Nota a Cass. Civ., Sez. I, 24 ottobre 2025, n. 28335.
Massima redazionale
Laddove una delle parti del giudizio venga ad agire nella veste di cessionaria in blocco di crediti e, sul punto, vengano mosse contestazioni, si deve, in primo luogo, operare una distinzione tra l’ipotesi in cui il debitore ceduto venga a contestare unicamente l’inclusione dello specifico credito vantato nei propri confronti tra quelli oggetto della cessione, dall’ipotesi in cui ad essere contestata sia l’esistenza stessa della cessione.
Ne consegue che ove non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, pertanto, di ricondurre la pretesa con certezza tra quelle comprese nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete[1].
Diverso è il caso in cui sia oggetto di specifica contestazione la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in tale ipotesi, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e neppure la mera “notificazione” della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco: «..una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini dell’efficacia della cessione – un’altra, la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima»[2]. Ciò non esclude, tuttavia, che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione[3] e tale questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da parte del giudice del merito.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, con un’articolata e pertinente motivazione, ha ritenuto che la cessionaria avesse assolto all’onere di provare di aver acquistato i crediti già nella titolarità della Banca cedente. In particolare, il giudice d’appello ha evidenziato che l’avviso in Gazzetta Ufficiale consentiva di individuare senza incertezze i rapporti ceduti – vale a dire i crediti derivanti da contratti di mutuo, da apertura di credito, finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e società nel periodo compreso tra il 1963 ed il 2020 e qualificati come attività deteriorate – anche in considerazione della mancata contestazione da parte della debitrice dei rapporti di mutuo con la cedente.
Al contempo, la Corte d’Appello ha coerentemente ritenuto che la debitrice, con la propria condotta processuale, avesse esplicitamente o quantomeno implicitamente riconosciuto l’intervenuta cessione del credito e l’inclusione di quello oggetto di causa nella cessione in blocco. Né è corretta l’affermazione di parte ricorrente secondo cui il principio di non contestazione non potrebbe operare con riguardo a questioni rilevabili d’ufficio, qual è quella di difetto di legittimazione attiva (rectius, titolarità attiva del rapporto controverso). In proposito, dall’attenta lettura della sentenza delle Sezioni Unite[4], emerge che se, da un lato, è stato effettivamente affermato il principio secondo cui la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice, ove risultante dagli atti di causa, dall’altro, tale principio non confligge affatto con quello secondo cui l’attore non è onerato della prova della titolarità della posizione soggettiva nel caso di suo riconoscimento ad opera della controparte o in caso di svolgimento da parte del convenuto di difese incompatibili con la negazione di tale posizione. La pronuncia delle Sezioni Unite, infatti, al punto 52, ha chiarito che «la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può avere rilievo, perché può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto. Ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo». Tale ragionamento è stato sviluppato nel successivo punto 54 in cui le Sezioni Unite hanno affermato che «…Può poi accadere, come si è anticipato, che la difesa sia articolata in modo incompatibile con la negazione della titolarità del diritto di proprietà: anche in questo caso la prova il cui onere è a carico dell’attore può dirsi raggiunta. Né sarebbe consentito in seguito al convenuto, tanto meno in appello, proporre una nuova esposizione dei fatti questa volta compatibile con la negazione del diritto…». È proprio quello che è avvenuto nel caso di specie. Come ricostruito dalla sentenza impugnata, la società poi fallita non solo, in tutto il giudizio di primo grado, non aveva contestato la titolarità del credito in capo alla cessionaria, ma la aveva addirittura esplicitamente riconosciuta, salvo mutare – inammissibilmente, come evidenziato anche dalle Sezioni Unite – la propria strategia nel giudizio di reclamo, iniziando così a contestare la “legittimazione attiva”.
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[1] Così, Cass. n. 17944/2023; Cass. n. 9412/2023.
[2] Così, Cass. n. 22151/2019.
[3] Così, Cass., n. 17944/2023.
[4] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., n. 2951/2016.
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