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Nota a Trib. Roma, Sez. XVII, 10 gennaio 2024.

di Sara Pezzotta

Studio Legale Gladys Castellano

Nella sentenza in commento, che trae origine da un’opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale di Roma affronta preliminarmente, ritenendole infondate, due questioni strettamente processuali, ossia da un lato l’eccezione di inefficacia del decreto ingiuntivo opposto per tardività della notifica e dall’altro lato l’eccezione di incompetenza territoriale attesa la competenza inderogabile del Foro di Campobasso quale Foro del Consumatore per giungere infine, nel merito, ad analizzare l’eccezione, all’opposto ritenuta fondata, di decadenza della garanzia ex art.1957 c.c.

In primo luogo la pronuncia si sofferma sull’eccezione di inefficacia del decreto ingiuntivo opposto per decorrenza dei termini di notifica ex art.644 c.p.c.

A mente dell’art.644 c.p.c. “Il decreto d’ingiunzione diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia, se deve avvenire nel territorio della Repubblica e di novanta giorni negli altri casi; ma la domanda può essere riproposta”.

Il Giudice romano afferma che nel caso di specie sia stato invece documentalmente provato un tempestivo tentativo di notifica entro 60 giorni dalla pronuncia del decreto ingiuntivo – ancorché lo stesso non sia andato a buon fine per irreperibilità del destinatario- e che dunque, in ossequio alla giurisprudenza maggioritaria, la notifica del decreto ingiuntivo debba ritenersi tempestiva ai sensi dell’art.644 c.p.c.

La giurisprudenza della Suprema Corte difatti ritiene graniticamente che “Nell’ambito della disciplina dettata dall’art. 644 c.p.c., l’inefficacia del decreto ingiuntivo è legittimamente riconducibile alla sola ipotesi in cui manchi o sia inesistente la notifica nel termine stabilito dalla norma predetta poiché la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso. Pertanto…deve essere esclusa la presunzione di abbandono del titolo che costituisce il fondamento della previsione di inefficacia di cui all’ art. 644 c.p.c.” [1].

In secondo luogo la sentenza qui commentata analizza l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Roma in sede monitoria, stante la competenza esclusiva del Foro di Campobasso, quale Foro del Consumatore.

Il Tribunale di Roma, pur riconoscendo la qualifica di Consumatori ai soggetti coinvolti nella vicenda processuale ritiene infatti di rigettare l’eccezione di incompetenza territoriale.

Ciò sulla base della circostanza per cui, per determinare il Foro territorialmente competente in sede monitoria, deve farsi riferimento alla “residenza dichiarata dal consumatore convenuto in giudizio al momento della proposizione della domanda ex art.5 c.p.c…Costituisce circostanza pacifica e non contestata, infatti, l’attuale residenza della coobbligata…in Roma…luogo in cui è stato altresì notificato l’opposto decreto ingiuntivo”.

L’impostazione seguita dal Tribunale di Roma è corretta, posto che quest’ultimo ha inteso affermare che è al momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo che determinarsi la competenza territoriale e quindi il Foro del Consumatore, essendo irrilevante la residenza eventualmente dichiarata dal Consumatore all’epoca della sottoscrizione del contratto.

Ciò a maggior ragione nel caso di specie in cui il Consumatore abbia dichiarato in sede di opposizione a decreto ingiuntivo una residenza poi rivelatasi coincidente con il luogo di notifica del decreto ingiuntivo.

Il foro del consumatore è un Foro speciale, esclusivo ed inderogabile, in forza del quale è competente, per la controversia che coinvolga il Consumatore, esclusivamente il Tribunale nella cui circoscrizione si trovi la sua residenza al momento di avvio del giudizio [2].

Questo significa che per le controversie relative a contratti tra Professionisti e Consumatori esiste un Foro speciale che esclude ogni altro Foro, ossia un Foro che prevale sul Foro convenzionale ed anche sui criteri di competenza di cui al codice di procedura civile ed alle leggi speciali, il che dà vita ad un cd. criterio di collegamento esclusivo.

In conseguenza di ciò, l’art. 33, co. 2 lettera u) del Codice del Consumo prevede infatti che siano abusive quelle clausole volte a stabilire, come sede del Foro competente sulle controversie, una località diversa da quella di residenza o domicilio del Consumatore al momento di proposizione della domanda.

Il giudice esclusivamente competente a decidere, nel caso di specie, della domanda di pagamento promossa verso il garante Consumatore è dunque il Tribunale del Foro nella cui circoscrizione quest’ultimo risiedeva al momento dell’avvio dell’azione monitoria (deposito del ricorso per decreto ingiuntivo).

Si ricordi infine che l’unica possibilità di deroga al Foro del Consumatore, quando quest’ultimo sia convenuto in giudizio, è che la clausola contrattuale derogativa del Foro sia stata oggetto di specifica, effettiva e seria trattativa individuale tra Professionista e Consumatore [3], con relativo onere probatorio gravante sul Professionista (essendo insufficiente la mera doppia approvazione ex art.1341 c.c. 2 comma) e fermo restando che si considera come non avvenuta la trattativa individuale quando il Consumatore sottoscriva un contratto unilateralmente predisposto dal soggetto professionista, come la fideiussione schema ABI [4].

In terzo luogo, il Tribunale capitolino affronta l’eccezione di decadenza ex art.1957 c.c. ritenendola correttamente fondata e statuendo che il decreto ingiuntivo opposto debba essere revocato per intervenuta decadenza di parte opposta dalla garanzia.

La sentenza muove dalla premessa secondo cui “nel nostro ordinamento non è rinvenibile la figura del “coobbligato”, la quale per giurisprudenza costante (Tribunale di Firenze, 23 maggio 2019, n. 1647 [5]) è invece riconducibile a quella del fideiussore espressamente prevista dal codice civile agli artt. 1936 e ss. e, in particolare, al disposto di cui all’art. 1957 c.c., ai sensi del quale il creditore che non attiva entro sei mesi dalla scadenza del debito gli strumenti di recupero del proprio credito nei confronti del debitore principale decade dal diritto di pretendere l’adempimento dal fideiussore”.

Posta tale premessa, due sono gli aspetti rilevanti sotto il profilo dell’art. 1957 c.c. presi in considerazione dal Giudice.

In primis il Tribunale aderisce alla ormai consolidata giurisprudenza secondo cui “l’istanza del creditore verso il debitore principale deve essere necessariamente giudiziale”, ossia è necessario il ricorso ad un mezzo di tutela processuale, volto ad ottenere, in via di cognizione o esecutivamente, secondo le forme e nei modi di legge, l’accertamento ed il soddisfacimento delle pretese del creditore, come da ultimo affermato dall’ordinanza [6].

In secundis il Giudice monocratico analizza la decadenza ex art.1957 c.c. con riferimento ad un contratto di mutuo.

Secondo l’orientamento tradizionale, nell’ipotesi di contratto di mutuo, l’obbligazione è da ritenersi unica, ossia la suddivisione in rate costituisce soltanto una modalità per agevolare una delle parti (il mutuatario).

In forza di ciò il debito non potrebbe considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 1957 c.c. decorrerà dalla scadenza dell’ultima rata stessa [7].

Il Tribunale in commento afferma tuttavia che il predetto orientamento tradizionale può applicarsi solo nel caso di “permanenza dell’efficacia del contratto di mutuo, mentre nel caso di specie il mutuo era già stato risolto con decadenza del beneficio del termine e conseguente obbligo di restituzione, dell’intero capitale e degli interessi maturati”.

Nello stesso senso si è espresso anche il Tribunale di Verona con la sentenza n. 812/2021 secondo cui “il momento in cui decorre il termine semestrale di cui all’art. 1957, primo comma, cod. civ. non può coincidere con il pagamento dell’ultima rata dei piani di ammortamento dei mutui perché, nel caso che qui occupa, per effetto della decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 cod. civ. e della risoluzione dei contratti di mutuo, l’intera obbligazione è divenuta esigibile”.

L’impostazione seguita dalla pronuncia in commento è corretta in quanto l’effetto della decadenza dal beneficio del termine è il venire meno del diritto del mutuatario di pagare alle singole scadenze “rate comprensive di una quota capitale e di una quota di interessi corrispettivi calcolati sul debito residuo in linea capitale alla data di scadenza di ogni singola rata. Al contrario, egli deve pagare ad horas le rate già scadute e non pagate al momento della dichiarazione di decadenza, nonché tutto il debito residuo in linea capitale a quella data, più gli eventuali interessi moratori in caso di ritardato pagamento del debito residuo. Dal momento della decadenza del beneficio del termine, dunque, il piano di ammortamento del mutuo non esiste più, la somma è dovuta sin da subito e non corrisponde più all’importo originariamente previsto dai piani di ammortamento allegati ai contratti. Conseguentemente, è da questo momento che l’obbligazione (capitale residuo più eventuali interessi moratori) diviene per intero esigibile e, in altri termini, è scaduta” [8].

Da ultimo si segnala che non sono mancati orientamenti difformi da quello tradizionale (dies a quo ex art. 1957 c.c. che decorre dal pagamento dell’ultima rata) secondo cui, anche nel caso di permanenza dell’efficacia del mutuo senza nelle rate concordate e quindi in assenza di decadenza dal beneficio del termine, il dies a quo ex art. 1957 c.c. vada “individuato in quello di scadenza delle singole prestazioni e non già dell’intero rapporto” [9].

Tale differente impostazione giurisprudenziale si fonda sulla considerazione per cui lo che scopo del termine di decadenza ex art. 1957 c.c. è proprio quello di evitare che il fideiussore si trovi esposto all’aumento indiscriminato degli oneri inerenti alla sua garanzia, per non essersi il creditore tempestivamente attivato al primo manifestarsi dell’inadempimento, magari proprio contando sulla responsabilità solidale del fideiussore.

Il termine di sei mesi previsto dal Codice Civile (art. 1957 c.c.) infatti deve corrispondere al momento in cui la Banca acquisisca consapevolezza che il debitore principale non è in grado di pagare ed attendere ordinariamente alle proprie obbligazioni onde evitare che il comportamento “attendista” della Banca pregiudichi il patrimonio del Garante, poiché, con la colpevole tolleranza dell’inadempimento, la Banca fa ricadere fatalmente sul soggetto garante le conseguenze del proprio inerte comportamento.

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[1] Cfr. ex multis Cass.n. 22959/2007; Cass. n.18791/2009; Cass. n.17478/2011; Cass. n. 1509/2019.

[2] Cfr. Cass. n.6802/2010.

[3] Cfr. Cass. 15 ottobre 2019, n. 25914.

[4] Cfr. art. 34, comma 5 del Codice del Consumo.

[5] Secondo cui “Non è invece prevista dall’ordinamento la qualità del coobbligato in un contratto ex sé, di soggetto che cioè pur non essendo parte, e quindi non essendo titolare degli effetti di esso, assumerebbe, senza assumere la qualità di fideiussore, l’obbligo di garantire l’adempimento altrui. In tal caso infatti ricorre necessariamente la figura tipica della fideiussione, con conseguente applicazione della relativa disciplina”.

[6] Cfr. da ultimo Cass. Civ., Sez. III, 24 agosto 2023, n. 25197 nonché in precedenza Cass. Sez.II n. 1724/2016.

[7] Cfr. Cass. n. 2301/2004.

[8] Cfr. Tribunale di Verona con la sentenza n.812/2021.

[9] Cfr. Cass. n. 15902/2014 e Tribunale di Milano del 13 febbraio 2020.

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