Nota a Trib. Milano, Sez. VI, 31 gennaio 2023, n. 778.
Segnalazione a cura dell'Avv. Matteo di Pumpo.
In via preliminare, il Tribunale di Milano osserva che il valore di un derivato dipende da quello dell’attività sottostante, essendo, pur tuttavia, solo alla scadenza che questo possa essere pienamente spiegato per effetto del prezzo del sottostante; ciò in quanto durante la vita dello stesso variabili quali tempo residuo, volatilità e livello del tasso di interesse influiscono sulla sua quotazione.
Nel caso di specie, il derivato costituisce uno strumento “over the counter”: tale caratteristica incide fortemente sulla valutazione, non potendo la stessa desumersi dall’esame di altre operazioni correnti di mercato relative allo stesso strumento finanziario. Il valore del derivato è dato, in questo caso, dal mark to market, inteso come la sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell’indice di riferimento al momento della sua quantificazione. Tale valutazione necessita di essere sviluppata attraverso un procedimento matematico, che attualizzi quello che, in base allo scenario economico, appare essere il prevedibile svolgimento del rapporto. A tale scopo peraltro è indubbio che sussistano plurime formule matematiche, data la complessità della valutazione. Se pure, in relazione a derivati più semplici, possa presumersi una formula standard, tale argomento non pare davvero di plausibile adozione, perché integra in fondo nient’altro che un rinvio agli usi, del quale si è fatta (tarda) giustizia solo con il D.lgs. n. 385/1993. D’altro canto, anche minimi variazioni di una presunta formula base possono avere importanti ripercussioni, a seconda del valore del capitale di riferimento. Ne discende che non si possa certo affermare che sia bastevole una formula standard, ove poi quest’ultima possa determinare, a seconda della sua concreta delineazione, diverse prestazioni.
Ciò premesso, si potrebbe subito rilevare che l’oggetto del contratto, se inteso come l’insieme delle prestazioni contrattualmente dovute, non è integrato dal mark to market o dalla relativa formula di calcolo, essendo dato piuttosto dai flussi finanziari derivanti dallo stesso e/o al più dal relativo saldo. L’impostazione, in altri termini, evidenzia che non esiste un legame tra flussi incassati o pagati (ossia: le prestazioni) e il valore positivo o negativo del derivato stesso; ciò in quanto i flussi scambiati attengono al periodo trascorso, mentre i valori equi si riferiscono ai flussi finanziari futuri, nella misura determinabile al momento della stima (con la conseguenza che potrà darsi che il derivato con valori positivi dia luogo, nel periodo al termine del quale si opera la valutazione, a flussi di cassa negativi e viceversa). Né, del resto, i flussi passati si presentano come mera esecuzione della formula di calcolo del mark to market, tenuto conto che tali flussi possono essere concretamente maturati all’interno di uno scenario economico che, subito dopo la stipulazione del derivato, è radicalmente cambiato, sì da rendere i previsti differenziali del tutto difformi da quelli effettivamente verificatisi.
In questa chiave di lettura, si è rilevato come il mark to market diverrebbe operativamente rilevante solo nel caso in cui si proceda a una chiusura anticipata del rapporto; sarebbe, pertanto, un elemento contrattuale solo eventuale e non necessario, data l’occasionalità della sua rilevanza, senza quindi alcun rilievo nella fase genetica del contratto; per tali ragioni né il mark to market, né la sua formula di calcolo, potrebbero essere considerati un elemento essenziale del contratto e, consequenzialmente, la loro mancanza non determinerebbe la nullità per indeterminatezza dell’accordo.
Ciò posto, è indubbio che le prestazioni inerenti ai flussi finanziari derivanti dal contratto di swap (e la loro somma algebrica) costituiscono l’oggetto per così dire “tangibile” del contratto. Nessuno però perviene a stipulare un contratto di swap individuando, sic et simpliciter, i parametri finanziari di riferimento e gli altri elementi (durata, commissioni). Tale contenuto è l’esito di uno studio di ingegneria finanziaria, volto a “costruire” un prodotto/contratto idoneo a soddisfare le esigenze della parte istante, i.e. il soggetto “intermediato”. Se così non fosse, il derivato integrerebbe una mera scommessa, del tutto priva di razionalità in quanto sganciata da qualsivoglia prospettiva. Peraltro, al momento della stipula, quando il contratto non è ancora eseguito, il prezzo da pagare all’intermediario sarebbe del tutto insuscettibile di essere comparato con la controprestazione e, quindi, valutato; per converso, è evidente che tale prezzo viene basato proprio sull’andamento ipotizzabile del rapporto (ovverosia, dei singoli flussi), posto che nessuno sarebbe disposto a pagare per stipulare un derivato in base al quale appare destinato a uscire perdente. In altri termini, l’astratta previsione dell’andamento del mercato, sintetizzata nel mark to market, determina il contenuto del contratto.
Si potrebbe obiettare che in altre tipologie contrattuali il prevedibile, futuro valore di mercato della prestazione influisca sulla misura del corrispettivo contrattuale senza però integrarlo, rimanendo a livello di mero motivo. La comparazione tra tipi contrattuali vale, però, a cogliere non solo e non tanto le similitudini, ma, soprattutto, le differenze specifiche; segnatamente:
- nel caso di contratto contemplante uno scambio del tipo “corrispettivo vs bene”, l’insieme trova in sé oggetto e causa; soprattutto, l’utilità è termine di riferimento esterno al contratto (la casa esiste in rerum natura);
- nel caso di swap è evidente che pagare un prezzo per un programma di future prestazioni possa avere senso solo se questo programma abbia in sé un valore, per così dire a priori, che si deve ipotizzare in relazione con il prezzo pagato; valore “in sé” perché origina direttamente dal contratto, e non da un bene esterno al contratto medesimo (è da questo punto di vista, ossia dalla mancanza di un bene esistente prima e al di fuori del contratto, potenzialmente oggetto di circolazione giuridica, che si mette solitamente in rilievo il carattere di “scommessa” del contratto di swap, specie se speculativo: trasferimento ricchezza creata a posteriori, per il fatto stesso della stipula dell’accordo).
Essendo tale valore un tutt’uno con il contratto, non viene in rilievo un mero motivo. Può certamente accadere che il valore programmato del contratto non si realizzi; le aspettative sui flussi falliscono, le previsioni non trovano corrispondenza. Ecco allora che la formula del mark to market consente di mettere a fuoco la differenza tra ciò che si prevedeva sarebbe stato, e ciò che è stato effettivamente. È solo in forza del primo elemento che:
- ha senso per es. rinegoziare le condizioni del contratto (se del caso: recedere e stipularne uno nuovo) e, soprattutto (prima ancora);
- al momento della stipula aveva senso il fatto di impegnarsi nello scambio dei flussi finanziari e al pagamento della differenza.
Ne consegue che, se il contratto debba avere una razionalità, l’oggetto dello stesso non possa prescindere dalla formula del mark to market, più che dalla sua esplicitazione al momento della stipula. Sostenere che il mark to market non abbia nulla da dire sulle prestazioni passate è corretto, ma poco conferente: il punto è che il contratto viene stipulato proprio e in ragione dell’esigenza del futuro, e, soprattutto, sulla base di quella che si spera esserne stata una valutazione ponderata.
Appare, dunque, meritevole di condivisione la tesi che evidenzia come il mark to market, lungi dal rappresentare un elemento accessorio del contratto, ne costituisce (più che l’oggetto) una sua peculiare modalità di espressione: destinata certamente ad avere pratico rilievo in determinate, eventuali circostanze (le ipotesi di chiusura anticipata del rapporto), ma che illustrano e prima ancora integrano la razionalità del contratto fin dalla sua stipula. È per questo motivo che il valore potenziale del derivato, desumibile dal mark to market, assume rilievo non solo economico, ma giuridico; proprio la specifica previsione di cui all’art. 2427bis c.c. (che impone l’inserimento a bilancio del relativo valore sottintende), in una con la sua natura di strumento finanziario, la sua precisa valutazione in ogni momento, a pena di immeritevolezza di tutela già come modello astratto di contratto, ex art. 1322, comma 2, c.c.
Consegue che in difetto di esplicitazione della formula di calcolo del mark to market, supposta esistente, il contratto non è meritevole di tutela. Non è, quindi, questione limitata a un meccanismo di tutela del contraente “debole”, sotto il profilo del livello di rischio massimo tollerabile, né, tantomeno, di disciplina di vicende inerenti allo svolgimento del rapporto del tutto peculiari (come la rinegoziazione o l’esigenza di calcolare l’ammontare dovuto in base a una clausola penale)), bensì di astratta ammissibilità della fattispecie.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento.