Nota a Cass. Civ., Sez. III, 22 marzo 2024, n. 7891.
È nulla la fideiussione contratta a voce tra le parti e per un importo superiore, poichè stipulata contra pacta.
È quanto affermato dalla Suprema Corte con ordinanza numero di raccolta generale 7891/2024, pubblicata il 22 marzo scorso.
Il giudizio traeva origine dall’opposizione promossa da due coniugi nei confronti di un importante istituto bancario avverso il decreto con il quale era stato loro ingiunto il pagamento di euro 150.000 a favore della Banca.
Gli opponenti avevano, infatti, chiesto l’accertamento della invalidità della fideiussione, perché – a loro giudizio – era stata convenuta a voce per un importo diverso; in particolare avevano sostenuto che sarebbe stato loro prospettato un aumento fino a euro 30.000,00
dell’importo garantito con una fideiussione precedente risalente almarzo 2003 – e che il modulo prestampato loro sottoposto per la firma dalla Banca non conteneva l’indicazione dell’importo garantito, in quanto era stato loro fatto intendere che per prassi l’Ufficio Segreteria della Banca avrebbe provveduto successivamente a completare l’atto, inserendovi il limite dell’importo garantito ed a inviarlo ai garanti; soltanto cinque anni dopo, avrebbero appreso che detto modulo era stato riempito contra pacta per un ammontare differente e maggiore rispetto a quello che reputavano di aver assunto con il modulo sottoscritto cinque anni prima
Il giudice di primo grado rigettava l’istanza, ritenendo generiche le dichiarazioni dei testi che erano stati escussi; proposto, dunque, dagli opponenti appello avveso alla sentenza di primo grado, anche la Corte d’appello respingeva il ricorso, ritenendo, tra gli altri, la fideiussione un contratto unilaterale a forma libera che può essere concluso anche verbalmente la cui validità non è quindi condizionata dal requisito della forma scritta (così si v. Cass. 13539/2014), neppure quando la garanzia sia stata resa in favore di una banca, posto che tale contratto esula dall’ambito di operatività delle previsioni di cui all’art. 117 TUB
I ricorrenti dinnanzi alla Suprema Corte hanno proposto un unico articolato motivo, lamentando la violazione o falsa applicazione dell’art. 1938 cod.civ., con riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
In particolare, il ricorso insisteva – in estrema sintesi – sul fatto che quella stipulata fosse una fideiussione per obbligazioni future, alla quale applicare quindi l’art 1938 cod.civ. che richiede la precisazione dell’importo massimo garantito, a prescindere da qualsiasi presunto accordo orale, antecedente o successivo alla firma del testo scritto della fideiussione predisposto dalla banca, sull’ammontare dell’importo da garantire, e che, essendo pacifico che, al momento della firma del modulo, l’importo garantito non era stato inserito nel testo, la banca aveva violato l’art. 1938 cod.civ.
Il fatto che le parti avessero optato per la conclusione per iscritto del contratto, che pure avrebbe potuto essere stipulato verbalmente, come osservato dalla Corte territoriale, imponeva – secondo la tesi prospettata dai ricorrenti – l’integrale rispetto delle disposizioni di legge e in particolare dell’art. 1938 cod.civ. sin dal momento della assunzione dell’obbligazione di garanzia, quindi, sin dal momento della sottoscrizione del modulo; detto obbligo discendeva, secondo i ricorrenti, anche dal rispetto degli obblighi di buona fede
La Cassazione con l’ordinanza in commento ha, quindi, ritenuto meritevole di accoglimento, in quanto, ad avviso degli Giudici di Piazza Cavour, il comportamento il della Banca è da considerare contrario a buona fede e ciò quand’anche si ritenga che in tema di fideiussione personale, volontariamente rilasciata da un terzo all’istituto di credito a garanzia di crediti che traggono origine da un rapporto bancario o finanziario, la validità e la sorte della garanzia personale dipendano dal rapporto principale cui si ricollega, stante il carattere accessorio della fideiussione, e pertanto la norma che riguarda la forma dei contratti appartenenti alle due diverse specie (contratto bancario o finanziario) non si estenda direttamente e automaticamente alla garanzia unilaterale e personale rilasciata dal terzo al debitore principale della banca o dell’intermediario finanziario, proprio perché in tal caso non si tratta di instaurare con quest’ultimo un rapporto o una relazione che necessita di un’ulteriore forma di protezione o di garanzia per chi la sottoscrive, essendo sufficiente la protezione accordata dalla normativa speciale al contratto stipulato tra la banca o l’intermediario e il debitore principale, cui la garanzia necessariamente si ricollega; più precisamente – ad avviso degli Ermellini – le disposizioni del d.lgs. n. 38571993 riguardano i contratti o negozi bancari, tra cui possono includersi le fideiussioni rilasciate personalmente dalle banche a garanzia di obbligazioni altrui (la convenzione fideiussoria bancaria offerta al committente di un appalto pubblico) e dunque tutti i negozi relativi ad operazioni e servizi stipulati tra la banca (imprenditore fornitore di servizi) e il cliente (fruitore del relativo servizio), sicché le norme di validità o di trasparenza negoziale previste dalla normativa primaria o secondaria di settore vanno intese non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore o cliente della banca assunta dalla norma, e non sono indirizzate a regolare propriamente il negozio unilaterale stipulato dal fideiussore del debitore principale della banca, il quale non può essere considerato, per osmosi, alla
stregua di un cliente della banca, proprio per il carattere accessorio di tale obbligazione rispetto a quella del debitore garantito, ex art. 1936 c.c..
La Suprema Corte continua nel ragionamento ritenendo altresì non sussistente alcun ragionevole dubbio per ingiustificata disparità di trattamento tra la posizione del debitore
principale e quella del fideiussore, in merito alla legittimità costituzionale della normativa così interpretata, ex art. 3 Cost., e ciò in ragione della diversità di situazione in cui tali soggetti si trovano a negoziare, e soprattutto del carattere accessorio dell’obbligazione assunta dal fideiussore (Cass. n. 11979/2013), sin dalla sua genesi collegata a quella del debitore principale che, sul piano funzionale, risulta sensibile alle vicende del rapporto
principale, ed è pertanto già sufficientemente protetta dalle disposizioni relative ai requisiti di validità previsti dalle norme speciali che riguardano i contratti bancari o finanziari;
La Corte ha, quindi, concluso rilevando che: 1) l’accordo ad scribendum soddisfaceva, come è emerso dai fatti di causa, un’esigenza unilaterale della banca; 2) la banca non ha provveduto, ricevuto il mandato ad scribendum, a trasmettere ai garanti il modulo completo, cioè riempito secondo gli accordi assunti verbalmente; tale comportamento, valutato a posteriori e tenuto conto degli interessi delle parti in conflitto, è da ritenere contrario a buona fede; la prestazione della banca, da intendersi come attività posta in essere per adempiere l’obbligo, risulta scorretta, tale da permettere di qualificare il suo comportamento in termini di inesatto adempimento se si guarda al programma negoziale in una prospettiva che tenda a spingere il comportamento delle parti verso esiti di collaborazione che sono impliciti nell’accordo assunto; non può costituire esatto adempimento l’esecuzione di una prestazione che prescinda dalla considerazione dell’interesse dei garanti, privati della possibilità di verifica del puntuale adempimento dell’obbligo assunto; ciò a maggior ragione in considerazione del rilievo attribuito dall’art. 1938 cod.civ. alla fissazione del tetto massimo
garantito e del consistente divario esistente tra la professionalità dei fideiussori e quella della banca.
Nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato un crescente impiego della clausola generale della buona fede, tanto in chiave integrativa del regolamento contrattuale quanto in chiave valutativa del comportamento delle parti; nella consapevolezza crescente che il presupposto di operatività della buona fede in executivis non sia affatto l’esistenza di una lacuna, ma l’insorgenza di una disputa circa l’applicazione puntuale di una regola di esecuzione che trova risposta nella pretesa, in chiave di valutazione compartiva degli interessi contrapposti, di comportamenti, positivi o negativi, diversi in relazione alla specificità del caso concreto e non determinabili a priori, idonei a preservare gli interessi dell’altra parte; comportamenti che devono avere una duplice connotazione: essere idonei a preservare gli interessi di una delle parti, non comportare per la parte da cui il comportamento è preteso un sacrificio apprezzabile.
Indi per cui, nell’accogliere il ricorso nei termini sopra indicati, la Cassazione ha rinviato alla Corte d’Appello di Catanzaro, che in diversa composizione, dovrà procedere ad un nuovo esame della vicenda processuale.
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Info sull'autore
Avvocato del Foro di Roma, ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II” e, successivamente, un Master di II livello in Compliance & Gestione del Rischio presso la Luiss Business School. Nel corso degli anni, ha prestata la sua attività professionale dapprima per primari studi legali specializzati in materia di diritto bancario e finanziario e, in seguito, come legale inhouse per grandi società, occupandosi tra gli altri di parieristica alle diverse funzioni aziendali, gestione del contenzioso, compliance ed adeguamento alle diverse normative di settore.