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di Andrea Gerardi

Dottore Commercialista e Gestore della Crisi

Le più recenti riforme del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza hanno rafforzato gli strumenti per la tutela dell’abitazione principale nelle procedure di sovraindebitamento. Questo contributo analizza le implicazioni per banche e creditori ipotecari, evidenziando come la conservazione della casa non solo tuteli il debitore meritevole, ma aumenti le possibilità di rientro del credito rispetto alla vendita coattiva.

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1. Contesto normativo e ratio economico-sociale.

Negli ultimi dieci anni, il legislatore italiano ha progressivamente modificato la disciplina del sovraindebitamento con l’obiettivo di trasformare la casa di abitazione da garanzia aggredibile a presidio della dignità personale e familiare. Non si tratta solo di una svolta giuridica, ma di un cambio di paradigma nella cultura del credito.

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), operativo dal luglio 2022, e il recente Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 136/2024) hanno dato sistematizzazione e potenziamento a questo approccio. Le norme che permettono la prosecuzione del mutuo ipotecario, la sospensione delle esecuzioni immobiliari e la conservazione dell’abitazione anche nel concordato minore delineano una precisa visione: l’abitazione principale è un bene da proteggere, finché il debitore meritevole è in grado di offrire ai creditori una soddisfazione almeno equivalente alla vendita forzata.

Per le banche, ciò significa abbandonare la convinzione che il ricavato da asta giudiziaria sia l’unica via efficace di recupero. I dati mostrano che la vendita forzata dell’immobile conduce spesso a realizzi inferiori al valore commerciale, con tempi medi superiori ai tre anni e costi di procedura rilevanti. La tutela dell’abitazione, invece, apre la strada a soluzioni ristrutturatorie in cui il mutuo continua ad essere servito, riducendo il rischio di sofferenze e permettendo la contabilizzazione del credito come “in bonis”.

Il messaggio è chiaro: salvare la casa può convenire non solo al debitore, ma anche al creditore. La valorizzazione della continuità abitativa come asset negoziale è oggi un elemento strategico per chi gestisce crediti deteriorati.

 

2. Le nuove tutele nella crisi del consumatore: dalla sospensione dell’esecuzione alla prosecuzione del mutuo.

Il piano del consumatore è oggi uno strumento maturo, capace di coniugare protezione del debitore e convenienza per i creditori. La vera svolta? La possibilità per il consumatore meritevole di conservare la propria casa, continuando a pagare il mutuo alle condizioni originarie.

L’art. 67, co. 5 CCII consente, infatti, al debitore in regola con le rate o autorizzato a versare gli arretrati, di proseguire i pagamenti secondo l’ammortamento iniziale. Nessuna risoluzione del contratto, nessuna escussione dell’ipoteca: la casa resta in famiglia e la banca rientra regolarmente.

Ma c’è di più: il giudice può sospendere le procedure esecutive in corso, bloccando il pignoramento immobiliare finché non si decida sull’omologa. Il credito garantito resta tale, ma con un beneficio immediato anche per l’istituto bancario: evitare l’asta significa ridurre i tempi, i costi, e spesso, la svalutazione dell’immobile.

Anche il trattamento dei creditori ipotecari è stato riequilibrato. Il piano deve garantire loro almeno quanto otterrebbero da una vendita forzata. E la giurisprudenza ha più volte convalidato piani con pagamento integrale del primo creditore e falcidia proporzionale per quelli successivi, in linea con il valore stimato dell’immobile. Si tratta, in sostanza, di una negoziazione basata su numeri e convenienza, non su promesse astratte.

L’evoluzione più interessante riguarda la dilazione ai privilegiati. In passato, i limiti temporali impedivano soluzioni di lungo respiro. Oggi, grazie a Cass. 17391/2020, anche nel piano del consumatore è ammessa una dilazione superiore all’anno, se accettata (esplicitamente o tacitamente) dal creditore ipotecario. Un’apertura giurisprudenziale che ha reso più flessibili le proposte, avvicinando le esigenze delle famiglie a quelle delle banche.

Dunque nella crisi del consumatore, la casa non è più il primo bene da sacrificare, ma l’ultima roccaforte da difendere. E il credito, se ben gestito, può trasformarsi da perdita probabile a opportunità concreta di rientro. Una svolta culturale che le banche lungimiranti hanno già iniziato a cavalcare.

 

3. Concordato minore: opportunità per le banche di valorizzare il credito.

Il concordato minore è la risposta per tutti quei debitori che, pur non essendo consumatori, si trovano schiacciati dai debiti: piccoli imprenditori, artigiani, professionisti. E anche qui, il legislatore ha previsto una via per evitare la vendita forzata dell’abitazione principale.

Il Decreto Correttivo Ter ha esteso la facoltà di prosecuzione del mutuo ipotecario anche al concordato minore. Non si tratta di una semplice estensione normativa: è un cambio di passo strategico. Oggi anche il piccolo imprenditore può proporre un piano in cui continua a pagare il mutuo sulla casa, dimostrando al contempo la convenienza della proposta per i creditori.

Per la banca, questo significa poter uscire dalla classificazione UTP/NPL, grazie a un piano giudizialmente omologato in cui il mutuatario rientra nei pagamenti, magari con l’aiuto di nuova finanza o di terzi. La prosecuzione del mutuo non è più un’eccezione, ma una leva di valorizzazione del credito ipotecario.

Certo, qui i creditori votano. Ma è proprio questo il punto di forza: se la proposta è fondata su dati peritali, flussi attendibili e un valore di realizzo comparabile, le probabilità di approvazione crescono. E se anche il creditore ipotecario dissente, l’omologa può avvenire comunque tramite cram-down, purché sia garantito il valore della garanzia.

Molti casi giurisprudenziali confermano questa tendenza. Laddove la casa ha valore reale, il debitore presenta piani sostenibili e la banca ottiene un recupero certo, con tutele formali e sostanziali. L’alternativa? Una lunga esecuzione, costi legali, svalutazioni.

Infine, la prospettiva familiare: se il debitore è parte di un nucleo convivente, può attivare una procedura familiare (art. 66 CCII) che consente soluzioni più flessibili, integrando soggetti diversi ma finalizzati a un unico obiettivo: proteggere l’abitazione senza compromettere il recupero.

Per le banche, questo significa una nuova frontiera del dialogo con il debitore: un passaggio dalla logica dell’aggressione patrimoniale a quella della co-costruzione di un piano efficace. Meno contenziosi, più soluzioni. Meno aste, più pagamenti regolari. Più valore, meno perdite.

 

4. Liquidazione controllata e valore abitativo: vendere solo quando necessario.

Quando non vi sono alternative praticabili, la liquidazione controllata rappresenta l’ultima spiaggia per il debitore. Ma anche qui il sistema offre tutele che, se ben comprese, possono trasformarsi in strumenti di gestione efficiente del credito per le banche.

Innanzitutto, il debitore ha diritto di continuare ad abitare l’immobile fino alla sua effettiva vendita. Non è una misura di favore, ma un principio stabilito dall’art. 147, co. 2 CCII, richiamato dalla disciplina sulla liquidazione controllata: la casa resta al debitore sino alla liquidazione. Un modo per evitare costi di vigilanza, degrado del bene e tensioni sociali.

Inoltre, il liquidatore – previo consenso del giudice – può decidere di non vendere l’abitazione se il valore residuo per i creditori risulta irrisorio o nullo. È il caso degli immobili ipotecati per l’intero valore, o con mercato immobiliare stagnante. In questi casi, vendere significherebbe solo aumentare i costi e peggiorare il risultato.

Per il sistema bancario, questo significa due cose: primo, che in presenza di procedure ben strutturate, l’abitazione può rientrare comunque nel piano di recupero; secondo, che la mancata vendita, quando economicamente inefficiente, è una scelta strategica e non una rinuncia. Anche perché, al termine della liquidazione, i crediti residui non coperti possono essere dichiarati inesigibili, evitando il mantenimento in bilancio di sofferenze croniche.

Infine, la possibilità di esdebitazione – anche per il debitore incapiente – rappresenta una chiusura pulita del ciclo: un punto zero da cui il soggetto può ripartire, senza rincorrere debiti inesigibili. Anche in questo, le banche possono trarre vantaggio: il rischio viene sterilizzato, le perdite consolidate, e si evita di investire risorse su crediti che non genererebbero valore.

In una logica moderna di gestione degli attivi deteriorati, la liquidazione non è solo vendita: è analisi, selezione, scelta. Vendere sì, ma solo quando conviene.

 

Il cram-down del creditore ipotecario: come superare il veto su basi oggettive.

Uno dei timori principali delle banche è la possibilità di subire decisioni giudiziali che impongano soluzioni non concordate. Il cram-down, in apparenza, può evocare proprio questo. In realtà, rappresenta un’opportunità di razionalizzazione e tutela dell’interesse collettivo.

Nel concordato minore, il giudice può omologare il piano anche in presenza del dissenso del creditore ipotecario, purché quest’ultimo riceva una soddisfazione almeno pari al valore di liquidazione. In altre parole, se il piano garantisce al creditore quanto avrebbe incassato con una vendita coattiva, il veto del singolo può essere superato.

Per il sistema bancario, questo meccanismo ha due risvolti strategici:

  • primo, stimola una valutazione ex ante basata su dati oggettivi (valore stimato dell’immobile, perizia terza, costi evitati);
  • secondo, responsabilizza il creditore nella negoziazione: non conviene dire “no” per principio, se la proposta è economicamente sensata.

Le sentenze più recenti mostrano che il cram-down è applicato con rigore, ma anche con equilibrio: non si tratta di penalizzare il creditore, ma di evitare che l’intero impianto negoziale salti per una posizione isolata, magari poco fondata.

È qui che la banca lungimirante si distingue: non ostacola per difesa, ma valuta per convenienza. Un mutuo onorato in dieci anni, con garanzia intatta e regole certe, può avere più valore di un’asta con incognite e svalutazioni. Il tribunale diventa così garante di equità, e non un nemico della banca.

Il cram-down non è una forzatura: è un invito al dialogo, fondato su numeri. E quando i numeri parlano, anche il dissenso può essere superato – per il bene di tutti, incluso il creditore garantito.

 

6. Il principio della convenienza e la casa come asset negoziale.

Alla base dell’intero impianto normativo in tema di sovraindebitamento vi è un principio chiave: la convenienza economica. Non si tratta di salvare la casa a ogni costo, ma di confrontare soluzioni in termini di efficienza, valore e impatto sul recupero del credito.

Se il piano consente alla banca di incassare almeno quanto otterrebbe da un’esecuzione forzata, allora il mantenimento dell’abitazione non è più una concessione, ma una strategia win-win. La casa diventa così un asset negoziale, attorno al quale costruire un accordo sostenibile e verificabile.

In quest’ottica, la conservazione dell’immobile:

  • consente continuità nei pagamenti del mutuo;
  • preserva il valore della garanzia, evitando svalutazioni legate a espropri, aste e sgomberi;
  • riduce i tempi morti del recupero forzato, migliorando il cash flow atteso;
  • elimina l’incertezza giudiziaria e reputazionale connessa alle esecuzioni immobiliari, specie su prime case abitate.

Il creditore ipotecario, da antagonista, può diventare co-architetto della soluzione, anche negoziando strumenti accessori: pegni aggiuntivi, interventi di terzi, rafforzamenti di garanzie. Tutto dipende dalla qualità della proposta e dalla trasparenza dell’istruttoria.

I gestori della crisi e i professionisti coinvolti hanno qui un ruolo decisivo: trasformare un problema patrimoniale in un progetto finanziario condiviso, dove la casa non è più solo un bene da vendere, ma un pilastro su cui costruire la ripartenza. La banca che partecipa a questo processo non solo recupera, ma rafforza la relazione con il territorio, l’immagine e il proprio ruolo sociale.

La casa, insomma, non è più il punto debole del debitore. È il punto di partenza di una soluzione sostenibile anche per il creditore.

 

7. Conclusioni: dalla tutela del debitore al beneficio per il creditore.

Il nuovo paradigma del sovraindebitamento mette al centro la casa non come oggetto da sacrificare, ma come fulcro di soluzioni condivise. Le recenti riforme non hanno indebolito la posizione dei creditori, ma l’hanno resa più intelligente: proteggere l’abitazione principale, quando conviene economicamente, è oggi un atto di buon senso prima ancora che di equità.

Per le banche, significa entrare in una nuova stagione di gestione attiva del credito deteriorato: meno contenzioso, più analisi; meno aste, più piani sostenibili; meno perdite, più valore recuperato. In una parola: più strategia.

Il messaggio per chi decide sui crediti è chiaro: ascoltare il debitore meritevole, valutare i numeri, proporre soluzioni. Perché quando si salva una casa, spesso si salva anche un credito.

Il futuro del recupero passa dalla capacità di coniugare tutela sociale e ritorno economico. E oggi, finalmente, gli strumenti ci sono.

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