Nota a ABF, Collegio di Milano, 2 ottobre 2025, n. 8782.
Segnalazione a cura dell'Avv. Giulia Turato.
Massima redazionale
Nel caso di specie, la domanda del ricorrente è relativa all’accertamento del diritto al risarcimento del danno derivante, per un verso, dal ritardo con il quale l’intermediario avrebbe proceduto alla sottoscrizione di un atto di rinegoziazione del mutuo ipotecario stipulato originariamente con la società di cui era rappresentante, successivamente estinta, con la conseguente applicazione di oneri maggiori; per altro verso, in conseguenza di una segnalazione illegittima tanto nei SIC quanto nella Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, che avrebbe determinato un pregiudizio non patrimoniale.
Pur in assenza di osservazioni in proposito da parte dell’intermediario, il Collegio deve rilevare in premessa che – nonostante il cliente si sia qualificato come “consumatore” – la vicenda de qua origina dalla tardiva rinegoziazione di un mutuo ipotecario dallo stesso stipulato nel 2011 in qualità di socio amministratore della società in nome collettivo, in seguito alla espromissione della stessa (nel frattempo estinta e cancellata dal Registro delle Imprese), obbligandosi personalmente mediante accollo del debito residuo. Pertanto, la dedotta rinegoziazione è stata stipulata proprio in ragione della responsabilità su di esso gravante in qualità di socio amministratore della S.n.c. successivamente sciolta, ai sensi dell’art. 2291 c.c.; ne consegue che, ancorché il ricorrente agisca personalmente per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla ritardata stipula dell’atto, i presunti danni dallo stesso lamentati sono stati occasionati dalla qualifica di socio amministratore della S.n.c. estinta. Al ricorrente deve, quindi, essere riconosciuta la qualificazione di “non consumatore”.
Quanto al merito del ricorso, risulta documentalmente che l’intermediario resistente abbia comunicato nel mese di aprile 2022 la delibera di ristrutturazione del debito gravante sulla S.n.c. da attuarsi mediante accollo non liberatorio del mutuo ipotecario in capo ai soci obbligati e successiva rimodulazione dello stesso mediante il pagamento di una rata quantificata espressamente in € 400,00. In seguito alla ricezione di tale comunicazione, si è proceduto allo scioglimento della società, mediante atto notarile del 05/07/2022 e cancellazione dal registro delle imprese in data 13/07/2022, nonché alla stipula dell’accordo di espromissione e accollo a carico del ricorrente e di altra ex socia, mediante scrittura privata del 24/10/2022. Emerge, altresì, per tabulas che la rinegoziazione sia stata effettivamente sottoscritta il 27/11/2023, ossia a distanza di un anno e sette mesi dalla delibera e ad oltre un anno di distanza dalla firma dell’accordo di espromissione e accollo, nonostante la sollecitazione inoltrata dal ricorrente nel mese di febbraio 2023. A tale specifico riguardo, l’odierno resistente sostiene che la mancata rimodulazione del mutuo in tempi più ridotti sia da attribuirsi esclusivamente alla controparte, alla quale sarebbe stato inviato un sollecito via email del 07/04/2022, esortando i clienti a prendere contatto con i professionisti preposti per gli adempimenti del caso. Invero, in considerazione del fatto che l’atto di scioglimento della S.n.c. è stato predisposto mediante atto notarile del 05/07/2022 e che il successivo atto di espromissione e accollo è stato firmato nel successivo mese di ottobre 2022, non è possibile evincere la sussistenza di una circostanza che abbia di fatto impedito la conclusione della rinegoziazione del mutuo con atto notarile, né sono stati prodotti documenti comprovanti ulteriori interlocuzioni tra cliente (anche per il tramite di un proprio professionista di fiducia) e la banca prima del mese di gennaio 2023.
Lo stesso resistente – nel riscontro del 26/11/2024 – riconduce il ritardo alla fusione con l’originario intermediario mutuante. Deve quindi ritenersi che il ritardo nella stipula dell’atto di rinegoziazione sia imputabile a quest’ultimo. In conseguenza di ciò, parte ricorrente lamenta che siano state applicate condizioni economiche più svantaggiose di quelle prospettate ad aprile 2022, essendosi obbligato alla restituzione di 236 rate mensili dell’importo di € 491,66 ciascuna, con tasso fisso del 4,920%. La domanda di risarcimento del danno patrimoniale (la cui quantificazione non appare del tutto chiara né suffragata da specifici conteggi) è dunque calcolata tenendo conto del fatto che ad aprile 2022 la media dei tassi fosse pari all’1,82%.
Detta richiesta è fondata sull’assunto che il ritardo avrebbe determinato l’applicazione di condizioni economiche deteriori rispetto a quelle precedentemente comunicate e sulle quali si era formato il legittimo affidamento.
Ebbene, secondo il Collegio, dall’analisi della documentazione versata in atti, non è dato riscontrare elementi oggettivi idonei a ritenere fondato detto legittimo affidamento da parte del ricorrente: nella comunicazione della delibera di ristrutturazione del mese di aprile 2022, infatti, manca qualsivoglia riferimento ad una possibile rinegoziazione del mutuo con l’applicazione di un tasso di interesse fisso e parametrato all’IRS a 20 anni (come invece ritenuto dal ricorrente che parametra su tale indice la richiesta risarcitoria), mentre si fa esclusivo ed espresso richiamo alla possibile rata fissa applicabile. Ad ogni buon conto, va pure rilevato che il tasso IRS a 20 anni applicabile non già nel mese di aprile 2022, come ritenuto dal ricorrente, bensì nel periodo di ottobre 2022 (in cui è intercorso l’accollo del mutuo mediante espromissione della s.n.c. poi estinta) si attestava attorno al 3%, ossia ad un valore non molto diverso dall’IRS a 20 anni rilevato il 27 novembre 2023, data della stipula della ristrutturazione del mutuo. Sulla scorta delle richiamate evidenze documentali deve quindi concludersi che non sussiste alcuno dei profili di responsabilità in capo all’intermediario convenuto, come contestati dal ricorrente. A tal proposito mette conto rammentare che l’ordinamento interno non contempla alcun diritto della clientela ad ottenere la concessione del credito, essendo la banca, nell’esercizio della propria autonomia, libera di scegliere se stipulare o meno un contratto di finanziamento. Neppure sussiste un obbligo generale di rinegoziazione in capo all’intermediario, dovendosi invece valutare se il comportamento da questi tenuto possa integrare una ipotesi di responsabilità precontrattuale per violazione dei doveri di buona fede e correttezza posti nella fase delle trattative, ai sensi dell’art. 1337 c.c., qualora il contratto non sia stato concluso (rottura ingiustificata delle trattative), ovvero sia stato stipulato a condizioni diverse rispetto a quelle su cui si sia formato il legittimo affidamento del cliente.
Nel caso di specie, non è dato ravvisare alcuna condotta idonea a fondare tale affidamento nel ricorrente e, quindi, a integrare una violazione dei doveri generali di buona fede e correttezza, né, tantomeno, un inadempimento degli obblighi imposti nell’esecuzione del contratto dagli artt. 1175 e 1176, comma 2, c.c. Pertanto, la domanda risarcitoria formulata nel ricorso non può trovare accoglimento.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi con riguardo a quella relativa al ristoro dei danni asseritamente subiti in conseguenza delle segnalazioni negative; dalla documentazione in atti risulta, in primo luogo, che non vi sia alcuna segnalazione a sofferenza in danno del cliente nella Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. In secondo luogo, con riguardo a quella effettuata nei SIC, emerge per tabulas che essa sia stata cancellata nel mese di novembre 2024; indipendentemente da tale circostanza deve pure rilevarsi che difetti la prova del nesso di causalità tra il nocumento lamentato sotto il profilo non patrimoniale e l’illecito contestato. Anche a tale riguardo, giova richiamare l’orientamento univoco espresso dai Collegi territoriali, in virtù del quale l’illegittimità sostanziale della segnalazione cagiona un danno conseguenza che, se provato, deve essere risarcito. Tale danno può reputarsi provato anche mediante presunzioni semplici e nozioni di comune esperienza[1]. Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a dedurre genericamente che il mancato accesso al credito determinato dalla segnalazione negativa avrebbe determinato l’impossibilità di far fronte ad un debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; al di là del fatto che tale pregiudizio sia apprezzabile dal punto di vista patrimoniale piuttosto che dal punto di vista morale, deve comunque rilevarsi che la riferita circostanza non sia idonea a provare (anche in via presuntiva) la sussistenza di un collegamento eziologico tra l’illecito lamentato e il pregiudizio asseritamente sofferto.
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[1] Cfr. ABF, Collegio di Coordinamento, n. 1642/2019.
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