Nella specie, la Corte territoriale aveva sostanzialmente escluso la responsabilità della banca trattaria, attribuendo rilievo al fatto che le firme false fossero difficilmente distinguibili da quelle vere. Siffatta conclusione è coerente col principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per cui, in caso di pagamento da parte di una banca, di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui tale alterazione sia rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo[1].
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[1] Cfr. Cass. 19 giugno 2018, n. 16178; Cass. 4 ottobre 2011, n. 20292; sul fatto che la regola trova applicazione nei confronti sia della banca negoziatrice che della banca trattaria, tenuta, quando il titolo le viene rimesso in stanza di compensazione, a rilevarne l’eventuale alterazione o falsificazione verificabile con la diligenza richiesta al bancario medio; Cass. 4 agosto 2016, n. 16332; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1377.