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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 6 febbraio 2024, n. 3310.

di Sara Rescigno

Tirocinante ACF

Domanda di ripetizione di indebito: non è possibile pretendere la produzione in giudizio di un contratto ove chi ne domandi la nullità ne deduca l’inesistenza per carenza di forma scritta ad substantiam.

La controversia presa in esame affronta il tema dell’esatto contenuto dell’onere probatorio gravante su colui che propone l’azione di ripetizione dell’indebito e della connessa eccezione di prescrizione della relativa azione.

Nel dettaglio, il Ricorrente, con il ricorso in Cassazione, ha lamentato l’avvenuto rigetto, da parte della Corte di Appello, della domanda di ripetizione di indebito avanzata nei confronti della Banca odierna convenuta in base all’assunto che la prova della causa debendi doveva essere data esclusivamente con la produzione del contratto di conto corrente e non con ogni mezzo. Conseguentemente, il Ricorrente ha poi lamentato l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca convenuta in relazione alle rimesse anteriori al decennio, non risultando agli atti la prova dell’esistenza di un contratto di apertura di credito al fine di qualificare come meramente ripristinatorie, e non solutorie, le rimesse suddette.

La Suprema Corte, nell’esaminare le questioni anzidette, ha accolto le doglianze del Ricorrente nei termini che seguono.

In tema di riparto dell’onere probatorio in caso di proposizione dell’azione di ripetizione di indebito, la Suprema Corte ha specificato che può dirsi certamente sussistente un interesse del correntista all’accertamento, anche prima della chiusura del conto, della nullità o validità delle clausole anatocistiche.

Tale interesse, secondo la Suprema Corte, rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: a) quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; b) quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; c) quella della riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto[1].

Fatta questa dovuta premessa, il Collegio, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia[2], ha poi preventivamente osservato che il correntista, che agisce in giudizio per la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente e/o per la ripetizione dalla banca dell’indebito, è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti sia della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi: egli, quindi, ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con il deposito di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme di danaro non dovute.

Tuttavia, secondo, il giudice di legittimità, «l’estratto conto, […], non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto[3]».

A detta della Suprema Corte, infatti, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito potrebbe valorizzare, esemplificativamente, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o, a norma degli artt. 2709 e 2710 c.c., le risultanze delle scritture contabili, nonché, per far fronte alla necessità di elaborazione di tali dati, la relazione di un consulente d’ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto, comunque, emergente dai documenti prodotti in giudizio[4].

Pertanto, alla luce delle suindicate considerazioni, va affermato che colui che agisce per la restituzione di quanto versato in forza di clausole invalide, in caso di omessa produzione del contratto di conto corrente, può provare l’indebito anche allegando la dazione senza causa di una somma di danaro, che figurerà non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa.

Se l’attore assolve all’onere della prova allegando un simile fatto, non è tenuto a rispettare i limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà negoziale e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo alla esecuzione di uno specifico rapporto giuridico.

Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem – così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 cod. civ. per la prova testimoniale – operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti, e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo[5].

In tale occasione, il giudice di legittimità ha perciò accolto la doglianza del Ricorrente, ponendo l’attenzione sull’assoluta illogicità della conclusione a cui è giunta la Corte di Appello che ha preteso in giudizio la produzione di un contratto, vale a dire del documento che materialmente dimostra l’accordo delle parti, da parte di chi ne ha domandato la nullità, deducendone proprio l’inesistenza per carenza di forma scritta ad substantiam.

Con riferimento alla sollevata eccezione di prescrizione, invece, la Suprema Corte ha affermato che, come ribadito dalle Sezioni Unite[6], l’elemento qualificante l’eccezione di prescrizione è l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto, che costituisce il «fatto principale» della fattispecie cui la legge ricollega l’effetto estintivo.

Conseguentemente, se il correntista agisce in giudizio senza allegare l’esistenza di una apertura di credito, la banca potrà limitarsi ad allegare quella inerzia, deducendo che il correntista abbia mancato di pretendere in restituzione alcunché per l’intero arco del termine prescrizionale.

Pertanto, è colui che agisce in ripetizione (come nel caso de quo) a dover provare l’apertura di credito che gli è stata concessa, poiché questa evenienza integra un fatto idoneo ad incidere sulla decorrenza dell’eccepita prescrizione.

Tuttavia, secondo la Suprema Corte, la prova dell’apertura di credito che sia stata tempestivamente acquisita al processo è utilizzabile dal giudice, ai fini dell’accertamento della prescrizione, anche in caso di mancata precisa allegazione, da parte del correntista, dell’intervenuta conclusione del contratto in questione[7].

La prova vertente sull’impedimento al decorso della prescrizione determinato dal perfezionamento del contratto di apertura di credito va qualificata come eccezione in senso lato e non come un’ eccezione in senso stretto, rilevabile soltanto ad istanza di parte, dal momento che è eccezione in senso stretto quella per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o quella in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico[8].

Trattandosi di eccezione in senso lato per l’assenza delle caratteristiche sopra indicate, pertanto, è possibile il rilievo d’ufficio dell’eccezione in parola in assenza di una specifica e tempestiva allegazione della parte, anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis[9].

In conclusione, il giudice di legittimità ha ribadito il seguente principio: «a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata con riferimento alla domanda di ripetizione di indebito del Ricorrente, è quest’ultimo ad essere onerato della prova dell’esistenza del contratto di apertura di credito, incidente sulla natura delle rimesse poste in essere oltre il decennio, fermo restando che il giudice del merito è tenuto a valorizzare la prova ritualmente acquisita al riguardo, indipendentemente da una specifica allegazione dei correntista circa la stipula del contratto in questione[10]».

 

 

 

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[1] Cass., SU, n. 24418 del 2010, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in motivazione, Cass. n. 798 del 2013 e le più recenti Cass. n. 7697 del 2023 e Cass. n. 12993 del 2023.

[2] Cfr. Cass. n. 12993 del 2023; Cass. n. 7697 del 2023; Cass. n. 30822 del 2018; Cass. n. 24948 del 2017; Cass. n. 7501 del 2012; Cass. n. 3387 del 2001; Cass. n. 2334 del 1998; Cass. n. 7027 del 1997; Cass. n. 12897 del 1995.

[3] Cfr. Cass. n. 7697 del 2023 e Cass. n. 12993 del 2023.

[4] Cfr. Cass. 1° giugno 2018, n. 14074, ove il richiamo a Cass. 5 marzo 2016, n. 5091; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; v. altresì Cass. 2 maggio 2019, n. 11543.

[5] Cfr. Cass. n. 5880 del 2021; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 566 del 2001.

[6] Cfr. Cass., SU, n. 15895 del 2019.

[7] Cfr. Cass. n. 31927 del 2019.

[8] Cfr. Cass. n. 13335 del 2015; Cass. n. 18602 Corte di Cassazione.

[9] Cfr. Cass., SU, n. 10531 del 2013; Cass. n. 27998 del 2018.

[10] Cfr. Cass. n. 31927 del 2019; Cass. n. 10026 del 2023.

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