Nota a Trib. Brindisi, 6 novembre 2025, n. 1466.
Il Tribunale di Brindisi, con la recentissima sentenza in oggetto, si inserisce nell’ampio dibattitto giurisprudenziale relativo alla perimetrazione del socio-garante consumatore, apportando un importante contributo chiarificatore circa la valenza di una quota minimale di partecipazione.
Invero, il giudice brindisino, ritenendo non meritevole di accoglimento l’assunto di parte opponente circa la sussistenza della competenza del Tribunale adito, in applicazione del foro del consumatore ex art. 66bis cod. cons., ha evidenziato, in primo luogo, come sia gravante sulla medesima parte l’onere di provare la dedotta qualità di “consumatrice”: ebbene, nella specie, non vi era stato tale assolvimento, «non essendo a tal fine sufficiente aver dedotto la “misura minimale” della sua quota societaria ed “il mancato esercizio di attività di gestione” in seno alla società». Invero, è premura del Tribunale rammentare il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, per cui «nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento. Di talché è possibile qui ribadire, alla luce della giurisprudenza unionale e nazionale, il principio per cui la qualifica di “consumatore” va invece esclusa in capo al fideiussore ogniqualvolta la prestazione della garanzia rientri nell’attività professionale del garante ovvero vi siano collegamenti funzionali che lo leghino all’attività svolta dalla società garantita»[1].
Nel caso portato all’esame del giudice pugliese, erano documentalmente provate la qualità di socia della garante, nonché la qualità di lavoratrice dipendente presso la Società garantita, rivestite, ambedue, alla data di sottoscrizione della garanzia fideiussoria, dall’opponente, che non aveva provato, per converso, di aver prestato la fideiussione per finalità estranee all’attività sociale. È evidente che, in assenza di detta prova, «la prestazione della fideiussione deve ritenersi fatta nella qualità di “socia” e deve ritenersi riconducibile a tale qualità così come strettamente funzionale al ruolo dalla medesima rivestito in seno alla società (a prescindere dal compimento o meno di attività gestoria)».
In senso ulteriormente avvalorativo dell’insussistenza della qualifica di “consumatrice” deponevano, peraltro, il dato comprovato che l’attrice – sempre al momento della prestazione della garanzia – fosse cointestataria del conto corrente presso cui confluivano le somme derivanti dagli utili della Società, nonché la circostanza fattuale delle ulteriori fideiussioni, prestate dalla medesima socia, per altre linee di credito, sempre assistite dal fondo pubblico di garanzia, ex art. legge n. 662/96, di cui la Società aveva beneficiato nel corso degli anni.
La valutazione del giudice brindisino appare, giustamente, tranciante: tutti i dati rassegnati «concorrono univocamente a comprovare la coincidenza tra gli interessi economici dell’opponente e quelli imprenditoriali della [Società] così come la disponibilità degli utili di questa seconda da parte dei suoi soci».
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Stante l’indubbia attualità della questione, la pronuncia del Tribunale di Brindisi è di particolare rilievo anche per quanto statuito circa la natura della garanzia del Fondo pubblico, ex lege n. 662/96, e l’inopponibilità al gestore Mediocredito Centrale dei vizi di legittimità del rapporto bancario sottostante e delle relative fideiussioni.
Orbene, in ragione della funzione indennitaria e dell’autonomia negoziale della garanzia del fondo pubblico, i presunti vizi di legittimità e nullità del rapporto bancario sottostante non possono essere opposti né dalla debitrice principale, né, tantomeno, dai suoi garanti, avverso il credito vantato dall’opposta, a titolo di rimborso dell’indennizzo da quest’ultima versato alla Banca mutuante, a seguito dell’escussione del Fondo[2]. Unica eccezione è la residuale ipotesi dell’exceptio doli generalis, ovverosia di quei vizi inficianti la legittimità e regolarità del procedimento di escussione del Fondo pubblico (escussione di per sé stessa costituente presupposto ai fini di una legittima e valida emissione della cartella esattoriale, integrante essa stessa titolo esecutivo).
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 27 febbraio 2023, n. 5868; Cass. Civ., Sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 742, La qualifica consumeristica del fideiussore: il definitivo superamento della teorica della professionalizzazione di “rimbalzo”. – Diritto del Risparmio.
[2] Cfr. Trib. Bari, 10 luglio 2023, n. 2802.
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