Nota a ACF, 7 agosto 2024, n. 7554.
Massima redazionale
Nel caso di specie, il Collegio sottolinea, in primo luogo, che i questionari censurati (divisi in questionario di adeguatezza e questionario di appropriatezza) erano sottoscritti con firma autografa; sicché, in virtù del principio di autoresponsabilità, più volte affermato, il ricorrente deve considerarsi tenuto ad assumersi la paternità delle dichiarazioni contenute nel documento.
Cionondimeno, i predetti questionari risultano decisamente scarni e redatti non in conformità con la relativa disciplina di settore. In particolare, l’intervista in punto di appropriatezza risulta del tutto priva di domande volte ad accertare la conoscenza dei prodotti finanziario-assicurativi, essendo formulati solo quesiti su concetti economici generali, da cui non è dato ricavare se il Cliente avesse reale conoscenza di un prodotto così peculiare come le polizze a carattere finanziario. Anche rispetto al profilo dell’esperienza emergono criticità, atteso che l’opzione (selezionata dal Cliente) volta ad affermare la precedente operatività in “azioni e prodotti finanziario-assicurativi”, nell’impedire la scelta soltanto di una delle due categorie, risulta inidonea a far comprendere chiaramente e univocamente di quali tipi di strumenti e prodotti finanziari il Ricorrente abbia avuto effettiva esperienza. A ciò potendosi aggiungere che l’esperienza dichiarata risulterebbe maturata presso Intermediari terzi, così traducendosi in un dato non direttamente controllabile dall’Intermediario, il quale prima di proporre un investimento di una portata così importante come quella d’oggetto di euro 500.000 avrebbe dovuto assicurarsi dell’effettiva conoscenza ed esperienza del Cliente in tale tipologia di prodotti.
A ben vedere, il questionario appare inidoneo allo scopo anche con riguardo alla raccolta delle informazioni su orizzonte temporale e propensione al rischio, stante che, per entrambi i punti, è presente una sola domanda. In particolare, si deve stigmatizzare la mancata rilevazione della tolleranza al rischio che, tra l’altro, il Ricorrente ha dimostrato per fatti concludenti di non avere, laddove, a fronte delle perdite maturate, ha deciso di disinvestire il prodotto nonostante anche l’applicazione di importanti penali di uscita. E ciò tanto più tenendo presente che, con l’introduzione di Mifid II, il rilevamento della tolleranza al rischio come pure la capacità dell’investitore di sostenere perdite costituiscono elementi che devono essere necessariamente raccolti dall’Intermediario, al fine di delineare il profilo del cliente. Il vero è che una sola domanda sugli obiettivi di rischio non può considerarsi conforme alla normativa di settore, così come interpretata anche alla luce degli orientamenti dell’ESMA in materia di adeguatezza, che ribadiscono la necessità che le imprese di investimento adottino misure ragionevoli e strumenti idonei a garantire che le informazioni raccolte sui clienti siano affidabili e coerenti, prestando attenzione a possibili contraddizioni presenti tra le varie informazioni raccolte e contattando il/la cliente con l’intento di risolvere eventuali incoerenze ed inesattezze. È ancora da osservare che la possibilità di rilevare incoerenze non può che risultare frustrata alla radice, se si formula un solo quesito per ogni requisito. In definitiva, le carenze testé rilevate in ordine alla fase di raccolta delle informazioni afferenti al profilo dell’investitore finiscono con il revocare in dubbio l’esito della stessa valutazione di adeguatezza/appropriatezza, il che radica la responsabilità dell’Intermediario sotto il profilo risarcitorio.
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