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Nota a Trib. Milano, Sez. VI, 10 settembre 2024, n. 7936.

Massima redazionale

È infondata la doglianza di nullità del contratto, poiché l’indicizzazione dei canoni parametrata all’EURIBOR e la quantificazione di quest’ultimo sarebbe stata influenzata da un accordo anticoncorrenziale. In primo luogo, la Banca non era una di quelle aderenti all’illecito antitrust.

La disciplina contenuta nella Direttiva 2014/104/UE e trasposta nell’ordinamento italiano con il D.lgs. 19.01.2017, n. 3 attribuisce la legittimazione passiva per il “danno causato da una violazione del diritto della concorrenza” esclusivamente all’autore della violazione, i.e. “l’impresa o l’associazione di imprese che ha commesso la violazione del diritto della concorrenza”. In secondo luogo, è stato chiarito dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione[1] che “il cosiddetto contratto ‘a valle’ costituisce lo sblocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti” e che “la funzione illecita di una intesa si realizza per l’appunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anti-competitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile”. In altri termini, il contratto si trova “a valle”, perché serve a dare esecuzione all’intesa anticoncorrenziale e a realizzare gli scopi illeciti delle imprese aderenti ed è, per tale strumentalità a un fine illecito, colpito da nullità ex art. 1418, comma 1, c.c., e art. 2 legge n. 287/90. Lo scopo illecito consiste, in modo evidente, nel miglioramento da parte delle Banche aderenti alla concertazione dei propri flussi reddituali in relazione alle “posizioni di negoziazione/esposizioni assunte”.

Due sono, pertanto, le primarie differenze tra il caso all’odierno esame e i precedenti riguardanti lo schema di fideiussione omnibus, raccomandato dall’ABI alla generalità delle banche aderenti e da queste volontariamente adottato; segnatamente:

  • manca l’intervento di un ente esponenziale degli interessi dell’intero ceto bancario;
  • manca una posizione collettiva comune all’intero ceto bancario nei confronti della clientela.

In definitiva, secondo il giudice milanese, non è possibile qualificare come contratto “a valle”, agli effetti della repressione dell’intesa anticoncorrenziale, qualsiasi contratto di credito in corso di esecuzione, negli anni tra il 2005 e il 2008 e parametrato all’EURIBOR, a prescindere dall’accertamento (decisivo) dell’adesione dell’impresa bancaria all’intesa per la manipolazione del prezzo.

 

 

 

 

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[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un, 04.02.2005, n. 2207 e Cass. Civ., Sez. Un., 30.12.2021, n. 41994.

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