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di Fernando Greco

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Con l’ordinanza n. 34889, del 13 dicembre 2023, la Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione ha statuito che qualsiasi forma di distorsione della concorrenza del mercato, in qualunque forma venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 legge antitrust. Invero, la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013, sanzionatoria della condotta di manipolazione dell’EURIBOR, deve essere considerata “prova privilegiata”, a supporto della domanda di nullità della clausola determinativa dei tassi, con riferimento al parametro de quo, a prescindere dalla partecipazione (o meno) della Banca mutuante all’intesa anticoncorrenziale.

Più recentemente, la stessa Sezione, con una scelta “non convenzionale” (trattandosi di un ricorso inammissibile, ma ritenuto, nonostante ciò, il giusto viatico per un drastico revirement), ha virato a tribordo, sostenendo, contrariamente, che, nel caso di contratti di mutuo contenenti clausole che, per determinare la misura del tasso di interesse, facciano riferimento all’EURIBOR, stipulati con Istituti estranei alle intese e alle pratiche anticoncorrenziali censurate dalla Commissione Europea, debba essere esclusa la sussistenza di nullità, salva la prova della conoscenza di tali accordi illeciti e dell’intento di conformarvi oggettivamente il regolamento contrattuale. Per ritenere la clausola determinativa degli interessi viziata per impossibilità (anche temporanea) di determinazione dell’oggetto, deve essere fornita compiuta prova della manipolazione del parametro EURIBOR; in caso di adempimento, la nullità parziale comporta la sostituzione in via normativa del contenuto delle clausole, nel caso in cui non sia possibile addivenire al valore genuino.

In buona sostanza, nel volgere di una stagione, si è passati dalla nullità, tranchant, della manipolazione EURIBOR e dei suoi corollari contrattuali alla sostanziale validità della clausola determinativa degli interessi, a meno dell’adempimento di oneri probatori al limite della probatio diabolica. È pur vero che, ormai, imperversando i cambiamenti climatici, le stagioni non sembrano più quelle di una volta, ma un cambiamento così repentino, tra l’ordinanza natalizia e la sentenza primaverile, senza mezze stagioni a fare da tramite, ha contribuito a infuocare un dibattito dottrinario e giurisprudenziale, che, in verità, era già parso particolarmente prolifico di esternazioni, più e meno sensazionalistiche, più e meno articolate e meritevoli di condivisione, a seguito del primo pronunciamento, che ha rappresentato il battesimo, nelle austere aule romane di Piazza Cavour, di una questione già dibattuta nei gradi del merito.

Al netto di alcune letture che non passano sottaciute più per l’asprezza dei toni, che per la condivisibilità dei contenuti (stante la preponderanza enfatica della prima, non irreggimentabile nei canoni accademici tradizionali), la mela di Eris è rappresentata dalla propalazione (o meno) della nullità dell’intesa ai singoli contratti “a valle”, che ne rappresentano implementazione pratica, e, in secondo luogo, dalla rilevanza (o meno) della soggettività della partecipazione, per cadere (o meno) sotto la scure della rimedialità invalidatoria o, eventualmente, risarcitoria. 

Il primo profilo, invero, non è del tutto nuovo nel panorama ordinamentale nostrano, essendosi già proposto con la lunga querelle delle fideiussioni cc.dd. omnibus, che ha, suo malgrado, imposto una attenta rilettura della relazionalità tra accordo anticompetitivo “a monte” e contrattazione “a valle”, con richiami testuali espliciti a porzioni (le note clausole di sopravvivenza, reviviscenza e deroga) dell’intesa. La fattispecie della manipolazione EURIBOR avrebbe tinte differenti, nella misura in cui si dovesse mutuare la letteralità della decisone della Commissione Europea Antitrust e la possibilità di sussumere nella categoria delle intese anche comportamenti e condotte che non hanno esitato in alcun formale cartello tra gli Istituti aderenti. In altri termini, il provvedimento sanzionatorio del 4 dicembre 2013 parrebbe aver attenzionato uno scambio atipico di comunicazioni della misura dell’EURIBOR, per ottimizzare i profitti dalla composizione del portafoglio di derivati e avrebbe solo tra gli “effetti collaterali” la manipolazione dei tassi nei contratti di finanziamento. In verità, la puntualizzazione non sembra cogliere pienamente nel segno, per quanto condivisa da attenta dottrina, dal momento che la normativa antitrust, sin dalla sua istituzione, sembra caratterizzata da una sorta di atipicità rispetto all’architettura, sostanziale e rimediale, di matrice codicistica, e votata a una spersonalizzazione, per cui a rilevare, più che il soggetto, sarebbe la contingenza oggettiva. In buona sostanza, l’effetto manipolatorio ha travolto anche la determinazione dei tassi dei finanziamenti, per quanto gli Istituti cartellisti non l’avessero nelle loro primarie intenzioni, che, come da antico e celeberrimo brocardo, non è, quantomeno, prudente giudicare.

Stessa sorte parrebbe subire la seconda considerazione, quella sulla partecipazione soggettiva della Banca mutuante-convenuta, all’accordo manipolatorio stipulato “a monte”. Ebbene, nell’ordinanza di dicembre, sicuramente non sotto gli influssi del clima natalizio, gli Ermellini sono stati abbastanza trancianti, nel ritenere inconferente la presenza soggettiva, formale, nell’accordo anticoncorrenziale, dovendosi quasi allargare la responsabilità concorsuale anche a tutti quei soggetti esterni, ma, pur tuttavia, beneficiari, più o meno consapevoli, della manipolazione. Del tutto antiteticamente, in primavere inoltrata, sicuramente non sotto gli influssi dell’incipiente pollinazione, la stessa Sezione, in diverso Collegio, ha ricamato una elaborata mappa concettuale dell’onere probatorio, a carico del soggetto mutuatario, chiamato a svestire i panni dell’attore, per indossare quelli sherlockiani, per addentrarsi nella labirintica prova dello «intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche», nonché della alterazione del parametro «effettivamente e significativamente [] in concreto» (dubitandosi sulla risolutività della sola produzione della prefata decisione della Commissione Europea), «al punto da non poter svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse».

Pare evidente come, tra due letture così antiteticamente contrastanti dello stesso accadimento fenomenologico, veicolate, la prima, incidentalmente in un provvedimento di natura interlocutoria (quale è per definizione l’ordinanza), e, la seconda, con una sentenza in esito a un ricorso macroscopicamente inammissibile, sia opportuno che l’ultimo brano di questa rapsodia, intestina alla Terza Sezione Civile, venga demandato alle Sezioni Unite, con l’auspicio che, recuperando una nomofilachia svincolata dai lacciuoli formali di rinvii pregiudiziali malposti, possa, finalmente, scrivere la parola fine. 

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