Nota a Cass. Civ., Sez. I, 5 maggio 2022, n. 14208.
di Antonio Zurlo
Nel caso di specie, parte ricorrente lamentava che la Banca non avesse fornito prova di aver adeguatamente informato sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell’investimento; in particolare, l’intermediario avrebbe dovuto considerare tutti gli indicatori che un operatore qualificato non poteva ignorare, e attinenti: alle difficoltà finanziarie di Lehman Brothers nel 2006; all’inadeguatezza del patrimonio della società, alla situazione del mercato statunitense dei mutui; alla chiusura del comparto BTC Mortage dedicato ai mutui sub prime; all’indagine avviata dalla Securities and Exchange Commission del 29 marzo 2008 sull’andamento del titolo; al valore dello spread dei credit default swap. La Corte territoriale riteneva che gli ordini di investimento contestati non potessero essere ricondotti alla fattispecie della negoziazione per conto proprio (non essendo stato dimostrato che i titoli fossero nel portafoglio della banca) e che, per tale ragione, gli investitori non avessero motivo di dolersi della mancata somministrazione delle informazioni relative alle specifiche caratteristiche del prodotto finanziario oggetto dell’attività di intermediazione.
A giudizio della Prima Sezione Civile, siffatta affermazione è da reputarsi errata, dovendosi escludere che in assenza di una negoziazione in contropartita diretta l’intermediario possa astenersi dal fornire informazioni sul titolo. Invero, con disposizione di carattere generalissimo, l’art. 21 TUF prescrive che la prestazione dei servizi e delle attività di investimento soggetti abilitati debbano «acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati»; al contempo, il Reg. Intermediari n. 16190/2007 specifica l’obbligo in questione prevedendo, all’art. 27, che gli intermediari forniscano ai clienti (o potenziali clienti), in una forma comprensibile, «informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole»[1]. Non vi è modo di escludere che le disposizioni della richiamata normativa, primaria e regolamentare, debbano trovare applicazione nel caso di negoziazione per conto del cliente: operazione, questa, che rientra a pieno titolo tra i «servizi e attività di investimento», giusta l’art. l, comma 5, lett. b), TUF, ovverosia nel novero di prestazioni prese in considerazioni dall’art. 21 TUF e dal libro III del Reg. Consob n. 16190/2007, in cui è ricompresa la disciplina dell’attività informativa di cui sono gravati gli intermediari.
La Corte d’Appello ha osservato che le disposizioni de quibus non sarebbero applicabili alla fattispecie in esame, in quanto preciserebbero «i requisiti generali delle informazioni relative alla diversa attività promozionale e pubblicitaria dei contratti». Tale rilievo è, però, da disattendere, non ravvisandosi, nella norma evocata, alcuna delimitazione dell’ambito applicativo nel senso indicato ed orientando, piuttosto, la formulazione di essa a una conclusione di segno opposto: l’art. 27 reca infatti la rubrica «Requisiti generali delle informazioni» ed esordisce, al primo comma, facendo generico riferimento a «[t]utte le informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari a clienti o potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti», differenziando, poi, nel secondo periodo, quelle che presentino contenuto pubblicitario e promozionale, le quali devono essere «chiaramente identificabili come tali».
Peraltro, l’obbligo informativo sussiste anche se l’intermediario non sia tenuto per contratto a prestare, in favore del cliente, un servizio di consulenza: infatti, ove l’investitore affidi all’intermediario il solo incarico di eseguire degli ordini, ma non anche quello di consulenza in relazione alla scelta dei prodotti finanziari da acquistare, l’intermediario è comunque tenuto a fornire al primo adeguate informazioni sulle operazioni in sé, oltre che in ordine alla loro adeguatezza rispetto al suo profilo di rischio[2].
La sentenza impugnata ha richiamato, per la verità, la prestazione di un servizio di consulenza; pur tuttavia, quanto rilevato dalla Corte territoriale non appare concludente. Il giudice d’appello ha, difatti, formulato la seguente considerazione: il contratto di intermediazione attenzionato prevedeva un servizio di consulenza e, conseguentemente, la banca risultava essere tenuta ad avvertire i clienti dell’inadeguatezza dell’operazione; nella fattispecie, la stessa avrebbe adempiuto a tale obbligo: infatti ha sconsigliato l’investimento, reputandolo inadeguato, sia in considerazione dell’eccessivo numero di operazioni poste in essere negli ultimi dodici mesi, sia perché l’investimento non era coerente col profilo finanziario del cliente.
Come è noto, il Reg. Consob n. 11522/1998 prevedeva, per l’intermediario, un obbligo di acquisizione di informazioni che non era graduato in ragione dell’operazione posta in essere. Il regolamento n. 16190/2007 distingue, per contro, l’obbligo informativo a seconda del servizio prestato: per la prestazione dei servizi di consulenza e di gestione individuale di portafogli si richiede che l’intermediario acquisisca precise indicazioni dal cliente quanto alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento (art. 39): sulla base di tale quadro informativo, l’intermediario stesso è, poi, tenuto a formulare il giudizio di adeguatezza dell’operazione, apprezzandone la congruenza rispetto al profilo del cliente; in altri termini, deve accertarsi che la nominata operazione corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente, sia di natura tale che il cliente risulti finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento e sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio (art. 40).
Nella prestazione degli altri servizi (salvi i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione di ordini in ipotesi particolari, ex art. 43) l’intermediario è tenuto, invece, a formulare un più sommario giudizio di appropriatezza, che è basato sul livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta (art. 42, comma 1). La Corte territoriale non si è occupata dell’appropriatezza dell’investimento, consistente nell’acquisto delle obbligazioni Lehman Brothers, ma ha formulato un giudizio di adeguatezza: ha espresso, quindi, una valutazione che, per sua natura, non può che inerire al servizio di consulenza. La statuizione, pur tuttavia, non è esente da intrinseca contraddittorietà. A norma dell’art. l, comma 5septies, TUF, la consulenza in materia di investimenti consiste in raccomandazioni personalizzate al cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari; nella fattispecie, invece, il giudice d’appello fa questione di una «operazione autonomamente richiesta dal cliente».
In ogni caso, la segnalazione di non adeguatezza, come quella di non appropriatezza, non è in sé idonea ad esonerare la banca dall’obbligo di sottoporre al cliente il corredo informativo che deve essere associato all’operazione o al servizio di investimento. In particolare, la somministrazione dei pertinenti elementi conoscitivi circa la natura e i rischi di una specifica operazione (nel caso in esame consistente nell’acquisto del titolo Lehman Brothers) assume un rilievo autonomo, in vista di razionali scelte di investimento o disinvestimento, e non è esclusa dalla rappresentazione della non adeguatezza o non appropriatezza di quell’operazione.
Da tale autonomia discende il principio per cui l’intermediario sia tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, circa la natura di essi e i caratteri propri dell’emittente, restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza/appropriatezza dell’investimento[3].
L’esistenza dell’inadempimento, quanto all’informativa sullo strumento finanziario, non può escludersi nemmeno in presenza di una segnalazione di non adeguatezza o di non appropriatezza. La giurisprudenza di legittimità si è già espressa nel senso che l’assolvimento degli obblighi informativi non possa essere desunta in via esclusiva dalla sottoscrizione dell’avvenuto avvertimento dell’inadeguatezza dell’operazione in forma scritta, essendo invece necessario che l’intermediario, a fronte della sola allegazione contraria dell’investitore sull’assolvimento degli obblighi informativi, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente della banca: prova che può essere integrata dal profilo soggettivo del cliente o da altri convergenti elementi probatori, ma non può essere desunta soltanto da essi[4]. E’ da osservare, sul punto, che la disciplina sull’obbligo informativo quanto allo strumento finanziario è finalizzata a consentire scelte di investimento consapevoli, in modo che gli investitori possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi.
L’informativa riguardo allo strumento finanziario ha, così, una sua precisa autonomia e deve mantenersi distinta dalle valutazioni che l’intermediario è tenuto a compiere in punto di appropriatezza e adeguatezza: la prima deve porre l’investitore nelle condizioni di apprezzare i rischi che l’operazione presenta in sé, avendo riguardo, tra l’altro, e per quanto qui rileva, alle caratteristiche dello strumento finanziario da negoziare; le seconde si basano sulla relazione tra la tipologia dell’investimento e il flusso informativo proveniente dal cliente (al livello di esperienza e di conoscenza dello stesso, per l’appropriatezza; al grado di esperienza e conoscenza e, in più, agli obiettivi di investimento e alla capacità finanziaria, per l’adeguatezza). In definitiva, la segnalazione dell’intermediario, per sconsigliare l’operazione per aspetti concernenti la generica non congruità dell’operazione rispetto al profilo del cliente, senza dar conto delle specifiche caratteristiche dello strumento finanziario e della sua intrinseca rischiosità (elementi indispensabili per consentire una consapevole scelta di investimento) non escluda affatto l’inadempimento del detto soggetto.
[1] Tali informazioni, che possono essere somministrate in formato standardizzato, si riferiscono all’impresa di investimento e ai relativi servizi, agli strumenti finanziari e alle strategie di investimento proposte e includono gli orientamenti e le avvertenze sui rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento, alle sedi di esecuzione e ai costi e oneri connessi.
[2] Cfr. Cass. 23.09.2016, n. 18702 (con riguardo al Reg. Consob n. 11522/1998).
[3] Cfr. Cass. 18.06.2018, n. 15936.
[4] Cfr. Cass. 03.08.2017, n. 19417.
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