Nota a Cass. Civ., Sez. III, 10 febbraio 2023, n. 4232.
Massima redazionale
Nel contratto di mutuo il pagamento delle rate configura un’obbligazione unica e il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata. Pertanto, il momento da cui decorre la prescrizione deve essere individuato con riferimento alla scadenza dell’ultima rata del mutuo[1]. Si è, in particolare, spiegato: «la restituzione del capitale mutuato e l’inerente dovere costituiscono l’effetto del contratto e, al contempo, causa di estinzione; ma il dovere di restituzione è differito nel tempo, sicché il mutuo acquista il carattere di contratto di durata e le diverse rate in cui quel dovere è ripartito non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione. D’altronde, un mutuo in cui l’obbligazione di restituzione non fosse differita nel tempo e fosse soggetta all’arbitrio del mutuante sarebbe economicamente inconcepibile, perché inutile per il mutuatario, il quale, essendo autorizzato a consumare la cosa mutuata (art. 1817 c.c.), non sempre (o quasi mai) sarebbe in grado di procurarsi immediatamente l’equivalente da restituire. Ed è proprio in ragione dell’unicità dell’obbligazione di restituzione che l’art. 1819 c.c. prevede, per il caso in cui sia stata convenuta la restituzione rateale ed il mutuatario non adempia l’obbligo del pagamento anche di una sola rata, che il mutuante possa chiedere l’immediata restituzione dell’intero»[2].
L’obbligazione di restituzione del tantundem eiusdem generis, gravante in capo al mutuatario, può avvenire in una unica soluzione oppure ratealmente; in tale secondo caso, dal pagamento rateale, che deve essere oggetto di apposita convenzione tra le parti, come si ricava dall’art. 1819 c.c., non può desumersi la presenza di prestazioni periodiche, dovute per un’unica causa continuativa, per cui le singole scadenze segnano il termine di adempimento delle singole obbligazioni autonome e indipendenti le une dalle altre (come avviene nel caso della retribuzione e di altri emolumenti derivanti dall’unica causa solutoria costituita dal rapporto di lavoro)[3], bensì dell’unico debito derivante dal mutuo, in cui la rateizzazione in più versamenti periodici di un determinato importo non può che far considerare, indipendentemente dalla durata del rapporto, queste prestazioni come l’adempimento parziale di un’unica obbligazione restitutoria.
Il frazionamento del debito non muta, dunque, la natura unitaria del contratto di mutuo, cosicché non sono individuabili tante prescrizioni per quante sono le rate del mutuo, ma un unico termine di prescrizione decennale, che non decorre dalla scadenza delle singole rate, ma piuttosto dalla scadenza dell’ultima rata. Inoltre, l’unicità del debito contratto non determina il frazionamento di esso neanche con riferimento agli interessi previsti nel piano di ammortamento che del finanziamento costituiscono il corrispettivo, o agli interessi moratori, fondati sul presupposto dell’inadempimento, cosicché non opera la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, cod. civ.[4].
Infatti, il criterio informatore di tale ultima disposizione normativa è quello di liberare il debitore dalle prestazioni scadute, quando esse siano periodiche, ossia debbano essere soddisfatte periodicamente ad anno, o in termini più brevi, e, pertanto, dalla previsione di tale norma esula l’ipotesi di debito unico, rateizzato in più versamenti periodici. Di conseguenza, quando nei versamenti rateizzati sono inclusi gli interessi sulla somma dovuta, anche il debito di interessi si sottrae all’applicazione della prescrizione quinquennale, giacché identica è la causa debendi sia della prestazione principale che di quella degli interessi[5].
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 06.02.2004, n. 2301; Cass. Civ., Sez. III, 10.09.2010, n. 19291; Cass. Civ., Sez. III, 30.08.2011, n. 17798.
[2] Cfr. Cass. n. 2301/2004.
[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 01.02.1988, n. 862; Cass. Civ., Sez. Lav., 11.01.1988, n. 108.
[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 14.07.1994, n. 1110; Cass. Civ., Sez. II, 30.08.2002, n. 12707; Cass. Civ., Sez. III, 08.08.2013, n. 18915.
[5] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15.07.1965, n. 1546.
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