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di Luca Cardi

Banca Popolare di Fondi - Servizi Legali

«Pacta sunt servanda»

 

Così recita l’antico brocardo latino nel richiamare le parti di un rapporto contrattuale e, ancor più, i soggetti di diritto internazionale al rispetto degli accordi intercorsi. Ma tutti i patti hanno eguale dignità e vanno egualmente osservati? Queste brevi righe intendono ripercorrere – con l’ausilio di dottrina e giurisprudenza arbitrale e di legittimità – un particolare tipo di patto. Nella specie, il patto di riempimento dell’assegno bancario, in ispecie a fini di garanzia. La risposta a un tale impegnativo quesito richiede, dapprima un inquadramento dell’istituto.

«L’assegno bancario è un titolo di credito con scadenza a vista che contiene l’ordine del traente alla banca (trattaria) di pagare al portatore legittimato (possessore del titolo) l’importo menzionato nel documento che gli viene consegnato secondo la legge di circolazione della somma portata nell’assegno: si tratta di un atto unilaterale i cui effetti si producono, quindi dal momento in cui il titolo viene presentato alla banca per l’incasso»[1]. L’assegno bancario[2], pertanto, appartenente alla categoria dei titoli “cambiari”, si caratterizza, «sotto l’aspetto strutturale come un titolo contenente un ordine e, sotto il profilo funzionale, come uno strumento di pagamento. Nella sostanza l’assegno bancario si configura come un documento avente la forma di ordine di pagamento rivolto ad un trattario – che deve necessariamente identificarsi con una banca – ed effettuato a favore di un terzo (che si denomina prenditore), emesso al suo ordine o al portatore[3], pur non potendosi escludere l’eventualità – consentita dall’ordinamento – che lo stesso possa essere emesso all’ordine dello stesso traente e dal medesimo riscosso direttamente ovvero, attraverso idonea girata, posto in circolazione[4] secondo il regime proprio previsto dalla disciplina normativa inclusa nella fonte legislativa regolatrice principale costituita dal R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (integrata, ancorché in via sussidiaria, dalle disposizioni dettate sui titoli di credito in generale dal codice civile, oltre che ovviamente, dalle ulteriori norme di rango speciale, sparse in altre fonti ordinamentali)»[5]. Nel più ampio genus dei titoli di credito, la differenza tra le species dell’assegno e della cambiale risiede, per l’appunto, nella rispettiva funzione giuridico-economica. Se la cambiale, contenendo la promessa (“pagherò/pagheremo”) di un adempimento pecuniario, è strumento di credito, l’assegno bancario è mezzo di pagamento (“a vista pagate per questo assegno bancario”)[6] che “movimenta” somme liquide e disponibili[7]. Pertanto, come sottolineato in dottrina[8] e in giurisprudenza[9], l’emissione di un assegno bancario non può essere interpretata come costitutiva di un credito del traente nei confronti del prenditore[10]. Esso rappresenta uno strumento di utilizzazione di un servizio di cassa, esercitato dalla banca, che si risolve in spostamenti di flussi monetari del cliente e, come tale, è sempre pagabile a vista[11].Sul punto, merita rammentare la pronuncia della Consulta (n. 317/1990) in cui si giudica infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata per presunta violazione degli artt. 3 e 24 Cost. ad opera dell’art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell’art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, nel testo modificato dall’art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349), nella parte in cui non prevede per il traente di un assegno bancario la possibilità di adire il Presidente del Tribunale per ottenere la cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti (possibilità, al contrario, riconosciuta dalla disciplina normativa all’emittente di una cambiale)[12]. La questione non è fondata, argomenta il giudice costituzionale, poiché «la posizione del debitore cambiario non è comparabile con quella del traente di un assegno bancario in ragione della diversità della funzione tipica dei due titoli di credito considerati e della differenza del regime giuridico che ne consegue». La funzione tipica dell’assegno, si sottolinea, è quella di essere mezzo di pagamento. «A questa specifica funzione sono correlate le disposizioni di legge, le quali esigono che presso la banca trattaria debbano esistere fondi in misura quanto meno pari a quella recata dall’assegno emesso, non solo nel momento del pagamento, ma anche in quello dell’emissione». L’art. 1 della Legge Assegni nello stabilire che l’assegno bancario debba contenere, tra le altre indicazioni, la relativa denominazione inserita nel contesto del titolo, l’ordine incondizionato di pagare una somma determinata e l’indicazione della data e del luogo dove l’assegno bancario è emesso, sta a sottolineare altrettanti requisiti qualificanti della “bancarietà”[13] del titolo e del suo essere strumento di pagamento. L’assegno deve essere tratto su un banchiere (obbligatoria denominazione di assegno bancario) a valere su disponibilità esistenti (ordine incondizionato di effettuare un pagamento da determinarsi, quanto alle modalità di presentazione e alla valutazione della sussistenza della provvista, rispetto alla data e al luogo di emissione). È appena qui il caso di sottolineare che l’obbligatoria indicazione della data di emissione nell’assegno bancario discende, ad un tempo determinandole, dalla natura del titolo e dalla sua funzione giuridico-economica. La postdatazione del titolo ne determinerebbe la totale assimilazione ad una cambiale tratta con conseguenze, sotto il profilo sanzionatorio, derivanti dall’evasione dell’imposta di bollo prevista per quest’ultima categoria di titoli[14]. «Di particolare rilievo tra i requisiti formali dell’assegno bancario è l’indicazione della data di emissione perché essa è fondamentale per stabilire il momento da cui comincia a decorrere il termine di presentazione dell’assegno al trattario (l’art. 32 L.A. prevede un periodo per la presentazione al pagamento dell’assegno che va da 8 giorni a 2 mesi). La giurisprudenza civile è quasi unanime nel considerare invalido l’assegno emesso senza data, in quanto non solo perde qualsiasi valore di titolo cambiario, violando disposizioni di carattere tributario sull’imposta di bollo, ma anche la natura di titolo esecutivo venendo meno la sua tipica funzione di mezzo di pagamento[15]».A fronte di una normativa che, così rigorosamente, definisce i requisiti essenziali dell’assegno (stabilendo all’art. 2 R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, cosiddetta Legge Assegni, che «Il titolo nel quale manchi alcuno dei requisiti indicati nell’articolo precedente non vale come assegno bancario […]»[16]), quali sono gli spazi per un eventuale patto di riempimento del titolo ovvero per un accordo tra il traente e il prenditore per integrare i requisiti del titolo in un momento successivo all’emissione e alla consegna dello stesso? In ispecie, la questione si è posta (e si pone, nella prassi) per gli assegni cosiddetti a garanzia. Cioè è a dire per quegli assegni che, privi di taluni requisiti essenziali (usualmente il luogo e la data di emissione ovvero recanti una postdatazione) vengono rilasciati a garanzia di un debito. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, a più riprese, sottolineato la nullità del patto di garanzia sottostante all’assegno, in quanto in palese contrasto con la funzione del titolo (mezzo di pagamento) per come delineata dalle norme imperative di cui agli artt. 1 e 2 della Legge Assegni. La nullità del patto di garanzia non incide, tuttavia sul titolo o rectius sulla sua validità come promessa di pagamento ex art. 1988 c.c. con la conseguenza – non irrilevante sotto il profilo probatorio – che non spetterà al prenditore del titolo dimostrare l’esistenza del credito, ma al debitore provare che il credito stesso non esiste o è stato già estinto. Senza sottacere le rilevanti conseguenze che da un’eventuale postdatazione del titolo o da un suo successivo riempimento, quanto alla data di emissione, potrebbero derivare in termini di illecito amministrativo e di applicazione del relativo apparato sanzionatorio.

Sul punto, e in una fattispecie in cui la postdatazione del titolo ne aveva determinato l’incasso in un momento in cui la società, per conto della quale era stato emesso dall’allora amministratore, risultava ormai sottoposta a procedura concorsuale con conseguente “contestazione” in termini di illecito amministrativo della mancanza di autorizzazione al legale rappresentante firmatario del titolo, resta assai interessante la pronuncia della Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 27/04/2021) 22/11/2021, n. 35947 con la quale la Suprema Corte ribadisce la posizione «secondo cui colui che emette un assegno bancario privo della data di emissione, valevole come da promessa di pagamento, con l’intesa che il prenditore possa utilizzare il documento come titolo di credito in epoca successiva apponendovi data e luogo di emissione, si assume la responsabilità (quanto meno a titolo di dolo eventuale) della eventuale attribuzione al medesimo documento delle caratteristiche dell’assegno bancario, e pertanto può rispondere dell’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 386 del 1990art. 1, (come sostituito dal D.Lgs. n. 507 del 1999art. 28) se, al momento dell’utilizzazione del titolo, non vi sia l’autorizzazione ad emetterlo (cfr. Cass. 20.6.2007, n. 14322; Cass. (ord.) 22.9.2020, n. 19797), secondo cui chi emette un assegno bancario privo della data di emissione accetta il rischio che, al momento del riempimento del documento e della sua utilizzazione come assegno, il titolo risulti privo di autorizzazione, sicché risponde dell’illecito previsto dalla L. n. 386 del 1990art. 1, se al momento dell’utilizzazione del titolo non vi sia autorizzazione ad emetterlo)».« Per un verso, argomentano gli Ermellini, è da condividere in toto il rilievo del tribunale secondo cui “ogni qualvolta si rilascino a terzi titoli senza data o con data successiva ci si espone consapevolmente al rischio che alla data poi scritta sulla cartula non vi sia (…) provvista sul c/c o sia venuta meno l’autorizzazione”. Per altro verso, a nulla rileva che gli assegni sono stati portati all’incasso allorquando il ricorrente non aveva più veste di legale rappresentante della società e che, per effetto dell’ammissione della società stessa alla procedura di concordato preventivo, non era più possibile procedere al pagamento degli assegni, siccome ne sarebbe scaturita violazione della par condicio creditorum. Evidentemente, chi emette un assegno bancario privo della data di emissione accetta altresì il rischio che, al momento del riempimento del documento e della sua utilizzazione come assegno, il pagamento risulti precluso in dipendenza dell’operatività delle regole della “concorsualità”, correlate alla sottoposizione ovvero all’ammissione del debitore ad una procedura concorsuale».

Il medesimo principio risulta ribadito – e sia pure con riguardo ad altra fattispecie e sotto altro profilo (gli assegni erano stati rilasciati solo in garanzia, i documenti di consegna della merce recavano firma falsa, circostanza quest’ultima non univocamente provata nel giudizio di merito) da Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 25/02/2022) 16/05/2022, n. 15618. Afferma la Cassazione che «la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute nel R.D. n. 1736 del 1933artt. 1 e 2 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c., sicché, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c. (Sez. 1, n. 10710, 24/05/2016, Rv. 639852)».

A conclusioni analoghe (e in un caso in cui parte ricorrente riconosceva la funzione di garanzia assolta dalla dazione dei titoli e l’estinzione per aliam viam del debito contratto) giunge Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 04/07/2024) 25/09/2024, n. 25599. E a dimostrazione di un indirizzo di legittimità, consolidato sul punto, con argomentazioni similari nel contenuto e nelle espressioni utilizzate. Sostiene la Suprema Corte che «la Corte di Appello, ha accertato che l’assegno è stato emesso per pagamento, condividendo quanto accertato in prime cure. Ha motivato nel senso di ritenere nullo l’eventuale accordo fideiussorio con conseguente qualificazione dell’assegno bancario azionato quale promessa di pagamento dell’emittente in favore del prenditore. Tale accertamento suffragato dalla giurisprudenza di questa Corte comporta che l’accordo fideiussorio concretantesi nella emissione di un assegno in bianco o postdatato consegnato a garanzia di un debito da restituirsi al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. n. 1736 del 1933 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c.”. In sostanza, il giudice del merito ha motivato, in relazione a tale assegno, dichiarando nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c. Conseguentemente, è contraria alla ratio decidendi del giudice territoriale ritenere ammissibile l’accertamento della funzione di garanzia con le conseguenze ulteriori indicate dal ricorrente attesa la nullità di un eventuale accordo in tal senso».

Da una diversa prospettiva, analizza la questione Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 03/02/2025, n. 2507. Questo il principio di diritto enunciato: «La denuncia dell’abusivo riempimento di un assegno firmato in bianco richiede la proposizione del rimedio della querela di falso ogni volta che il riempimento avviene “absque pactis” o “sine pactis”. Questo rimedio processuale non è necessario nell’ipotesi di riempimento “contra pacta”». Afferma il giudice di legittimità che la difesa della parte che si assume lesa dal riempimento di un assegno senza che un patto di riempimento vi sia stato è di natura penalistica e consiste nella proposizione di querela di falso. Non così, ove il patto di riempimento – per quanto, come dianzi detto, illegittimo – vi sia stato e non sia, poi, stato rispettato. Nel caso portato al vaglio della Corte, parte ricorrente assumeva l’apposizione successiva della data di emissione a un tiolo consegnato a scopo di garanzia. Lineare risulta la ricostruzione operata dalla Corte d’Appello della vicenda nella sintesi delineatane dalla Suprema Corte.

«La Corte d’Appello ha osservato:

a) che L’appellante aveva formulato capitoli di prova orale solo in ordine all’esistenza e all’entità dei danni e ritenuto non provata documentalmente l’esistenza del patto di non negoziazione degli assegni;

b) che, alla luce della documentazione agli atti, emergeva una prova solo indiziaria del fatto che in qualche occasione il ricorrente avesse consegnato degli assegni, privi di data, in garanzia, non sufficiente a provare che anche l’assegno oggetto di causa avesse tale funzione, perché gli assegni venivano utilizzati anche con funzione di pagamento come risultava da documentazione prodotta dallo stesso appellante;

c) che per provare che l’assegno era stato abusivamente riempito in contrasto con accordo tra le parti che lo vietasse, l’appellante avrebbe dovuto proporre querela di falso poiché la denuncia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco postula la proposizione del rimedio della querela di falso tutte le volte in cui il riempimento risulti avvenuto “absque pactis” o “sine pactis”, rimedio processuale non necessario nell’ipotesi di riempimento “contra pacta”, cioè in caso di mancata corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto si intendeva invece dichiarare;

d) in ogni caso, anche volendo ritenere che l’assegno in questione fosse stato consegnato privo di data a scopo di garanzia, secondo la giurisprudenza di legittimità, il patto di garanzia snatura la funzione tipica dell’assegno che è quella di mezzo di pagamento, modificandola in strumento di garanzia, per cui in tali ipotesi il patto di garanzia è nullo poiché l’assegno bancario non può mai essere emesso a garanzia di un debito; sicché l’affidamento eventualmente riposto dall’odierno appellante all’atto di emissione dell’assegno controverso sul rispetto da parte del prenditore del titolo di un accordo nullo non potrebbe mai qualificare e ricevere una qualche forma di tutela come affidamento legittimo, proprio perché non potrebbe mai ritenersi ingiusta la lesione della aspettativa di altrui adempimento di un accordo contrario alle norme imperative dell’ordinamento;

e) nella fattispecie non c’era stata alcuna appropriazione indebita di somme, poiché l’assegno non solo era scoperto ma era stato emesso dopo il recesso della banca dalla relativa convenzione;

f) l’appellante avrebbe dovuto diligentemente verificare che in ogni momento il conto su cui l’assegno era stato tratto fosse provvisto di fondi e non facendolo aveva assunto consapevolmente su di sé tutti i rischi conseguenti».

Proseguono gli Ermellini rammentando come «l’istante fondi l’impugnazione sul rilievo per cui il titolo non avrebbe potuto essere posto all’incasso in quanto era stato rilasciato privo dell’indicazione della data e del luogo di emissione» assumendosi, pertanto, da parte ricorrente «che il titolo sia stato illecitamente completato dal prenditore, riguardo a tali elementi formali, in un momento successivo a quello della consegna». La Corte di appello ha affermato, al contrario, che non sia stata provata l’esistenza di un patto di non negoziazione del titolo e occupandosi del profilo relativo alla responsabilità extracontrattuale ha inoltre rilevato che parte ricorrente «non aveva reso noto all’odierna controricorrente il fatto che l’assegno fosse privo di copertura e che la banca avesse esercitato il recesso dalla relativa convenzione, onde – ha precisato – lo stesso istante, nel rilasciare il titolo privo di data per l’importo di Euro 5.000,00, aveva assunto consapevolmente su di sé tutti i rischi conseguenti all’incasso; in tal modo, la Corte di appello – per la quale, si ripete, non era operante, in quanto non provato, alcun patto di non negoziazione dell’assegno – ha in sintesi reputato che il danno consistente della levata del protesto fosse riconducibile, in via assorbente, alla condotta colpevole dello stesso appellante; parte ricorrente non si confronta con tale ratio decidendi, la quale andava, invece, specificamente aggredita (Cass. 10 agosto 2017 n. 19989)». «La Corte di appello, pur soffermandosi sul tema della validità dell’assegno dato in garanzia, ha ritenuto non fosse stata provata l’esistenza del patto di non negoziazione dell’assegno oggetto di causa e ha pure osservato che il ricorrente, omettendo di assicurarsi che esistesse la provvista per assicurarne il pagamento, si era reso responsabile del danno lamentato. Il risarcimento del danno risulta dunque escluso in base alla seguente proposizione: parte ricorrente, consegnando l’assegno privo di data senza pattuire alcunché quanto alla sua negoziazione e senza preoccuparsi di controllare se lo stesso fosse coperto, si rese consapevolmente autore della condotta colpevole che determinò il danno lamentato. È, questa, una ratio decidendi, calibrata sull’autoresponsabilità dell’odierno istante, che avrebbe dovuto essere adeguatamente censurata e che invece non lo è stata».

Se il giudizio di legittimità appena citato si sofferma sugli eventuali rimedi concessi alla parte asseritasi lesa dalla violazione o, peius, mancanza di un patto di riempimento, il Collegio di Roma dell’Arbitro Bancario Finanziario (Decisione n. 16041 del 02 luglio 2021) opera una pregevole e interessante ricostruzione del regime probatorio operante nei casi di specie. A chi spetta provare l’esistenza del patto di riempimento e il suo contenuto? Nel caso esaminato, si assume che sia documentalmente provato che il titolo sia stato portato all’incasso presso la filiale dell’intermediario con la mancata compilazione di data e luogo, come risulta dalla scansione del titolo depositato in cancelleria dal curatore (essendo medio tempore il traente del titolo incorso in procedura concorsuale). L’operatore bancario, con compilazione meccanica, avrebbe riempito i campi, configurandosi così un vero e proprio abusivo riempimento dell’assegno absque pactis.

«Nel merito, ai fini della decisione – sostiene il Collegio capitolino dell’ABF – assume rilievo centrale la circostanza che il fatto posto dal ricorrente a fondamento della sua domanda consiste in un comportamento di abusivo riempimento dell’assegno che sarebbe stato compiuto da un dipendente dell’intermediario resistente, e dunque a quest’ultimo imputabile ai sensi dell’art. 1228 c.c. e (o) art. 2049 c.c. a seconda che si invochi una sua responsabilità, anche per fatto degli ausiliari, di natura contrattuale e (o) extracontrattuale. Si tratta di un profilo essenziale che il ricorrente deduce e che tuttavia l’intermediario resistente smentisce. I documenti prodotti nel ricorso consentono di comprovare soltanto il fatto che l’assegno sia stato emesso dal ricorrente con la sua sottoscrizione, ma incompleto in quanto privo di indicazioni relative alla data e al luogo di emissione, non anche la circostanza che l’assegno sia stato riempito ex post da un dipendente dell’intermediario resistente. Mentre l’affermazione del ricorrente secondo la quale l’abusivo riempimento del collaboratore dell’intermediario sarebbe stata riferita dalla persona che ha presentato l’assegno incompleto ai fini del pagamento è soltanto dedotta e non emerge da alcuna prova costituita. Costituisce un principio pacifico quello secondo il quale in materia di responsabilità contrattuale l’onere probatorio in capo al creditore è di regola limitato all’allegazione dell’inadempimento del debitore, spettando a quest’ultimo dimostrare il proprio esatto adempimento. Nondimeno, allorché sia dedotta la violazione di un’obbligazione di non fare la regola si inverte e il creditore è tenuto a dare la prova del fatto dell’inadempimento (v., per tutti, Cassazione, sezioni unite, 30 ottobre 2001, n. 13533, al cui orientamento si richiama la giurisprudenza successiva di legittimità e di merito che affronta il tema: v. da ultimo, Tribunale di Spoleto, 12 novembre 2019, n. 853). In tal caso, il regime della ripartizione probatoria in materia di responsabilità contrattuale si avvicina a quello relativo alla responsabilità extra-contrattuale nel quale il soggetto danneggiato/creditore è tenuto a dare la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, compreso il fatto causativo dell’evento dannoso. Poiché nella fattispecie controversa il ricorrente ha dedotto l’imputazione di responsabilità dell’intermediario resistente in ragione dell’inadempimento di un’obbligazione di non fare di un suo dipendente, vale a dire quella di “non riempire abusivamente l’assegno”, la carenza di prova in merito a questo fatto si riverbera processualmente a danno del ricorrente anche nel regime della responsabilità di natura contrattuale ex artt. 1176, 1218 e 1228 c.c. oltre che in quello della responsabilità extracontrattuale ai sensi degli artt. 2043 e 2049 c.c.».

Ebbene, tornando al brocardo latino posto in epigrafe a queste righe, potremmo – al termine di questa disamina – volgerne l’affermazione in quesito. I patti vanno rispettati? Verrebbe da dire, e non per celia, certo… ma a condizione che un patto vi sia. Si è avuto modo di constatare, come sia in dottrina sia in giurisprudenza, il patto di riempimento sia non tout court guardato con disfavore, ma assai più semplicemente considerato invalido con sola salvezza del titolo quale promessa di pagamento. L’ordinamento giuridico non può accordare tutela a interessi non ritenuti meritevoli di tutela e, per certo, tali non possono essere ritenuti quelli cui è sottesa la violazione di norme imperative.

 

 

 

 

 

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[1] Cfr. Maria Fontana Vita della Corte, “I titoli di credito: lineamenti generali, vicende circolatorie e tipologie” (pag. 897) tratto da “Diritto bancario – I. Contratti”, diretto da Fernando Greco – Gianfranco Liace, Giuffrè Francis Lefebvre, 2025.

[2] La presente parte dello scritto (con note a margine dalla n. 2 alla n. 15) è tratta dall’elaborato di tesi di laurea dello scrivente: “La procedura Check Image Truncation (CIT) ovvero la presentazione al pagamento e il protesto in forma elettronica degli assegni bancari e circolari”, Università Telematica Pegaso, Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza, Anno Accademico 2020/2021, Relatore Prof. Paolo Guida.

[3] Cfr., nel testo attualmente in vigore, art. 49 commi 5 e 7 Decreto Legislativo 21 novembre 2007 n. 231, Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione (in G.U. n. 290 del 14 dicembre 2007 – Suppl. Ord. N. 268): «5. Gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 1.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. 7. Gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità».

[4] Sul punto cfr., però, l’art. 49 comma 6 del già citato D. Lgs. 231/2007 che stabilisce “Gli assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A.”.

[5] Segreto A. – Carrato A, L’assegno, Giuffrè Editore, Terza Edizione, 2007, pagg. 123-124.

[6] In tal senso, indicativo (e, per certo, esplicativo) l’incipit del Capitolo Terzo dedicato, per l’appunto, all’assegno di Montanari M., I titoli di credito, Giappichelli editore, Seconda Edizione, 2020, pag. 81: «”I milioni? E chi li ha visti mai! Noi nobili usiamo gli chèque”. Così nel film “Miseria e Nobiltà” spiega Totò al plebeo arricchito che lo ospita a pranzo credendolo un principe. La battuta del grande comico partenopeo ben illustra la funzione dell’assegno: quella di strumento di pagamento alternativo al denaro contante. Non dunque un mezzo per far credito, dilazionando la riscossione della somma dovuta, come la cambiale, ma un titolo di pagamento a vita breve, destinato ad essere rapidamente incassato, sostitutivo del denaro».

[7] Laurini G. (a cura di), I titoli di credito, Giuffrè Editore, 2009, pagg. 436 ss.

[8] Giorgianni F – Tardivo C.M., Manuale di diritto bancario – Banche, contratti e titoli bancari, Giuffrè Editore, Prima edizione, 2006, pagg. 539-542.

[9] Corte Cost. Sentenza, 26 giugno 1990, n. 317 (G.U. 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 28 dell’11/07/1990).

[10] Fiale A., Manuale di diritto commerciale, Edizioni Giuridiche Simone, Ventinovesima Edizione, 2020, pag. 496. «La banca trattaria, però, rimane del tutto estranea al rapporto di valuta e non si obbliga in alcun modo nei confronti del prenditore, né dei successivi legittimati, ad eseguire il pagamento. Il rapporto di provvista, comunque – pur rimanendo esterno rispetto ai rapporti cambiari nascenti dall’assegno – rappresenta la specifica e necessaria giustificazione dell’emissione, tanto che il legislatore ha avvertito l’esigenza di precisarne i requisiti e di tutelarne l’esistenza. L’obbligazione del traente ha carattere sussidiario, in quanto il portatore legittimato che voglia valersi dei suoi diritti nei confronti del traente, ha l’onere di chiedere preventivamente il pagamento alla banca trattaria (con la presentazione dell’assegno). La mancanza di somme disponibili al momento dell’emissione o l’emissione non autorizzata di assegni importano l’applicazione a carico del traente di sanzioni amministrative pecuniarie e personali (D. Lgs. 507/1999)».

[11] Galgano F., Diritto Privato, Wolters Kluwer – Cedam, Diciassettesima Edizione (a cura di Zorzi Galgano N.), 2018, pag. 462. Sottolinea, a tal riguardo, l’autore che «una diretta utilizzazione dell’assegno bancario come strumento di credito, attraverso l’emissione o di assegni postdatati (si appone sul titolo, come data di emissione, una data futura, che di fatto funziona come “scadenza” dell’assegno) o di assegni con data in bianco (il titolo viene presentato in banca per il pagamento o viene girato ad un terzo solo alla data concordata fra emittente e primo prenditore), è, in pratica, tutt’altro che rara».

[12] Normativa medio tempore modificata e che, all’attualità, prevede la cancellazione del protesto levato su assegno bancario al ricorrere di determinate condizioni e, comunque, previo ottenimento del decreto di riabilitazione rilasciato dal Tribunale competente.

[13] Giorgianni F. – Tardivo C.M., op. cit., pagg. 955-956.

[14] Salamone L. – Spada P., Commentario breve al diritto delle cambiali, degli assegni e di altri strumenti di credito e mezzi di pagamento, Cedam, Quarta Edizione, 2008, pagg. 313-314.

[15] Laurini G. (a cura di), op. cit., pagg. 446-449.

[16]  Art. 2 R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736: “1. Il titolo nel quale manchi alcuno dei requisiti indicati nell’articolo precedente non vale come assegno bancario, salvo i casi previsti nei seguenti comma. 2. In mancanza di indicazione speciale, il luogo indicato accanto al nome del trattario si reputa luogo del pagamento. Se più luoghi sono indicati accanto al nome del trattario, l’assegno bancario è pagabile nel luogo indicato per primo. 3. In mancanza di queste o di ogni altra indicazione, l’assegno bancario è pagabile nel luogo in cui è stato emesso, e, se in esso non vi è uno stabilimento del trattario, nel luogo dove questi ha lo stabilimento principale. 4. L’assegno bancario in cui non è indicato il luogo di emissione si considera sottoscritto nel luogo indicato accanto al nome del traente”.

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