Nota di commento a Trib. Venezia, 4 aprile 2022, n. 368.
A cura dell’Avv. Piero Cecchinato
Con una recente pronuncia in materia di sviamento causale e nullità del derivato per mancata esplicitazione del MTM e dei costi di intermediazione, il Tribunale di Venezia si inserisce nel solco delineato dalle più recenti pronunce in materia della Suprema Corte.
SOMMARIO: 1. Le contestazioni della cliente in causa. – 2. Lo sviamento causale nei contratti derivati. – 3. L’indeterminatezza dell’oggetto del derivato in caso di mancata esplicitazione dei costi di intermediazione. – 4. La sentenza del Tribunale di Venezia.
1. Le contestazioni della cliente in causa.
Con la sentenza in oggetto, il Tribunale di Venezia ha accolto l’azione di nullità proposta da una società agricola nei confronti di quattro contratti derivati stipulati in un arco temporale di venti mesi.
In causa l’attrice aveva dedotto di essere stata persuasa ad aderire ad un primo contratto derivato di tipo interest rate swap al fine – stabilito nelle premesse della relativa contrattazione quadro – di “cautelarsi rispetto al rischio di interesse” sulle posizioni di debito in essere, “allo scopo di meglio correlare le posizioni medesime con la propria situazione creditoria e debitoria globale per una equilibrata gestione della propria tesoreria”.
Per questo, secondo la prospettazione dell’attrice, l’importo del nozionale di tale primo contratto derivato (€ 1.291.142) venne determinato in misura coincidente all’importo preso a prestito poco tempo prima.
Rispetto a tale prima operazione l’attrice aveva dedotto che difficilmente potesse trattarsi di un’operazione di copertura o comunque di piena copertura, laddove solo si fosse considerato che all’aumento dei tassi oltre la soglia del 5,76%, la Società avrebbe perso ogni beneficio derivante dallo scambio dei tassi e sarebbe tornata a scontare il tasso variabile di mercato sul debito.
La Società aveva contestato inoltre che tale operazione non costituisse un semplice contratto di tipo plain vanilla, essendo stata strutturata con due opzioni sottostanti di tipo “digi-cap” e “cap” e che non potesse dirsi di copertura ai sensi di quanto previsto dalla Comunicazione Consob n. DI/99013791 del 26.2.1999, dal momento che il nozionale di riferimento non era di tipo amortizing (ossia destinato a ridursi progressivamente di pari passo con il debito principale da coprire), ma di tipo bullet, cioè fisso e stabile a prescindere da qualsiasi riduzione dell’esposizione debitoria da coprire e quindi del rischio di tasso relativo (il che determina quella che in gergo viene chiamata “sovra copertura” dall’effetto speculativo).
La Società aveva poi dedotto di aver stipulato, circa nove mesi dopo, un nuovo contratto di tipo IRS il cui scopo sarebbe stato di abbassare l’esposizione rispetto alla tendenza discendente di mercato. Tuttavia, la mancata chiusura dell’operazione precedente ebbe l’effetto di aumentare le divergenze fra il debito sottostante da mutuo e l’operatività d’investimento, che da lì in avanti avrebbe fornito una sovra-copertura doppia, commisurata a due nozionali fissi (e non in ammortamento) di importo pari al debito sottostante.
Da ultimo, a circa 10 mesi dalla prima stipula, la Società aderì ad altre due proposte di investimento della Banca in due operazioni denominate Purple Collar, rapportate ciascuna ad un importo nozionale di € 1.000.000,00 e per effetto delle quali: (i) la Banca avrebbe sopportato flussi di denaro commisurati al tasso fisso del 4,60%; (ii) la Società avrebbe sopportato flussi commisurati al tasso variabile Euribor a 6 mesi, con un minimo del 2,95% ed un massimo del 5,10%, con la precisazione che laddove alle date di rilevazione il tasso di riferimento si fosse assestato al di sopra della soglia massima, la Società avrebbe comunque scontato un tasso del 5,10%, mentre laddove il tasso di riferimento si fosse assestato al di sotto della soglia minima del 2,95%, la Società avrebbe scontato un tasso del 4,25%.
Di tutte tali operazioni, in causa la Società aveva contestato, tra l’altro, la nullità per sviamento causale rispetto alla causa in concreto pattuita nel contratto quadro e per indeterminatezza dell’oggetto, chiedendo la condanna della Banca alla restituzione di tutti i differenziali addebitati nel corso del rapporto, per circa € 194.000,00.
2.Lo sviamento causale nei contratti derivati.
Come sappiamo, il terreno su cui insiste la causa di un negozio giuridico confina strettamente con il terreno su cui insiste l’area di motivi che spingono i contraenti alla stipula. L’area della pura oggettività negoziale confina con quella della soggettività delle motivazioni interne delle parti.
Gli obiettivi di investimento che possono trovarsi sanciti nei moduli di contratto quadro che le banche predispongono per regolare l’operatività successiva in strumenti finanziari derivati non sembra, però, potersi ascrivere all’area dei motivi individuali che spingono alla stipula.
Tali motivazioni individuali insistono su un’area che si colloca oltre quella della rilevanza contrattuale e possono essere le più disparate, come il contenimento del debito della società, il miglioramento dell’utile, il conseguimento di maggiore serenità nell’amministrazione dell’azienda, etc.
Per soddisfare simili esigenze gli strumenti a disposizione possono essere molti. Ma la funzione di copertura che venga sancita nella contrattazione quadro non costituisce un mero obiettivo, né manifesta un’esigenza, divenendo invece strumento causale attraverso cui soddisfare gli obiettivi e le esigenze in concreto perseguite dall’impresa.
Si entra, cioè, nell’area di quella che si suole chiamare “causa in concreto” di un contratto, “intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato, che conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra” ([1]).
Conseguenza della mancata conformità della causa a quella stabilita in concreto nel regolamento quadro è l’inesistenza (o “sviamento”, per usare l’espressione risalente ad alcune posizioni dottrinarie) della causa del negozio tipizzata dalle parti come meritevole di tutela nell’ambito dei loro rapporti, con conseguente invalidità delle singole operazioni.
Tale tesi, nella materia che qui specificamente interessa oggi, è stata sostenuta ad esempio dal Tribunale di Bari, il quale ha ritenuto che ”qualora un contratto di swap sui tassi di interesse venga stipulato allo scopo di copertura del rischio derivante dall’aumento del tasso variabile di un contratto di finanziamento, applicando alla fattispecie la nozione di causa concreta recepita e fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, è possibile individuare un difetto genetico di causa (dovuto all’incapacità ab origine dello schema negoziale di realizzare la copertura del rischio) in quei contratti di swap che incorporino le passività derivanti da precedenti analoghi contratti” e che è per tale motivo divengono speculativi” ([2]).
In tale decisione il Tribunale di Bari ha affrontato il fenomeno precipuo della rinegoziazione ripetute di contratti derivati, dettando principi che però appaino applicabili ad ogni tipo di operatività in tali strumenti.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il Tribunale di Treviso ha ritenuto “laddove lo scopo di garantirsi contro l’aumento dei tassi di interesse non sia oggettivamente raggiungibile, sin dal sorgere del contratto, a causa della inidoneità dei parametri finanziari predisposti dalla banca, discende che il negozio sia privo di causa concreta, oltre che astratta, ovverosia privo dello scopo pratico dei negozi perseguiti dalle parti, in quanto le condizioni delle operazioni non erano idonee, secondo un giudizio prognostico ex ante, a cautelare la cliente dalla fluttuazione del tasso di interesse, e conseguentemente è da ritenersi nullo per violazione degli artt. 1325 e 1418, comma 2 del codice civile” ([3]).
Ancora, si è sostenuto che “in una situazione di profonda disparità, tanto più in considerazione della finalità esclusivamente protezionistico-assicurativa dell’IRS in oggetto, l’effettiva sussistenza della bilateralità e/o reciprocità dell’alea è da considerarsi solo formale e meramente apparente (…). Il difetto di causa in concreto comporta la nullità di tale contratto ex art. 1325/1418 c.c. ed il diritto dell’attrice di vedersi restituite le somme corrisposte in esecuzione del negozio nullo” ([4]).
Più di recente, il Tribunale di Piacenza ha ritenuto che “poiché solo con l’euribor uguale o inferiore allo 0,50% – percependo la banca, sul nozionale, un flusso del 4,25% – il ‘rischio tasso’ si sarebbe mantenuto entro la soglia programmata di sostenibilità dell’esposizione debitoria, deve concludersi per l’inettitudine del programma negoziale a realizzare la ragione pratica dell’affare e, quindi, la nullità per difetto della causa in concreto” ([5]).
Tali orientamenti di merito hanno trovato sostegno anche nelle più recenti posizioni della giurisprudenza di legittimità.
Con una pronuncia del 2017, la Suprema Corte ha disegnato l’ambito di apprezzamento della causa di un derivato attorno all’art. 1322 cod. civ., precisando che “dal momento che la determinazione Consob DI/99013791 del 26.2.1999 si inquadra nell’ambito delle misure di attuazione del TUF e del Regolamento Consob, si deve ritenere che la necessaria cura dell’interesse oggettivo del cliente – che la normativa degli artt. 21 e 26, va a inserire nell’ambito della generale valutazione di meritevolezza degli interessi prescritta dall’art. 1322 c.c. – si traduca, in relazione alle operazioni in derivati IRS con funzioni di copertura, nel rispetto delle sopra elencate condizioni. Con la conseguenza ulteriore che l’interesse oggettivo del cliente, come sussistente per il compimento di operazioni di effettiva copertura, non potrà ritenersi soddisfatto quando l’operazione in concreto intervenuta non rispetti realmente le condizioni sopra richiamate. Secondo quanto emerge dalla sentenza emessa dalla Corte territoriale, le operazioni IRS (contratto di partenza e contratto sostituivo) poste in essere con la banca convenuta non appaiono perseguire effettivamente una funzione di copertura, non rispettando in particolare la seconda delle condizioni indicate dalla Determinazione Consob (della stretta correlazione occorrente tra lo strumento di copertura del rischio e il rischio da coprire)” ([6]).
Sulla valutazione da compiersi in ordine alla causa concreta di un derivato si sono poi pronunciate le Sezioni Unite nel 2020 con una pronuncia che, benché dettata in materia di contratti stipulati da enti locali, ha posto dei principi valevoli in generale, affermando che “gli swap vanno considerati come negozi a causa variabile, perché suscettibili di rispondere ora ad una finalità assicurativa ora di copertura di rischi sottostanti; così che la funzione che l’affare persegue va individuata esaminando il caso concreto e, in mancanza di una adeguata caratterizzazione causale, detto affare sarà connotato da una irresolutezza di fondo che renderà nullo il relativo contratto perché non caratterizzato da un profilo causale chiaro e definito o definibile” ([7]).
La portata generale dei principi dettati da tale sentenza è stata di recente anche oggetto di ricognizione da parte della stessa Suprema Corte, con una pronuncia ne ha declinato l’applicazione anche ai contratti stipulati da soggetti privati non appartenenti alla pubblica amministrazione: “la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite, trattando la natura aleatoria dei contratti di swap ed i limiti entro i quali l’ordinamento ne ammette la meritevolezza – e quindi la validità – sotto il profilo causale, richiama, al riguardo, il principio della necessaria sussistenza di alea ‘razionale’, intesa come ‘misurabile’, in quanto funzionale alla finalità di ‘gestione del rischio’ ritenuta sottesa a tali strumenti finanziari: ‘razionalità’ ravvisabile, in concreto, laddove siano esplicitati – e condivisi in accordo con l’investitore – gli elementi che consentono di conoscere la ‘misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti e oggettivamente condivisi’, tramite l’esplicitazione dei costi impliciti – che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea -, del mark to market e, soprattutto, dei cd. ‘scenari probabilistici’” [8].
3.L’indeterminatezza dell’oggetto del derivato in caso di mancata esplicitazione dei costi di intermediazione.
La giurisprudenza più recente ritiene che la mancata esplicitazione del valore iniziale di un contratto derivato (il c.d. mark to market, MTM ([9])) e, di conseguenza, degli eventuali costi di intermediazione riflessi in un MTM di valore negativo al momento della stipula, possa comportare la nullità dell’accordo per indeterminatezza dell’oggetto e che tale indeterminatezza possa finanche riverberarsi sul piano causale, incidendo sulla esatta quantificazione della misura dell’alea a cui il cliente viene esposto.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno espresso chiara adesione all’orientamento di quella parte della dottrina e della giurisprudenza di merito che valorizzano l’indicazione del mark to market, o dei suoi criteri di calcolo, la esplicitazione dei costi impliciti e la prospettazione dei cd. “scenari probabilistici”, quali elementi essenziali del contratto derivato, rilevanti ai fini della sua validità.
Con la pronuncia più sopra citata le Sezioni Unite hanno infatti stabilito che “L’oggetto del contratto IRS è determinato (o determinabile) ove venga indicata la misura qualitativa e quantitativa dell’alea, calcolata secondo criteri riconosciuti ed oggettivamente condivisi (…). I contratti derivati atipici sono validi, leciti e meritevoli di tutela solo in presenza, fin dalla loro stipula, di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market che degli scenari probabilistici e dei cd. costi occulti” ([10]).
Orientamento ribadito anche di recente con l’affermazione che “l’indicazione del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, nonché l’esplicitazione dei costi impliciti e dei cd. “scenari probabilistici”, finiscono con il rappresentare il contenuto di un’obbligazione che sorge con la stipula del contratto concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto” ([11]).
4.La sentenza del Tribunale di Venezia.
Con la sentenza in commento il Tribunale di Venezia si inserisce di buon diritto nel solco tracciato dalle pronunce più sopra citate con riguardo allo sviamento causale e all’indeterminatezza dell’oggetto nei contratti derivati.
“I contratti derivati” – afferma la sentenza – “sono validi solo se l’alea ad essi sottesa è misurabile secondo criteri riconosciuti, nonché esplicitata nel contratto e alla presenza di un chiaro accordo tra le parti. In tal senso si veda Cass. SU n. 8770 del 2020, ma anche Cass. civ., I sezione, n. 21830/2021, secondo cui l’alea del contratto è ‘razionale’ e ‘misurabile’ solo se, in concreto, siano esplicitati e condivisi in accordo con l’investitore gli elementi che consentono di conoscere le condizioni contrattuali praticate, tramite l’esplicitazione dei costi impliciti che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea, del mark to market e dei cd. ‘scenari probabilistici’”.
Per la corte veneta, da tale premessa discende che, nell’ipotesi in cui la causa in concreto del contratto non sia connotabile, sotto il profilo dell’alea, nei termini anzidetti, non si potrà parlare tout court di violazione di obblighi informativi, bensì di “una carenza che – tenuto conto delle descritte peculiarità caratterizzanti la causa e l’oggetto dello strumento in esame, nonché delle innegabili interazioni tra essi configurabili – investe proprio l’essenza (di una parte) dell’accordo, vale a dire del contratto medesimo (quest’ultimo consistendo, appunto, in un ‘accordo’, cfr. artt. 1321 e 1325, n. 1, cod. civ.), così da cagionarne la nullità”.
Pertanto, prosegue la sentenza, “ove dal contratto emergano valori iniziali negativi dello strumento da qualificarsi come commissioni implicite per il servizio fornito, si pone il problema di stabilire se tale retribuzione abbia formato oggetto di accordo negoziale tra i contraenti. Se tale elemento del contratto risulta essere indeterminato e se la pattuizione sul punto non si è formata, il contratto deve essere dichiarato nullo con i conseguenti effetti restitutori”.
Nel caso trattato dalla sentenza, la CTU aveva accertato l’applicazione di margini di intermediazione non dichiarati in tutti e quattro i contratti e ciò ha portato il giudice a ritenere un difetto strutturale dell’oggetto del contratto, sotto l’aspetto dell’indeterminatezza, rilevante anche rispetto alla causa in concreto, posto che l’alea può per l’appunto dirsi razionale solo se misurabile, ossia solo se, “in concreto, siano esplicitati e condivisi in accordo con l’investitore gli elementi che consentono di conoscere le condizioni contrattuali praticate, tramite l’esplicitazione dei costi impliciti”.
Con riguardo agli ultimi due contratti di tipo “COLLAR”, la sentenza ha altresì valorizzato le risultanze della CTU laddove ne ha ritenuto il carattere speculativo non in linea con la previsione causale della pattuizione quadro.
Tali contratti, per il CTU, non potevano assolvere ad una funzione di copertura, ma solo di “riduzione parziale del rischio finanziario, potenzialmente valida rispetto a variazioni dell’EURIBOR 6M, ma piuttosto limitata, perché limitata nell’ammontare (comunque inferiore al 1.20% a partire da 1.20% decrescente fino a zero rispetto ad incrementi dell’EURIBOR 6M dal 2.95% al 4.15%) e perché efficace solo all’interno di un intervallo piuttosto limitato di valori dell’EURIBOR 6M (2.95%-4.15%), di ampiezza pari a 1.20%, la cui efficacia effettiva dipende quindi dalle aspettative del mercato rispetto all’EURIBOR 6M al momento della stipula”.
Per la CTU tali due contratti introducevano inoltre “delle ulteriori componenti di rischio (speculative) connesse ad aumenti dell’Euribor 6M al di sopra del 4.15%, che comportano ulteriori oneri a carico del Cliente corrispondenti a differenziali crescenti compresi tra 0% e 0,95%, ed a diminuzioni dell’EURIBOR 6M al di sotto del 2.95%, che comportano ulteriori oneri a carico del Cliente corrispondenti al differenziale fisso dello 0.1%”.
Componenti di rischio speculative ulteriori che la sentenza ha ritenuto “non congruenti rispetto alla causa dei contratti in oggetto, così come espressa nei contratti quadro dimessi in atti, divergendo funzionalmente dalla stessa”.
In conclusione, per la sentenza, attesi l’indeterminatezza dell’oggetto dei contratti derivati sottoscritti dalla società attrice, e il difetto genetico della causa, dovuto all’incapacità ab origine dello schema negoziale di realizzare la copertura del rischio, le operazioni intervenute devono ritenersi tutte affette da nullità, con conseguente condanna della Banca alla restituzione dei differenziali addebitati.
Qui la sentenza.
[1] Cass. civ. Sez. I Sent., 16/05/2017, n. 12069. La categoria della causa in concreto è stata di recente riaffermata, tra l’altro, in materia di validità di clausole claims made da parte di Cass. civ. sez. III, 26/04/2022, n. 12981, Cass. civ. sez. III, 25/02/2021, n.5259, Cass. civ. sez. III, 09/07/2020, n.14595 e Cass. civ. sez. un., 24/09/2018, n.22437.
[2] Tribunale di Bari, 15 luglio 2010, Giudice Estensore Dott. Scoditti, leggibile su www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2360.php.
[3] Tribunale di Treviso, 26 Agosto 2015, Est. Alessandra Burra, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 13632 – pubb. 05/11/2015.
[4] Tribunale Monza, sez. I, 09/11/2017, in Pluris.it di Wolters Kluver.
[5] Tribunale di Piacenza, Giudice Unico Filippo Ricci, sent. n. 653/2018 del 6.10.2018, causa r.g. 947/2011, in Pluris.it di Wolters Kluver.
[6] Cass. civ. Sez. I, Sent., 31/7/2017, n. 19013, indirettamente ribadita anche da Cass. civ. sez. I, 13/07/2018, n. 18724.
[7] Cass. civ. Sez. Unite, sent., 12/5/2020, n. 8770.
[8] Cass. civ. sez. I, 29/07/2021, n. 21830.
[9] “Il mark to market – la cui locuzione significa ‘marcare il mercato’ – esprime un metodo valutativo di un derivato e nasce come strumento di monitoraggio e criterio di calcolo della marginazione deve concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti” (Cass. civ., sez. I, 29/07/2021, n. 21830).
[10] Cass. civ. Sez. Unite, sent., 12/5/2020, n. 8770.
[11] Cass. civ. sez. I, 29/07/2021, n. 21830.
Nota di commento a Trib. Venezia, 4 aprile 2022, n. 368.
A cura dell’Avv. Piero Cecchinato
Con una recente pronuncia in materia di sviamento causale e nullità del derivato per mancata esplicitazione del MTM e dei costi di intermediazione, il Tribunale di Venezia si inserisce nel solco delineato dalle più recenti pronunce in materia della Suprema Corte.
SOMMARIO: 1. Le contestazioni della cliente in causa. – 2. Lo sviamento causale nei contratti derivati. – 3. L’indeterminatezza dell’oggetto del derivato in caso di mancata esplicitazione dei costi di intermediazione. – 4. La sentenza del Tribunale di Venezia.
1. Le contestazioni della cliente in causa.
Con la sentenza in oggetto, il Tribunale di Venezia ha accolto l’azione di nullità proposta da una società agricola nei confronti di quattro contratti derivati stipulati in un arco temporale di venti mesi.
In causa l’attrice aveva dedotto di essere stata persuasa ad aderire ad un primo contratto derivato di tipo interest rate swap al fine – stabilito nelle premesse della relativa contrattazione quadro – di “cautelarsi rispetto al rischio di interesse” sulle posizioni di debito in essere, “allo scopo di meglio correlare le posizioni medesime con la propria situazione creditoria e debitoria globale per una equilibrata gestione della propria tesoreria”.
Per questo, secondo la prospettazione dell’attrice, l’importo del nozionale di tale primo contratto derivato (€ 1.291.142) venne determinato in misura coincidente all’importo preso a prestito poco tempo prima.
Rispetto a tale prima operazione l’attrice aveva dedotto che difficilmente potesse trattarsi di un’operazione di copertura o comunque di piena copertura, laddove solo si fosse considerato che all’aumento dei tassi oltre la soglia del 5,76%, la Società avrebbe perso ogni beneficio derivante dallo scambio dei tassi e sarebbe tornata a scontare il tasso variabile di mercato sul debito.
La Società aveva contestato inoltre che tale operazione non costituisse un semplice contratto di tipo plain vanilla, essendo stata strutturata con due opzioni sottostanti di tipo “digi-cap” e “cap” e che non potesse dirsi di copertura ai sensi di quanto previsto dalla Comunicazione Consob n. DI/99013791 del 26.2.1999, dal momento che il nozionale di riferimento non era di tipo amortizing (ossia destinato a ridursi progressivamente di pari passo con il debito principale da coprire), ma di tipo bullet, cioè fisso e stabile a prescindere da qualsiasi riduzione dell’esposizione debitoria da coprire e quindi del rischio di tasso relativo (il che determina quella che in gergo viene chiamata “sovra copertura” dall’effetto speculativo).
La Società aveva poi dedotto di aver stipulato, circa nove mesi dopo, un nuovo contratto di tipo IRS il cui scopo sarebbe stato di abbassare l’esposizione rispetto alla tendenza discendente di mercato. Tuttavia, la mancata chiusura dell’operazione precedente ebbe l’effetto di aumentare le divergenze fra il debito sottostante da mutuo e l’operatività d’investimento, che da lì in avanti avrebbe fornito una sovra-copertura doppia, commisurata a due nozionali fissi (e non in ammortamento) di importo pari al debito sottostante.
Da ultimo, a circa 10 mesi dalla prima stipula, la Società aderì ad altre due proposte di investimento della Banca in due operazioni denominate Purple Collar, rapportate ciascuna ad un importo nozionale di € 1.000.000,00 e per effetto delle quali: (i) la Banca avrebbe sopportato flussi di denaro commisurati al tasso fisso del 4,60%; (ii) la Società avrebbe sopportato flussi commisurati al tasso variabile Euribor a 6 mesi, con un minimo del 2,95% ed un massimo del 5,10%, con la precisazione che laddove alle date di rilevazione il tasso di riferimento si fosse assestato al di sopra della soglia massima, la Società avrebbe comunque scontato un tasso del 5,10%, mentre laddove il tasso di riferimento si fosse assestato al di sotto della soglia minima del 2,95%, la Società avrebbe scontato un tasso del 4,25%.
Di tutte tali operazioni, in causa la Società aveva contestato, tra l’altro, la nullità per sviamento causale rispetto alla causa in concreto pattuita nel contratto quadro e per indeterminatezza dell’oggetto, chiedendo la condanna della Banca alla restituzione di tutti i differenziali addebitati nel corso del rapporto, per circa € 194.000,00.
2.Lo sviamento causale nei contratti derivati.
Come sappiamo, il terreno su cui insiste la causa di un negozio giuridico confina strettamente con il terreno su cui insiste l’area di motivi che spingono i contraenti alla stipula. L’area della pura oggettività negoziale confina con quella della soggettività delle motivazioni interne delle parti.
Gli obiettivi di investimento che possono trovarsi sanciti nei moduli di contratto quadro che le banche predispongono per regolare l’operatività successiva in strumenti finanziari derivati non sembra, però, potersi ascrivere all’area dei motivi individuali che spingono alla stipula.
Tali motivazioni individuali insistono su un’area che si colloca oltre quella della rilevanza contrattuale e possono essere le più disparate, come il contenimento del debito della società, il miglioramento dell’utile, il conseguimento di maggiore serenità nell’amministrazione dell’azienda, etc.
Per soddisfare simili esigenze gli strumenti a disposizione possono essere molti. Ma la funzione di copertura che venga sancita nella contrattazione quadro non costituisce un mero obiettivo, né manifesta un’esigenza, divenendo invece strumento causale attraverso cui soddisfare gli obiettivi e le esigenze in concreto perseguite dall’impresa.
Si entra, cioè, nell’area di quella che si suole chiamare “causa in concreto” di un contratto, “intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato, che conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra” ([1]).
Conseguenza della mancata conformità della causa a quella stabilita in concreto nel regolamento quadro è l’inesistenza (o “sviamento”, per usare l’espressione risalente ad alcune posizioni dottrinarie) della causa del negozio tipizzata dalle parti come meritevole di tutela nell’ambito dei loro rapporti, con conseguente invalidità delle singole operazioni.
Tale tesi, nella materia che qui specificamente interessa oggi, è stata sostenuta ad esempio dal Tribunale di Bari, il quale ha ritenuto che ”qualora un contratto di swap sui tassi di interesse venga stipulato allo scopo di copertura del rischio derivante dall’aumento del tasso variabile di un contratto di finanziamento, applicando alla fattispecie la nozione di causa concreta recepita e fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, è possibile individuare un difetto genetico di causa (dovuto all’incapacità ab origine dello schema negoziale di realizzare la copertura del rischio) in quei contratti di swap che incorporino le passività derivanti da precedenti analoghi contratti” e che è per tale motivo divengono speculativi” ([2]).
In tale decisione il Tribunale di Bari ha affrontato il fenomeno precipuo della rinegoziazione ripetute di contratti derivati, dettando principi che però appaino applicabili ad ogni tipo di operatività in tali strumenti.
Sulla stessa lunghezza d’onda, il Tribunale di Treviso ha ritenuto “laddove lo scopo di garantirsi contro l’aumento dei tassi di interesse non sia oggettivamente raggiungibile, sin dal sorgere del contratto, a causa della inidoneità dei parametri finanziari predisposti dalla banca, discende che il negozio sia privo di causa concreta, oltre che astratta, ovverosia privo dello scopo pratico dei negozi perseguiti dalle parti, in quanto le condizioni delle operazioni non erano idonee, secondo un giudizio prognostico ex ante, a cautelare la cliente dalla fluttuazione del tasso di interesse, e conseguentemente è da ritenersi nullo per violazione degli artt. 1325 e 1418, comma 2 del codice civile” ([3]).
Ancora, si è sostenuto che “in una situazione di profonda disparità, tanto più in considerazione della finalità esclusivamente protezionistico-assicurativa dell’IRS in oggetto, l’effettiva sussistenza della bilateralità e/o reciprocità dell’alea è da considerarsi solo formale e meramente apparente (…). Il difetto di causa in concreto comporta la nullità di tale contratto ex art. 1325/1418 c.c. ed il diritto dell’attrice di vedersi restituite le somme corrisposte in esecuzione del negozio nullo” ([4]).
Più di recente, il Tribunale di Piacenza ha ritenuto che “poiché solo con l’euribor uguale o inferiore allo 0,50% – percependo la banca, sul nozionale, un flusso del 4,25% – il ‘rischio tasso’ si sarebbe mantenuto entro la soglia programmata di sostenibilità dell’esposizione debitoria, deve concludersi per l’inettitudine del programma negoziale a realizzare la ragione pratica dell’affare e, quindi, la nullità per difetto della causa in concreto” ([5]).
Tali orientamenti di merito hanno trovato sostegno anche nelle più recenti posizioni della giurisprudenza di legittimità.
Con una pronuncia del 2017, la Suprema Corte ha disegnato l’ambito di apprezzamento della causa di un derivato attorno all’art. 1322 cod. civ., precisando che “dal momento che la determinazione Consob DI/99013791 del 26.2.1999 si inquadra nell’ambito delle misure di attuazione del TUF e del Regolamento Consob, si deve ritenere che la necessaria cura dell’interesse oggettivo del cliente – che la normativa degli artt. 21 e 26, va a inserire nell’ambito della generale valutazione di meritevolezza degli interessi prescritta dall’art. 1322 c.c. – si traduca, in relazione alle operazioni in derivati IRS con funzioni di copertura, nel rispetto delle sopra elencate condizioni. Con la conseguenza ulteriore che l’interesse oggettivo del cliente, come sussistente per il compimento di operazioni di effettiva copertura, non potrà ritenersi soddisfatto quando l’operazione in concreto intervenuta non rispetti realmente le condizioni sopra richiamate. Secondo quanto emerge dalla sentenza emessa dalla Corte territoriale, le operazioni IRS (contratto di partenza e contratto sostituivo) poste in essere con la banca convenuta non appaiono perseguire effettivamente una funzione di copertura, non rispettando in particolare la seconda delle condizioni indicate dalla Determinazione Consob (della stretta correlazione occorrente tra lo strumento di copertura del rischio e il rischio da coprire)” ([6]).
Sulla valutazione da compiersi in ordine alla causa concreta di un derivato si sono poi pronunciate le Sezioni Unite nel 2020 con una pronuncia che, benché dettata in materia di contratti stipulati da enti locali, ha posto dei principi valevoli in generale, affermando che “gli swap vanno considerati come negozi a causa variabile, perché suscettibili di rispondere ora ad una finalità assicurativa ora di copertura di rischi sottostanti; così che la funzione che l’affare persegue va individuata esaminando il caso concreto e, in mancanza di una adeguata caratterizzazione causale, detto affare sarà connotato da una irresolutezza di fondo che renderà nullo il relativo contratto perché non caratterizzato da un profilo causale chiaro e definito o definibile” ([7]).
La portata generale dei principi dettati da tale sentenza è stata di recente anche oggetto di ricognizione da parte della stessa Suprema Corte, con una pronuncia ne ha declinato l’applicazione anche ai contratti stipulati da soggetti privati non appartenenti alla pubblica amministrazione: “la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite, trattando la natura aleatoria dei contratti di swap ed i limiti entro i quali l’ordinamento ne ammette la meritevolezza – e quindi la validità – sotto il profilo causale, richiama, al riguardo, il principio della necessaria sussistenza di alea ‘razionale’, intesa come ‘misurabile’, in quanto funzionale alla finalità di ‘gestione del rischio’ ritenuta sottesa a tali strumenti finanziari: ‘razionalità’ ravvisabile, in concreto, laddove siano esplicitati – e condivisi in accordo con l’investitore – gli elementi che consentono di conoscere la ‘misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti e oggettivamente condivisi’, tramite l’esplicitazione dei costi impliciti – che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea -, del mark to market e, soprattutto, dei cd. ‘scenari probabilistici’” [8].
3.L’indeterminatezza dell’oggetto del derivato in caso di mancata esplicitazione dei costi di intermediazione.
La giurisprudenza più recente ritiene che la mancata esplicitazione del valore iniziale di un contratto derivato (il c.d. mark to market, MTM ([9])) e, di conseguenza, degli eventuali costi di intermediazione riflessi in un MTM di valore negativo al momento della stipula, possa comportare la nullità dell’accordo per indeterminatezza dell’oggetto e che tale indeterminatezza possa finanche riverberarsi sul piano causale, incidendo sulla esatta quantificazione della misura dell’alea a cui il cliente viene esposto.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno espresso chiara adesione all’orientamento di quella parte della dottrina e della giurisprudenza di merito che valorizzano l’indicazione del mark to market, o dei suoi criteri di calcolo, la esplicitazione dei costi impliciti e la prospettazione dei cd. “scenari probabilistici”, quali elementi essenziali del contratto derivato, rilevanti ai fini della sua validità.
Con la pronuncia più sopra citata le Sezioni Unite hanno infatti stabilito che “L’oggetto del contratto IRS è determinato (o determinabile) ove venga indicata la misura qualitativa e quantitativa dell’alea, calcolata secondo criteri riconosciuti ed oggettivamente condivisi (…). I contratti derivati atipici sono validi, leciti e meritevoli di tutela solo in presenza, fin dalla loro stipula, di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market che degli scenari probabilistici e dei cd. costi occulti” ([10]).
Orientamento ribadito anche di recente con l’affermazione che “l’indicazione del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, nonché l’esplicitazione dei costi impliciti e dei cd. “scenari probabilistici”, finiscono con il rappresentare il contenuto di un’obbligazione che sorge con la stipula del contratto concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto” ([11]).
4.La sentenza del Tribunale di Venezia.
Con la sentenza in commento il Tribunale di Venezia si inserisce di buon diritto nel solco tracciato dalle pronunce più sopra citate con riguardo allo sviamento causale e all’indeterminatezza dell’oggetto nei contratti derivati.
“I contratti derivati” – afferma la sentenza – “sono validi solo se l’alea ad essi sottesa è misurabile secondo criteri riconosciuti, nonché esplicitata nel contratto e alla presenza di un chiaro accordo tra le parti. In tal senso si veda Cass. SU n. 8770 del 2020, ma anche Cass. civ., I sezione, n. 21830/2021, secondo cui l’alea del contratto è ‘razionale’ e ‘misurabile’ solo se, in concreto, siano esplicitati e condivisi in accordo con l’investitore gli elementi che consentono di conoscere le condizioni contrattuali praticate, tramite l’esplicitazione dei costi impliciti che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea, del mark to market e dei cd. ‘scenari probabilistici’”.
Per la corte veneta, da tale premessa discende che, nell’ipotesi in cui la causa in concreto del contratto non sia connotabile, sotto il profilo dell’alea, nei termini anzidetti, non si potrà parlare tout court di violazione di obblighi informativi, bensì di “una carenza che – tenuto conto delle descritte peculiarità caratterizzanti la causa e l’oggetto dello strumento in esame, nonché delle innegabili interazioni tra essi configurabili – investe proprio l’essenza (di una parte) dell’accordo, vale a dire del contratto medesimo (quest’ultimo consistendo, appunto, in un ‘accordo’, cfr. artt. 1321 e 1325, n. 1, cod. civ.), così da cagionarne la nullità”.
Pertanto, prosegue la sentenza, “ove dal contratto emergano valori iniziali negativi dello strumento da qualificarsi come commissioni implicite per il servizio fornito, si pone il problema di stabilire se tale retribuzione abbia formato oggetto di accordo negoziale tra i contraenti. Se tale elemento del contratto risulta essere indeterminato e se la pattuizione sul punto non si è formata, il contratto deve essere dichiarato nullo con i conseguenti effetti restitutori”.
Nel caso trattato dalla sentenza, la CTU aveva accertato l’applicazione di margini di intermediazione non dichiarati in tutti e quattro i contratti e ciò ha portato il giudice a ritenere un difetto strutturale dell’oggetto del contratto, sotto l’aspetto dell’indeterminatezza, rilevante anche rispetto alla causa in concreto, posto che l’alea può per l’appunto dirsi razionale solo se misurabile, ossia solo se, “in concreto, siano esplicitati e condivisi in accordo con l’investitore gli elementi che consentono di conoscere le condizioni contrattuali praticate, tramite l’esplicitazione dei costi impliciti”.
Con riguardo agli ultimi due contratti di tipo “COLLAR”, la sentenza ha altresì valorizzato le risultanze della CTU laddove ne ha ritenuto il carattere speculativo non in linea con la previsione causale della pattuizione quadro.
Tali contratti, per il CTU, non potevano assolvere ad una funzione di copertura, ma solo di “riduzione parziale del rischio finanziario, potenzialmente valida rispetto a variazioni dell’EURIBOR 6M, ma piuttosto limitata, perché limitata nell’ammontare (comunque inferiore al 1.20% a partire da 1.20% decrescente fino a zero rispetto ad incrementi dell’EURIBOR 6M dal 2.95% al 4.15%) e perché efficace solo all’interno di un intervallo piuttosto limitato di valori dell’EURIBOR 6M (2.95%-4.15%), di ampiezza pari a 1.20%, la cui efficacia effettiva dipende quindi dalle aspettative del mercato rispetto all’EURIBOR 6M al momento della stipula”.
Per la CTU tali due contratti introducevano inoltre “delle ulteriori componenti di rischio (speculative) connesse ad aumenti dell’Euribor 6M al di sopra del 4.15%, che comportano ulteriori oneri a carico del Cliente corrispondenti a differenziali crescenti compresi tra 0% e 0,95%, ed a diminuzioni dell’EURIBOR 6M al di sotto del 2.95%, che comportano ulteriori oneri a carico del Cliente corrispondenti al differenziale fisso dello 0.1%”.
Componenti di rischio speculative ulteriori che la sentenza ha ritenuto “non congruenti rispetto alla causa dei contratti in oggetto, così come espressa nei contratti quadro dimessi in atti, divergendo funzionalmente dalla stessa”.
In conclusione, per la sentenza, attesi l’indeterminatezza dell’oggetto dei contratti derivati sottoscritti dalla società attrice, e il difetto genetico della causa, dovuto all’incapacità ab origine dello schema negoziale di realizzare la copertura del rischio, le operazioni intervenute devono ritenersi tutte affette da nullità, con conseguente condanna della Banca alla restituzione dei differenziali addebitati.
Qui la sentenza.
[1] Cass. civ. Sez. I Sent., 16/05/2017, n. 12069. La categoria della causa in concreto è stata di recente riaffermata, tra l’altro, in materia di validità di clausole claims made da parte di Cass. civ. sez. III, 26/04/2022, n. 12981, Cass. civ. sez. III, 25/02/2021, n.5259, Cass. civ. sez. III, 09/07/2020, n.14595 e Cass. civ. sez. un., 24/09/2018, n.22437.
[2] Tribunale di Bari, 15 luglio 2010, Giudice Estensore Dott. Scoditti, leggibile su www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2360.php.
[3] Tribunale di Treviso, 26 Agosto 2015, Est. Alessandra Burra, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 13632 – pubb. 05/11/2015.
[4] Tribunale Monza, sez. I, 09/11/2017, in Pluris.it di Wolters Kluver.
[5] Tribunale di Piacenza, Giudice Unico Filippo Ricci, sent. n. 653/2018 del 6.10.2018, causa r.g. 947/2011, in Pluris.it di Wolters Kluver.
[6] Cass. civ. Sez. I, Sent., 31/7/2017, n. 19013, indirettamente ribadita anche da Cass. civ. sez. I, 13/07/2018, n. 18724.
[7] Cass. civ. Sez. Unite, sent., 12/5/2020, n. 8770.
[8] Cass. civ. sez. I, 29/07/2021, n. 21830.
[9] “Il mark to market – la cui locuzione significa ‘marcare il mercato’ – esprime un metodo valutativo di un derivato e nasce come strumento di monitoraggio e criterio di calcolo della marginazione deve concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti” (Cass. civ., sez. I, 29/07/2021, n. 21830).
[10] Cass. civ. Sez. Unite, sent., 12/5/2020, n. 8770.
[11] Cass. civ. sez. I, 29/07/2021, n. 21830.
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