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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 7 dicembre 2022, n. 35979.

di Alessio Buontempo

Praticante Avvocato

Il ricorso presso la Suprema Corte origina dalla vicenda che vede il ricorrente soccombente sia dinanzi al Tribunale di di Monza che dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, quest’ultima limitatasi a confermare la decisione del giudice di prime cure.
La materia del contendere ha ad oggetto la richiesta di accertamento della nullità del contratto di conto corrente e del contratto di conto anticipi su fatture per la paventata mancanza di forma scritta opposta dal ricorrente nei confronti della Banca Popolare di Bergamo S.p.A., e l’accertamento, inoltre, della nullità delle clausole di determinazione degli interessi e loro capitalizzazione trimestrale, della commissione di massimo scoperto e sua capitalizzazione trimestrale, della nullità degli interessi praticati in quanto superiori al tasso soglia dell’usura ex lege presunta e infine per la arbitrarietà del calcolo dei giorni di valuta, per l’addebito di spese forfetarie non determinate per contratto.
La sentenza della Corte d’Appello impugnata statuiva che è onere di chi chiede la ripetizione dell’indebito oggettivo versato in in esecuzione di rapporto di conto corrente bancario depositare in giudizio l’intera sequenza di estratti di conto relativi al proprio conto, affinché sia possibile individuare gli eventuali addebiti illegittimamente applicati dalla banca. In questo senso l’appellante non ha assolto a detto onere, avendo depositato solo gli estratti di conto corrente dei periodi fra il 31 gennaio 2000 e 22 luglio 2010 per un conto, e fra il 31 gennaio 2000 e 31 gennaio 2007 per un altro. Sebbene il ricorrente avesse chiesto ex art. 119, co. 4, T.u.b. gli estratti dei conti relativi al periodo intercorso tra la data di inizio di ciascun rapporto e la fine del quarto trimestre del 1999, la banca non aveva l’obbligo di conservare tali documenti in quanto relativi a periodo anteriore al decennio antecedente la richiesta della Società.
La Società ricorrente con primo motivo deduce che la sentenza impugnata, nella parte in cui si afferma di non aver provato la sussistenza della propria domanda di ripetizione dell’indebito oggettivo ad opera del ricorrente, trascura che la banca non aveva provato di averle comunicato gli estratti di conto contente, la Suprema Corte ritine tale motivo inammissibile in considerazione della sua non autosufficienza, in particolare in quanto la parte ricorrente non ha precisato in quale atto e in quali termini la questione sia stata sollevata nel giudizio di merito.
Con il secondo motivo la Società afferma che il giudice d’Appello, nell’affermare la necessità, ai fini della prova dei pagamenti indebiti, di depositare in giudizio l’intera sequenza degli estratti conto relativi ai due conti correnti per cui agisce, abbia in modo erroneo applicato gli artt. 1218 e 2697 c.c., l’art. 119 T.u.b. e l’art. 115 c.p.c, in virtù del fatto che sono acquisiti agli atti gli estratti relativi al periodo intercorso fra il 31 gennaio 2000 fino alla data di estinzione di ciascun conto corrente; la conseguenza è che il conteggio dei rapporti dare-avere andrà formulato secondo il principio del c.d. saldo zero: andranno quindi azzerate le prime appostazioni negative su entrambi i rapporto, e che in applicazione del principio di vicinanza della fonte della prova, la banca deve tenere per dieci anni le proprie scritture contabili ai sensi dell’art. 2220 c.c., essendo contrario al canone di buona fede la mancata produzione in giudizio delle scritture da parte della Banca che ha, inoltre, il dovere di protezione preprocessuale del correntista di cui è espressione l’art. 119 del T.u.b.
Con il terzo motivo si deduce la sentenza di secondo grado abbia falsamente applicato gli artt. 1218 e 2697 c.c., art. 119 T.u.b. e art. 115 c.p.c., in quanto dal momento in cui il correntista agisca in ripetizione dell’indebito derivato da rapporto di conto corrente conseguente ad affermazione di nullità o inefficacia di specifici addebiti operati dalla banca, nella ricostruzione dei rapporti di dare e avere fra le parti è necessaria considerare il primo saldo annotato sugli estratti conti prodotti in mancanza dell’intera sequenza degli estratti dall’inizio alla fine del rapporto. La Corte passa poi direttamente all’esame del quinto motivo ritenendo che tali tre debbano essere trattati in via congiunta in quanto tra loro connessi; così con il quinto motivo la parte ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso ogni statuizione sulle domande “di accertamento di nullità e/o illegittimità delle clausole contrattuali e delle condotte della Banca, ritenendo la questione integralmente assorbita dalla mancata produzione della sequenza integrale degli estratti conto corrente”, così malamente applicando gli artt. 99 e 112 c.p.c. Trattando tali motivi la Suprema Corte afferma che seppur sia vero che la giurisprudenza di legittimità abbia avuto modo di affermare il principio secondo cui nel giudizio tra banca e cliente con oggetto un pregresso rapporto di conto corrente l’art, 2697 c.c. imponga quando la banca vanta una credito derivato dal saldo finale di segno negativo di tale rapporto, la rideterminazione di tale saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto a partire dalla sua apertura, non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione, incompleta, in giudizio depositata dalla banca. Non diversamente quanto il cliente agisca nei confronti della banca per la ripetizione dell’indebito è il cliente a dover provare innanzitutto mediante deposito degli estratti di conto la fondatezza dei fatti e delle domande di accertamento della detta domanda di ripetizione, e conseguentemente il mancato deposito di alcuni estratti fa perdere la possibilità di dimostrare il fondamento della domanda di restituzione di denaro data alla banca nel periodo di tempo tra l’inizio del rapporto a quello a cui si riferiscono gli estratti depositati; ben potendo il giudice accertare se vi siano addebiti non dovuti risultanti dagli estratti depositati. La Corte, anche richiamando un costante orientamento di legittimità, afferma il principio di diritto per cui nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisce per la ripetizione dalla banca di danaro che afferma essere stato a costei indebitamente dato nel corso dell’intera durata del rapporto sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente relative alla misura degli interessi e al massimo scoperto, di applicazione di interessi in misura superiore a quella del tasso soglia dell’usura presunta, per come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, nonché di addebiti di danaro non previsti dal contratto, “è onerato della prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi mediante deposito degli estratti periodici di tale conto corrente riferiti all’intera durata del rapporto; con la conseguenza che qualora egli depositi solo alcuni di tali estratti periodici di conto corrente egli da un lato non adempie a detto onere per la parte di rapporto non documentata e, dall’altro, l’omissione non costituisce fatto impediente il sollecitato accertamento giudiziale del dare e dell’avere fra le parti del cessato rapporto a partire dal primo saldo (nella specie, a debito) dal cliente documentalmente riscontrato”.
Così la Corte rigetta il secondo motivo e, invece, accoglie il terzo nel senso sopra precisato. Proseguendo, la Corte ritiene fondato anche il quinto motivo, ritenendo giustamente illogica l’affermazione contenuta nella sentenza d’Appello secondo cui l’accertamento giudiziale della dedotta mancanza di causa degli addebiti sui due conti correnti avrebbe quale presupposto la fondatezza della domanda di ripetizione dell’indebito oggettivo; essendo invece vero il contrario, dal momento che il vantato diritto dell’attore a ripetere dalla banca il danaro a lei dato in esecuzione dei due rapporti di conto corrente è in tesi predicabile quale conseguenza dell’accertamento giudiziale delle, asserite, illegittimità, di fonte contrattuale ovvero legale, degli addebiti dalla banca eseguiti sugli stessi conti. Infine infondato viene ritenuto il quarto motivo, ritenendo che nei rapporti fra banca e cliente il diritto di questi di ottenere a proprie spese la copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni (ex 119, co. 4, T.u.b.) può essere esercitato in sede giudiziale mediante istanza volta ad ottenere ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., a condizione che tali documenti siano stati precedentemente richiesti alla banca e che questa non abbia adempiuto senza giustificazione. In conclusione, la parte ricorrente, con il sesto motivo deduce che la sentenza impugnata, nella parte in cui “non ha accertato in capo alla Banca le citate nullità e violazioni nei rapporti bancari dedotti”, si caratterizza per violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 1283, 1325, 1418, 1421, 1422 e 1423 c.c., della l. n. 108 del 1996, dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, co. 2, c.p.c. E così per come formulato, il motivo è ritenuto inammissibile in quanto le domande il cui esame sarebbe stato omesso sono state solo genericamente indicate. La Suprema Corte cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di appello di Milano, precisando che quest’ultima pronunciandosi dovrà attenersi al principio di diritto sopra enunciata dalla prima.

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