Nel mio precedente approfondimento[1], rivolgevo alcune considerazioni critiche all’ordinanza n. 34889, del 13 dicembre 2023, della Cassazione. In quella nota sostenevo che erano irrealistiche le “promesse”, fatte da molti studi legali e associazioni di consumatori, di facili e generalizzati recuperi delle rate di mutui indicizzati all’Euribor.
Mi sembrava – e mi sembra – che il “terreno giusto” per tutelare, a ragion veduta, i consumatori, non fosse affatto quello della manipolazione dell’Euribor, perché, anche ammesso che un qualche pregiudizio sia derivato da questa attività manipolatoria, esso è, con tutta probabilità, molto inferiore a quello che essi continuamente subiscono, nel più completo silenzio, nell’intrattenere altri rapporti bancari. Basti pensare alle eccessive spese relative a talune operazioni o agli enormi costi dovuti al conflitto di interessi che affligge la prestazione dei servizi di investimento.
Successivamente altre critiche – ben più autorevoli di quella dello scrivente – sono state rivolte alla citata ordinanza e mi riferisco a quella della Procura Generale della Cassazione resa all’udienza pubblica del 27 Marzo 2024 e alla sentenza n. 12007 del 3.5.2024 di detta Corte.
Quest’ultima decisione, manifestando sensibilità per l’importanza, anche mediatica, della questione si preoccupa di fornire un indirizzo per la futura gestione dei processi che riguarderanno i mutui regolati all’Euribor e, a tale scopo, fissa alcuni principi di diritto che riducono considerevolmente le prospettive di recuperare quanto pagato per le rate di mutuo a tasso indicizzato all’Euribor manipolato.
Questi principi hanno, come minimo comune denominatore, l’introduzione di notevoli oneri probatori a carico di chi agisce contro le banche.
In primo luogo, chi agirà per la restituzione delle rate del mutuo indicizzato all’Euribor ed erogato da una banca che non ha partecipato al cartello (anche se componente del panel), dovrà dare la prova che detta banca era a conoscenza della esistenza di pratiche/intese volte a manipolare l’Euribor e che intendeva “conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche” così da dare, con tali contratti, applicazione concreta a quelle pratiche o intese. Se questa prova non viene fornita – afferma la Corte – “va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE”.
Il principio fa applicazione del criterio del “collegamento funzionale” (SS.UU. 2207/2005 e 41994/2021), che instaura una relazione fra l’intesa/pratica anticoncorrenziale e la successiva stipula del contratto di mutuo nel senso che quest’ultima ne costituisce l’attuazione che trasferisce gli effetti all’utente finale/consumatore. Affinché questo collegamento possa sussistere, il requisito della conoscenza in capo alla banca agente, è imprescindibile.
Al fine di assolvere questo onere probatorio, non vedrei altro mezzo che gli atti disponibili dell’ormai datato procedimento instaurato dall’Antitrust europeo con i rispettivi seguiti giudiziali, atti che sono gli unici a contenere l’accertamento dei fatti accaduti.
Se le considerazioni fatte hanno qualche fondamento, ne discenderebbe che la conoscenza delle intese sarebbe dimostrabile solo a carico delle banche indagate in quel procedimento, (indipendentemente dal fatto che abbiano definito con transazione o siano andate a giudizio) e, dunque, solo queste potrebbero essere utilmente perseguite, mentre ben difficile risulterebbe agire nei confronti delle banche del panel – in particolare le italiane Banca Intesa e Unicredit – di cui non risulti la partecipazione alle attività manipolatorie. In ogni caso, è da escludere che alle piccole banche locali possa fondatamente attribuirsi la benché minima conoscenza di qualsiasi manipolazione dell’Euribor.
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Il secondo principio fissato dalla decisione qui in commento è il seguente: «le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse»;
«in tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le
conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione con-
creta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento».
Dunque non basta provare la conoscenza dell’intesa da parte del mutuante, ma occorre anche provare che l’alterazione del tasso è stata oggettiva, effettiva e significativa cioè una alterazione tale da incidere sensibilmente sui carichi economici del contratto.
In un procedimento di fissazione dell’Euribor del tutto vago e sfuggente in quanto basato su mere opinioni e privo di ancoraggio concreto alle operazioni effettuate, non è chiaro come sia possibile dare tale dimostrazione anche perchè non si tratta di formulare ipotesi teoriche o affermare come “sarebbe potuta” avvenire la manipolazione, ma di stabilire come questa è avvenuta in concreto. Non è dato, infatti, capire in che modo e con quale criterio una quotazione, frutto di una opinione del quotante, dovrebbe essere sostituita da un’altra opinione (?).
Un solo rilievo sembra ragionevole ed è che gli effetti finali dovuti alla manipolazione erano, al massimo, nell’ambito di pochissimi (se non addirittura frazioni di) punti base, vale a dire centesimi di punto percentuale; lo 0,01%. Se ciò fosse confermato, il rilievo dell’alterazione nel singolo mutuo sarebbe minimo se non, addirittura, irrilevante.
La decisione si conclude rinviando al futuro l’individuazione del tasso sostitutivo applicabile nel caso in cui non si riesca a determinare il tasso genuino vale a dire quello “depurato dalla abusiva alterazione”.
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Durante la preparazione di questa nota è intervenuta l’ordinanza interlocutoria n. 19900/2024 del 19/7/2024 con cui la prima sezione della Corte di legittimità chiede la rimessione della causa alle Sezioni Unite su due questioni di fondo.
In primo luogo si chiede che le SS.UU chiariscano se il contratto di mutuo che contiene la clausola di determinazione degli interessi parametrata all’euribor costituisca un negozio a valle rispetto all’intesa restrittiva della concorrenza accertata dalla Commissione europea.
La risposta attesa è, peraltro, compiutamente anticipata nell’ambito del provvedimento ed è nettamente negativa con la conseguenza che appare abbastanza prevedibile una esclusione della nullità dei contratti di mutuo contenenti il riferimento all’Euribor manipolato.
Il secondo quesito riguarda la clausola contrattuale di rinvio all’Euribor e le conseguenze della sua alterazione se, cioè, quest’ultima determini la nullità della clausola per indeterminabilità dell’oggetto o se, invece, essa debba essere valutata nell’ambito del processo di formazione della volontà delle parti e/o della responsabilità per danni. La soluzione è, di nuovo, anticipata nel corpo dell’atto e corrisponde alla seconda ipotesi formulata. Nel testo (p. 22 della motivazione), può, anche rintracciarsi la norma applicabile e cioè l’art. 1439 c. 2 cod. civ.
E se non fosse questione di concorrenza?
A me sembra che il dibattito che si è svolto in relazione alla manipolazione dell’Euribor e dei suoi riflessi sui mutui a tasso variabile, presenti profili non convincenti che necessiterebbero, forse, di approfondimento non solo giuridico, ma anche economico.
Conscio delle mie limitate cognizioni economiche in tema di concorrenza, modestamente proverò ad esporre queste perplessità.
In primo luogo, come già a suo tempo rilevato, non convince che l’Euribor venga dichiarato nullo (in quanto manipolato), tutto e sempre, pur senza sapere nulla in merito a cosa, quando e come sarebbe stato alterato. Non è noto, né tanto meno provato, quale tasso sarebbe stato manipolato: quello a 3 mesi?, o quello a 6 mesi?…. in quale data è avvenuta la manipolazione? Il fixing di una data diversa (es. il giorno successivo) sarebbe perfettamente genuino ed utilizzabile come base per un mutuo. E ancora: da dove risulta che le intese bilaterali intervenute hanno avuto concreto seguito e attuazione posto che i trader ben potevano dire una cosa e poi fare l’opposto?
E, per finire, vi è un’idea (più o meno) esatta dell’entità della manipolazione, la sua interferenza sul dato finale?
L’entità della alterazione merita attenzione poiché se dovesse – come pare molto probabile – limitarsi a pochi punti-base, il vizio di anticoncorrenzialità verrebbe meno in quanto, ai sensi dell’art. 2 c. 2 L.287/1990, per potersi dichiarare la nullità dell’intesa e del successivo contratto, occorre che il gioco della concorrenza sia alterato in “maniera consistente”. E, tra l’altro, questi pochi, o pochissimi, punti-base di alterazione, potrebbero, addirittura, essere a vantaggio del mutuatario.
Altro rilievo concerne la innegabile difformità fra la condotta descritta dall’art.101 TFUE (o dall’art. 2 della legge 287/1990) e i fatti descritti nella “Sintesi della decisione della Commissione del 4 dicembre 2013”.
Mentre la norma pone l’intesa anticoncorrenziale come antecedente logico e cronologico destinato a modificare prezzo e condizioni dei singoli contratti che, in seguito, saranno conclusi “a valle” (così Cass. SS.UU 2207/2005 e 41994/2021), nel nostro caso avviene proprio il contrario nel senso che, a monte, c’è il contratto in Eird (derivati) e a valle c’è l’intesa. Ciò risulta dalla predetta “Sintesi” laddove si afferma che “le preferenze di certi operatori per un fixing invariato, basso o elevato di determinate scadenze dell’EURIBOR…. dipendevano dalle loro posizioni di negoziazione/esposizioni”.
Se ciò è vero, lo scopo dell’intesa non era affatto quello di accordarsi con le altre banche per aumentare i futuri prezzi del mercato, ma quello di estrarre un guadagno maggiore o pagare un prezzo minore su quello specifico contratto già in essere e che doveva essere regolato ad una certa scadenza ben nota al trader. Ciò è dimostrato anche dal fatto che le manovre per influenzare il fixing cominciavano, a volte, molti giorni prima poiché i trader erano perfettamente al corrente della scadenza del contratto ed iniziavano, per tempo, a “pilotare” il fixing a proprio vantaggio.
La recente ordinanza interlocutoria della Cassazione ha colto precisamente questo punto laddove (n. 18 del Provvedimento), afferma che “”La accertata intesa restrittiva era orientata alla riduzione dei flussi di cassa che i partecipanti avrebbero dovuto pagare a titolo degli Eird o dall’aumento di quelli che essi dovevano ricevere a tale titolo…” ma non si è spinta, però, fino a coglierne la contraddittorietà con la normativa anticoncorrenziale.
Ulteriore notazione è che non è chiaro, a chi scrive, in che cosa possa consistere – in relazione al mercato dei mutui – l’anticoncorrenzialità di un fixing dell’Euribor al ribasso.
Forse ciò ha senso per il prezzo degli Eird, ma nel mercato dei mutui il tasso minore lungi dall’essere contrario alla concorrenza, è il primo effetto di questa.
Ciò detto, a una valutazione più attenta, non è chiaro che cosa, per sua natura e funzione, l’Euribor abbia a che vedere con la competizione concorrenziale.
Infatti l’Euribor non è un tasso di mercato, un prezzo; di per sé non regola nessun mutuo o nessuna obbligazione. Esso è, invece, (cfr. la Sintesi della decisione della Commissione del 4 dicembre 2013), “un tasso di interesse di riferimento ampiamente utilizzato sui mercati monetari internazionali e il cui scopo è rispecchiare il costo dei prestiti interbancari in euro”.
In quanto tasso di riferimento, la funzione dell’Euribor in un mutuo, non è quella di prezzo, ma quella di parametro unico e attendibile a garanzia di entrambe le parti, soprattutto della parte debole, atteso che consente di sottrarre al totale arbitrio della banca la rideterminazione, ad ogni scadenza, del tasso variabile applicato allo specifico prestito.
La Banca d’Italia conferma la grande importanza di questo indice[2] nel suo bollettino mensile dell’ottobre 2013[3] in cui si legge che i tassi di interesse del mercato monetario in euro fra cui l’Eonia e l’Euribor “svolgono un ruolo essenziale anche nel canale dei tassi di interessi, che trasmette l’orientamento di politica monetaria lungo la curva dei rendimenti. Con il tempo hanno quindi acquisito una funzione sociale e ora costituiscono un bene pubblico. Entrambi i tassi di interesse aiutano ad assicurare un parametro di riferimento omogeneo per la determinazione dei prezzi nell’intera curva dei rendimenti del mercato monetario in tutta l’area dell’euro”.
Ciò significa che, quando quotano l’Euribor, le banche del panel non hanno (non dovrebbero avere) la prospettiva di prendersi, condizionare o dividersi un mercato (e come potrebbero se il mercato addirittura ignora la quotazione espressa da ciascuno), ma contribuiscono (dovrebbero contribuire) alla definizione dell’indice a beneficio di tutti. Allora la procedura, ove correttamente svolta, non è competitiva, ma partecipativa/collaborativa con la supervisione di terzi estranei e indipendenti.
In questa situazione, il fatto che lo scopo (e la procedura) dell’Euribor sia stato distorto a vantaggio di qualche banca, a mio avviso, ha poco a che vedere con la disciplina sulla concorrenza e molto, invece, col conflitto di interessi, il falso o la frode anche a causa di un carente impianto regolatorio svincolato da riferimenti alle transazioni effettivamente eseguite.
Se il Regolatore concede, ad una banca, la facoltà di incidere sul prezzo dei suoi contratti, essa, prima o poi, ne approfitterà ed agirà a proprio vantaggio e a svantaggio del cliente.
In conclusione, a me sembra, la natura, la funzione, la unicità dell’Euribor, non consentano, almeno per quanto riguarda i mutui (diverso potrebbe essere il discorso per quanto riguarda gli Eird e il loro prezzo), di classificarlo fra i prodotti in concorrenza. Al contrario, è proprio l’Euribor che, costituendo una “base di partenza” uguale per tutti, consente, con il mezzo dello spread, l’attuazione di una concorrenza piena in cui la competizione avviene “a partire dall’Euribor”.
D’altro canto, qualche ipotetico punto-base di alterazione dell’Euribor non mi sembra determinante (anche ai sensi dell’art. 2 L.287 cit.), sotto il profilo della concorrenza, a fronte delle ben più cospicue differenze di tasso praticato dalle varie banche.
Un’importante, anche se indiretta, conferma della non convincente classificabilità dei fatti occorsi nell’ambito della normativa sulla concorrenza, a mio avviso, può essere rintracciata nella disciplina europea in tema di Abusi di Mercato (Regol. 596/2014-2016/1011) e negli art. 180 e segg. del TUF che ne hanno attuato il recepimento. In particolare il TUF all’art. 182 c. 2, lett. c, ha disciplinato, in modo specifico, gli indici di riferimento (benchmark), categoria alla quale appartiene l’Euribor e ha richiamato gli artt. 185 e 187-ter intitolati entrambi “Manipolazione del mercato”. È un fatto che queste innovazioni normative, seguite allo scandalo ed intenzionate a porvi rimedio, lungi dal collocarsi nell’ambito della tutela della concorrenza, hanno trovato la propria sistemazione nell’ambito del TUF e degli abusi di mercato sotto il controllo della Consob e non, come avevo ipotizzato nel primo scritto, dell’AGCM. Se queste considerazioni sono corrette, il fenomeno della manipolazione dell’Euribor non ha molto a che vedere con la concorrenza.
Conclusivamente, a me sembra che la posizione decisamente restrittiva assunta da ultimo dalla Cassazione e le considerazioni esposte (se si ritengono corrette), consigliano ai mutuatari di coltivare poche speranze di recuperare le rate di mutuo da loro, a suo tempo, pagate.
Purtroppo c’è stato soltanto…“molto rumore per nulla”.
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[1] Il riferimento è a L. Giulietti, EURIBOR: molto rumore per nulla?, in questo Portale, 14 marzo 2024,Euribor: molto rumore per nulla?.
[2]L’Euribor fu introdotto nel nostro ordinamento con un decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica del 23 dicembre 1998 che ne ha riconosciuto l’applicabilità all’interno dello Stato in sostituzione dell’indice precedente.
[3] Rintracciabile all’indirizzo bancaditalia.it/pubblicazioni.
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