Sono costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., le norme ( Art. 61, c. 1°, 2°, 5° e 17°, del decreto-legge 25/06/2008, n. 112, convertito, con modificazioni, in legge 06/08/2008, n. 133; art. 6, c. 1°, 3°, 7°, 8°, 12°, 13°, 14° e 21°, del decreto-legge 31/05/2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30/07/2010, n. 122; art. 8, c. 3°, del decreto-legge 06/07/2012, n. 95, convertito, con modificazioni, in legge 07/08/2012, n. 135; e art. 50, c. 3°, del decreto-legge 24/04/2014, n. 66, convertito, con modificazioni, in legge 23/06/2014, n. 89)che prevedono, limitatamente alla loro applicazione alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019, che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
L’applicazione alle Camere di commercio di tali disposizioni risulta irragionevole, a fronte della particolare autonomia finanziaria di detti soggetti, che preclude la possibilità di ottenere finanziamenti adeguati da parte dello Stato e interventi di ripianamento di eventuali deficit generati dalla gestione amministrativa dei medesimi.
Infatti le Camere di commercio sono enti autonomi di diritto pubblico che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali (risultando in tal modo espressione delle imprese che compongono i diversi settori dell’economia provinciale, con funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali delle imprese stesse), esse si caratterizzano per l’autogoverno e l’autoamministrazione organizzativa e funzionale, ma anche per l’autonomia finanziaria, cioè la assenza di finanziamenti statali correnti e di interventi finalizzati a garantirne il risanamento nei casi di deficit accumulati dalla gestione ordinaria.
Poiché il diritto camerale è divenuto il principale strumento di sostegno di iniziative finalizzate a tutelare e sviluppare quei settori economici capaci, a loro volta, di generare effetti di crescita e di occupazione, è chiaro che la normativa censurata, riducendo le risorse disponibili (ormai principalmente garantite da quelle versate dalle imprese) finisce per frustrare le aspettative che le imprese nutrono a seguito del versamento del diritto annuale alle Camere di commercio. L’obbligo di versamento allo Stato dei risparmi conseguiti mina gravemente la sostenibilità della gestione economico-finanziaria e determina un aggravamento dei bilanci di detti enti, le cui entrate risultano, a regime, effettivamente dimezzate. In conclusione: l’equilibrio della finanza pubblica allargata non può essere realizzato attraverso lo “sbilanciamento” dei conti delle Camere di commercio. È di tutta evidenza, difatti, come realizzare un punto di equilibrio macroeconomico attraverso il correlato squilibrio del sistema camerale costituisca una intrinseca irragionevolezza, che, oltretutto, provoca indubbi riflessi negativi sui servizi alle imprese.