Nota a Trib. Trapani, 20 febbraio 2024, n. 115.
Massima redazionale
La giurisprudenza di legittimità[1] ha avuto modo di affermare «in tema di esecuzione del contratto, la buona fede si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte; tra i doveri di comportamento scaturenti dall’obbligo di buona fede vi è anche quello di fornire alla controparte la documentazione relativa al rapporto obbligatorio ed al suo svolgimento; in materia di contratti bancari, il diritto alla documentazione trova fondamento, oltre che negli artt. 1374 e 1375 cod. civ., anche nell’art. 119 TU leggi bancarie il quale pone a carico della banca l’obbligo di periodica comunicazione di un prospetto che rappresenti la situazione del momento nel rapporto con il cliente ed accorda a questi il diritto di ottenere – a sua spese, limitatamente agli ultimi dieci anni, indipendentemente dall’adempimento del dovere di informazione da parte della banca e anche dopo lo scioglimento del rapporto – la documentazione di ciascuna operazione registrata sull’estratto conto».
L’art. 119 TUB, alla luce dei canoni di buona fede e correttezza che informano il rapporto contrattuale a un più generale principio di trasparenza, è, infatti, la fonte di un diritto soggettivo autonomo, cioè indipendente dagli altri obblighi contrattuali, non soggetto a limitazioni e/o condizione. Si tratta, in particolare, del diritto di ottenere copia di tutti i documenti inerenti allo svolgimento del rapporto banca-cliente, il quale non è, però, limitato alle singole operazioni bancarie, di cui si fa menzione nella stessa norma, ma può ampliarsi fino a ricomprendere tutti i documenti contabili del rapporto.
Orbene, premesso che non è in contestazione il diritto del cliente ad ottenere la documentazione bancaria inerente al rapporto di mutuo per cui è causa, risultano fondate le censure mosse dall’Istituto di credito in ordine all’esistenza di un abuso dello strumento processuale da parte dell’odierna opposta. È, invero, pacifico, in quanto non contestato, che quest’ultima ha proposto ulteriori due ricorsi monitori avverso la Banca, finalizzati all’ottenimento di documentazione bancaria relativa ai rapporti di carta di pagamento e dei rapporti di conto corrente, e che con ulteriore separata azione la medesima opposta ha, invece, agito per ottenere la consegna di documentazione inerente al contratto di mutuo, per cui è causa.
In punto di diritto, giova osservare che il frazionamento del credito non è di per sé illegittimo, ma rappresenta una possibile scelta del creditore, sicché occorre determinare quando lo stesso configuri un abuso.
In particolare, è stato più volte affermato che, perché possa operare il principio del divieto di parcellizzazione processuale del credito è necessario che il creditore sia già titolare di una pluralità di diritti di credito tutti perfettamente esigibili nel momento in cui sceglie di chiederne la tutela processuale in maniera frammentata[2], e che la scelta di proporre plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, con conseguente unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto, ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale[3].
Ora, nel caso di specie, se è vero che la documentazione oggetto dei diversi ricorsi monitori non riguarda il medesimo rapporto di mutuo, allo stesso tempo non è revocabile in dubbio che la pretesa creditoria azionata dalla opponente attenga comunque a rapporti dalla stessa intrattenuti tutti con la banca opponente, rispetto ai quali la prima ben avrebbe potuto agire nell’ambito di un unico giudizio, non emergendo alcun interesse (se non quello relativo alla condanna alle spese e compensi del giudizio monitorio) a ottenere la documentazione richiesta mediante il deposito di tre diversi ricorsi monitori.
La opponente, infatti, pur non contestando il dato fattuale della tripla pretesa monitoria, non ha fornito alcuna giustificazione a supporto della evidente parcellizzazione della domanda, limitandosi a sottolineare la diversità degli oggetti delle tre azioni monitorie, senza dedurre alcuno specifico e concreto interesse correlato alla diversificazione delle azioni incoate.
Non si può, peraltro, omettere di considerare come la giurisprudenza abbia adottato, nel tempo, una nozione ampia ed estensiva del concetto di “medesimo rapporto”, interpretandolo non in maniera rigida, e giungendo ad affermare che «i crediti vantati dalla banca, pur se non conseguenti allo stesso contratto, sono nondimeno riconducibili al medesimo ‘rapporto’ che, nel corso del tempo, si è venuto a determinare tra la banca e la società correntista»[4]. La condotta processuale di parte opposta, in assenza di una oggettiva ragione giustificatrice e tenuto conto della sostanziale contestualità delle diverse domande monitorie, si pone in contrasto sia con il principio di buona fede e correttezza sia con il principio costituzionale del giusto processo e si traduce in un abuso degli strumenti processuali[5].
________________________________________________
[1] Cfr. Cass. n. 12093/2001.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 23726/2007.
[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 23726/2007.
[4] Cfr. App. Ancona n. 982/2022.
[5] Cfr. Cass. n. 8350/2020.
Seguici sui social:
Info sull'autore