Il contratto di mutuo per l’acquisto dell’azienda, non può dirsi inerente all’esercizio dell’azienda, perché è volto all’acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione, che, secondo autorevole dottrina, va distinto dall’atto dell’organizzazione, al fine di scongiurare l’indiscriminata assimilazione dell’attività organizzativa a quella di produzione organizzata (traccia di questa distinzione v’è in Cass. n. 15769/04, secondo cui in mancanza di apparato aziendale anche atti preparatori possono segnare l’effettivo esercizio dell’attività d’impresa, purché, però, permettano di individuare l’oggetto dell’attività e il suo carattere commerciale, come nel caso del mercante d’arte che acquisti, per la rivendita, numerose opere d’arte, e svolga attività promozionali). Questa distinzione risalta viepiù nella specie, poiché si ha riguardo a un imprenditore individuale, che assume la qualifica, ai fini civilistici, solo in conseguenza dell’esercizio effettivo dell’attività (Cass. n. 23157/18; n. 6968/19), anche di là dalla mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita iva. La titolarità statica dell’azienda si distingue, difatti, dall’esercizio dinamico dell’impresa, al punto che, al cospetto di una pluralità di contitolari dell’azienda, non si esclude la possibilità che solo uno di essi assuma l’effettiva gestione dell’attività commerciale, e la correlativa veste imprenditoriale, mentre un altro ne resti estraneo e si limiti a conservare il diritto dominicale spettantegli pro quota sui beni aziendali (Cass. n. 4986/97). Ne deriva che gli obblighi che si trasferiscono in capo all’acquirente sono quelli che il venditore si è assunto in quanto imprenditore (Cass. n. 5495/01). Posto, dunque, che sia l’art. 2558, sia l’art. 2560 c.c. riguardano l’esercizio dinamico dell’impresa, da entrambe le norme evocato, il contratto di mutuo, che esula da quest’ambito, è estraneo alla sfera di applicazione della successione e nel contratto, e nel debito da esso scaturente.