusivo, poiché il principio di ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto.

Tuttavia, ha argomentato la Corte, la contrattualizzazione di quello che è un divieto di legge non è priva di conseguenze sul piano del riparto dell’onere della prova.

Come affermato anche nella pronuncia della Corte del 2019, se l’osservanza del tasso soglia diviene oggetto di una specifica obbligazione contrattuale, alla logica della violazione della norma imperativa si sovrappone quella dell’inadempimento contrattuale, con conseguente traslazione dell’onere della prova in capo all’obbligato, ossia alla banca.

Nel caso di specie, pertanto, la Suprema Corte ha censurato la sentenza della Corte di Appello nella misura in cui non ha valutato la sussistenza del suddetto onere probatorio, considerando l’inserimento della clausola di salvaguardia nelle condizioni generali di contratto di per sé sufficiente ad escludere in radice l’usurarietà degli interessi moratori percepiti dalla società di leasing.

Dall’esame di questa seconda doglianza, il giudice di legittimità ha dunque affermato il seguente principio di diritto: «in tema di leasing immobiliare, l’inserimento di una clausola di salvaguardia, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale di mora dovrà essere mantenuta entro i limiti del cd. tasso soglia antiusura dall’articolo 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della società di leasing, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla società di leasing medesima, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto.»

In merito al terzo motivo di ricorso, il Ricorrente ha contestato al Giudice di Appello l’aver considerato l’ammortamento cd. ‘‘alla francese’’, applicato nel contratto di leasing di cui si discute «un modello di ammortamento ampiamente in uso presso gli istituti di credito e ritenuto comunemente legittimo dalla giurisprudenza».

Orbene, in relazione a siffatta doglianza, la Corte ne ha affermato la genericità e l’ha dichiarata inammissibile.

Nell’ammortamento alla francese, gli interessi dovuti sull’intero finanziamento vengono ripartiti nelle singole rate e sono calcolati sul capitale residuo, non ancora restituito, senza che quindi si verifichi l’addebito di interessi sugli interessi maturati, che è l’ipotesi disciplinata dall’articolo 1283 c.c.

Secondo la Corte, pertanto, non può ritenersi sufficientemente specifica la censura sollevata denunciando soltanto che l’ammortamento alla francese dia un risultato anatocistico, senza accompagnare tale asserzione da specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrare l’avvenuta concreta produzione, nella specie, di tale risultato.

 

 

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[1] Cfr., Cass., n. 19597 del 18.09.2020.

[2] Cfr., Cass., n. 26286 del 2019; Cass., n. 31615 del 2021; Cass., n. 14214 del 2022.

[3] Si veda, in tal senso, il rinvio operato dall’articolo 2 della L. n. 108 del 1996.

[4] Cfr., Cass., n. 26286 del 2019. Benché tale sentenza sia stata resa con riferimento ad un contratto di mutuo fondiario, i suoi principi sono agevolmente applicabili anche all’odierna fattispecie, in cui si è al cospetto di un contratto di leasing immobiliare, data la comune finalità di finanziamento, anche se funzionale all’acquisto ovvero all’utilizzazione dello specifico bene coinvolto.

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