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Nota a Cass. Pen., Sez. III, 7 febbraio 2023, n. 5255.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Se il fallimento comporta lo spossessamento dei beni, lasciando, al contempo, inalterata la struttura dell’ente fallito, logico corollario è che la società continui a esistere come soggetto giuridico, suscettibile, quindi, di essere sanzionato[1] o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario. In tal guisa, devono essere contestualizzate le pronunce che giustificano la perdurante vigenza del sequestro preventivo funzionale alla confisca riguardante una società fallita.

Ad ulteriore dimostrazione di ciò, la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di chiarire che, in tema di rapporti tra sequestro preventivo e fallimento, sia legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell’equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l’esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi[2].

L’orientamento che ammette la prevalenza del sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall’art. 12bis, comma 1, del D.lgs. n. 74/2000, è stato anche ritenuto in materia di concordato preventivo, essendo stato affermato che la misura cautelare reale de qua prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della ammissione al concordato, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, sul fondamentale rilievo che il rapporto tra il vincolo imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull’interesse dei creditori l’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente “pericoloso”, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato[3].

Siffatta affermazione trova riscontro anche sulla base di alcune disposizioni incorporate nel D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), dovendosi ricordare, sia pure con la precisazione che di esse è stata differita la vigenza, come, da un lato, in via generale, il codice della crisi d’impresa all’art. 320 preveda espressamente la legittimazione del curatore alle impugnazioni de libertate avverso il decreto di sequestro e le relative ordinanze, dall’altro, sancisca, all’art. 317, il principio di prevalenza delle misure cautelari reali e della disciplina della tutela dei terzi contenute nel libro I, titolo IV, del D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, rispetto alle procedure concorsuali, limitando, però, tale prevalenza alle sole ipotesi di sequestro preventivo penale strumentale alla confisca disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p.[4] e, invece, escludendo, con alcune eccezioni, la prevalenza del sequestro preventivo penale “impeditivo” (ex art. 321, comma 1, c.p.p.) e, in toto, del sequestro penale conservativo (ex art. 316 c.p.p.), nonché stabilendo che i beni sequestrati all’impresa sottoposta a liquidazione giudiziale siano assoggettati alle disposizioni, anche procedimentali, previste per le confische di prevenzione, che estende a tutti i sequestri finalizzati alla confisca le disposizioni del codice antimafia.

Cosicché la nuova disciplina non sancisce una vera e propria soccombenza degli interessi creditizi al sequestro penale, posto che (in disparte le previsioni di cui agli artt. 318 e 319 CCII, che già limitano l’ambito di operatività dei vincoli penali) gli artt. 63 e 64 del D.lgs. n. 159/2011 rinviano, inoltre, agli artt. 52 ss. del codice antimafia, ovverosia a disposizioni che consentono una pur parziale soddisfazione delle pretese del ceto creditorio in buona fede e con un titolo che cronologicamente preceda l’applicazione della misura cautelare reale.

Si può, pertanto, affermare che i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure cautelari reali possono essere dedotti con interpretazione logico-sistematica, oltre che dalle norme già vigenti nell’ordinamento anche dalla disciplina fissata dagli artt. 317 ss. D.lgs. n. 14/2019.

Ciò posto, pare meritevole di condivisione l’orientamento per cui è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell’equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l’esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi[5].

 

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[1] Nei casi in cui sia previsa una responsabilità dell’ente, ex D.lgs. n. 231/2001.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. V, 30.10.2019, n. 52060.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 09.02.2017, n. 28077; Cass. Civ., Sez. III, 01.03.2016, n. 23907.

[4] Tra cui rientrano, tra gli altri, i sequestri per reati fiscali.

[5] Sul punto, Cass. Civ., Sez. III, 04.05.2022, n. 31921; Cass. Civ., Sez. III, 26.11.2021, n. 3575; Cass. Civ., Sez. V, 30.10.2019, n. 52060; Cass. Civ., Sez. IV, 05.12.2018, n. 7550.

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