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Nota a Trib. Firenze, Sez. III, 19 maggio 2025.

I debitori esecutati in una procedura esecutiva immobiliare iscritta innanzi al Tribunale di Firenze nel 2018 ricorrono davanti allo stesso Tribunale ex art. 615 c.p.c. co. 2, chiedendo contestualmente la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., al fine di poter esercitare il proprio diritto a rinegoziare il mutuo contratto con l’originario creditore fondiario e successivamente da questi ceduto, all’attuale creditore intervenuto, a seguito di un’operazione di cartolarizzazione.

Il Tribunale adito, con ordinanza, ha rigettato l’istanza di sospensione, assegnando termine alla Controparte per la riassunzione del procedimento esecutorio.

I debitori esecutati, pertanto, hanno proposto reclamo avverso tale ordinanza di rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c.

Il Tribunale di Firenze ha respinto il reclamo, confermando il provvedimento impugnato, per le ragioni che verranno sinteticamente esposte di seguito.

Il punto nodale attorno al quale si sviluppa il ragionamento giuridico del Tribunale di Firenze è la contrapposizione tra diritto del consumatore alla rinegoziazione del mutuo e obbligo per il creditore di rinegoziare.

Il passaggio non è scontato.

L’art. 41 bis D.L n. 124/2019, convertito in L. n. 157/2019, come novellato dall’art. 40 ter del D.L. 41/2021, convertito in L. n. 69/2021 offre la possibilità al debitore esecutato, consumatore, di chiedere la rinegoziazione del mutuo azionato con pignoramento immobiliare dal creditore (Banca, intermediario finanziario, società veicolo o costituita ai sensi della normativa sulla cartolarizzazione) sul bene ipotecato che costituisca abitazione principale del debitore. La norma prosegue indicando ulteriori specifici requisiti necessari affinché il debitore possa ricorrere all’istituto della rinegoziazione del mutuo in executivis.

Nel caso analizzato i debitori hanno posto a fondamento del proprio reclamo ogni eccezione inerente alla sussistenza di tutti i requisiti indicati dalla norma, insistendo per l’accoglimento delle proprie istanze fondate sul diritto alla rinegoziazione del mutuo, per come sancito dal combinato disposto dei commi 2 e 5 dell’art. 41 bis D.L n. 124/2019, convertito in L. n. 157/2019, novellato.

Orbene, parte reclamante ritiene che dalla lettura del disposto normativo si evinca un vero e proprio diritto del debitore-consumatore alla rinegoziazione dei termini del proprio finanziamento.

Da una prima lettura sembrerebbe che la norma analizzata sia estremamente favorevole per la parte debitrice che, soddisfatti tutti i requisiti imposti dal legislatore, ha la possibilità di rinegoziare il proprio mutuo ipotecario contratto sull’abitazione principale.

I requisiti richiesti, di fatto abbastanza stringenti, hanno certamente lo scopo di equilibrare le esigenze del debitore-consumatore in comprovate difficoltà economiche che cerchi di conservare la proprietà dell’abitazione principale e l’esigenza del creditore procedente di tutelare il proprio diritto a soddisfare le proprie pretese sul bene ipotecato.

La ratio della norma è pregevole, ma la sua formulazione presta il fianco a dubbi interpretativi nel momento in cui a fronte di un diritto del debitore-consumatore a “formulare richiesta di rinegoziazione del mutuo in essere ovvero richiesta di un finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, a un terzo finanziatore che rientri nelle citate categorie soggettive, il cui ricavato deve essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere” (41 bis comma 2, D.L n. 124/2019, convertito in L. n. 157/2019, novellato) non pare esserci un vero e proprio obbligo per il creditore di accettare la rinegoziazione proposta, in quanto quest’ultimo è tenuto a svolgere “una valutazione del merito di credito nel rispetto di quanto previsto nella disciplina di vigilanza prudenziale ad esso applicabile, all’esito della quale può accettare la richiesta di rinegoziazione o di finanziamento, a condizione che il suo contenuto sia conforme alle previsioni di cui al comma 2 e previa verifica con esito positivo del merito creditizio del debitore ovvero, nei casi regolati dal comma 3, del destinatario del finanziamento” (41 bis comma 5, D.L n. 124/2019, convertito in L. n. 157/2019, novellato).

Il legislatore si è limitato ad introdurre uno strumento che consente al debitore-consumatore di porre rimedio alla situazione di grave indebitamento nei confronti del creditore fondiario, ma senza intaccare la libertà negoziale tra le parti, non imponendo alcun precipuo vincolo e obbligo a contrattare per il creditore fondiario, lasciando spazio alla mera possibilità di riesaminare le condizioni contrattuali originariamente pattuite tra le parti.

Bisogna interrogarsi, quindi, sul ruolo del creditore procedente, cercando di comprendere se la sua debba essere una accettazione passiva delle condizioni proposte dal debitore, previa valutazione del merito di credito o se, invece, abbia ulteriori e più ampi margini discrezionali.

La valutazione del merito di credito, in realtà, non può essere confinata ad un’analisi oggettiva e parametrata della posizione del debitore, risultando inevitabile che il creditore ricostruisca la storia finanziaria che ha condotto il debitore all’indebitamento per cui è stato necessario instaurare il giudizio esecutivo. Il creditore ha facoltà di valutare ex post l’affidabilità economica del debitore, proiettandola nel futuro, nell’intento di evitare una nuova sovraesposizione debitoria che riporti alla impossibilità di far fronte al proprio debito, sebbene rinegoziato.

Il diritto del debitore, pertanto, appare limitato alla sospensione semestrale del giudizio da parte del Giudice dell’esecuzione; sospensione propedeutica alla presentazione di una proposta di rinegoziazione del mutuo al creditore procedente che, a seguito di una valutazione del merito di credito, potrà accettarla.

Un ulteriore punto di rottura nella interpretazione normativa più favorevole al debitore è la considerazione che nessuna sanzione è prevista per il creditore che non valuti il merito di credito prima di rifiutare la proposta di rinegoziazione. Non vi è alcun obbligo per il creditore che è sempre libero di non aderire all’istanza di rinegoziazione presentata dal debitore, così come anche il finanziatore terzo ha sempre la possibilità di rifiutare la richiesta di finanziamento pervenutagli.

Non è sanzionato neppure il silenzio del creditore, sebbene la lettura attenta della disposizione normativa pare faccia un espresso riferimento a tale necessità, almeno per consentire al debitore di chiedere ad altri un finanziamento in surroga di quello posto alla base del pignoramento.

Resterebbe la possibilità per il debitore di perseguire un rimedio risarcitorio per il danno subito a causa del comportamento reticente del creditore, per violazione della buona fede contrattuale, ma sarebbe comunque una magra consolazione per chi stia cercando di conservare la proprietà dell’abitazione principale.

Alla luce di quanto sopra e tenuto conto della formulazione letterale dell’ordinanza in commento, si ritiene che, allo stato, l’art. 41 bis preveda sì un diritto per il debitore-consumatore, ma che tale posizione giuridica di vantaggio inerisca solo alla possibilità di presentare una proposta di rinegoziazione del mutuo e non anche ad ottenerla.

La valutazione del merito di credito da parte del finanziatore ipotecario è, certamente, un punto nodale della trattativa che intercorre tra le parti quando viene azionato il disposto dell’art. 41 bis. Tuttavia, la fattispecie si riferisce solo alla possibilità del creditore di valutare il merito creditizio del debitore; nessuna considerazione viene, invece, mossa nei riguardi del merito creditizio di quel creditore che è tenuto a valutare la proposta di rinegoziazione del mutuo avanzata dal debitore esecutato.

La disciplina della rinegoziazione dei mutui ex art. 41 bis D.L. 124/2019 e s.m. presenta dei punti di contatto con la disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento ex L. 3/2012 e s.m. e, anzi, vi è un espresso richiamo della seconda nella prima. I commi 8 e 9 dell’art. 41 bis prevedono che l’esdebitazione può essere inserita nell’ambito do un piano o di un accordo del consumatore: “8. La rinegoziazione di cui al comma 1, con beneficio della garanzia di cui al comma 4, può altresì essere contenuta nella proposta di accordo o di piano del consumatore di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3. 9. Il piano del consumatore e la proposta di accordo di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, possono prevedere che un soggetto finanziatore tra quelli indicati al comma 1 conceda al debitore un finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, il cui ricavato deve essere utilizzato per estinguere il mutuo in essere. Il finanziamento è assistito dalla garanzia prevista dal comma 4”.

Mentre nella originaria formulazione dell’art. 41 bis la pendenza di una procedura da sovraindebitamento escludeva la possibilità di ricorrere al beneficio della rinegoziazione ed esdebitazione, nella versione novellata è stato inserito un espresso coordinamento delle norme.

Una differenza che perdura, tuttavia, la si rileva proprio nella posizione del creditore e, specificamente, del merito creditizio di quest’ultimo.

Invero, se nella disciplina del sovraindebitamento viene in rilievo la valutazione del merito creditizio che, con esito negativo, esclude il creditore dal diritto all’opposizione del finanziatore che abbia erogato il credito in violazione del merito creditizio, nella fattispecie ex art. 41 bis non è prevista una valutazione del merito creditizio del finanziatore e, conseguentemente, non vi è sanzione in caso di rigetto della proposta del debitore, seppure immotivata.

Infine, alcuni rilievi sulla sospensione dell’esecuzione.

Il giudizio di esecuzione può essere sospeso automaticamente o a discrezione del Giudice dell’esecuzione.

Nel primo caso, il Giudice sospende il giudizio nei casi previsti dalla Legge o quando il Giudice innanzi al quale il titolo esecutivo è stato impugnato ne abbia sospeso l’efficacia.

Vi sono, poi, casi di sospensione discrezionale dell’esecuzione e cioè quando sono state presentate opposizioni esecutive (ex art. 615, 617 e 619 c.p.c.) o in presenza di altre situazioni processuali che richiedono l’intervento del G.E.

Qualora il debitore esecutato, consumatore come nel caso di specie, proponga un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento che abbia ad oggetto anche la disposizione del bene immobile pignorato, il Giudice dell’esecuzione sarà tenuto, senza alcun vaglio discrezionale, a sospendere la procedura esecutiva immobiliare.

Diverso trattamento è riservato al debitore consumatore che, nei limiti previsti dalla normativa di riferimento, abbia fatto istanza di sospensione della procedura esecutiva immobiliare per ragioni afferenti al proprio diritto alla rinegoziazione del mutuo fondiario costituito per l’acquisto del bene immobile (prima casa) pignorato. Invero, la norma prevede che “Il giudice che dirige l’esecuzione immobiliare di cui al comma 1, su istanza del debitore che ha fatto richiesta di rinegoziazione del mutuo, sentiti tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, può sospendere il processo fino a sei mesi”, rimarcando la facoltà e non l’obbligo di sospensione del Giudizio, sebbene nella prassi giudiziaria tale sospensione preliminare scaturisce dalla mera constatazione della sussistenza dei requisiti di Legge, lasciando che ogni valutazione nel merito (soprattutto creditizio) venga effettuata dal creditore al momento della accettazione o del rifiuto della proposta di rinegoziazione.

Nel caso qui commentato, il Giudice dell’esecuzione aveva già concesso una prima sospensione semestrale al fine di consentire agli esecutati di presentare proposta di rinegoziazione del mutuo alla Controparte ed il reclamo oggetto di pronuncia ineriva ad una seconda richiesta di sospensione dettata dall’esigenza di sottoporre al creditore intervenuto nuove e più appetibili proposte di rinegoziazione, visto il fallimento delle precedenti.

La richiesta di nuova sospensione dei termini potrebbe, quindi, fungere da strumento dilatorio a servizio di un esecutato immeritevole di soluzioni alternative alla vendita dell’immobile, con eccessivo aggravio a carico del creditore, per il quale il tempo intercorrente tra l’avvio della procedura e l’approvazione del progetto di riparto delle somme ricavate dalla vendita del bene staggito rappresenta un costo, senza tener conto che nella maggior parte dei casi, soprattutto nei centri medio-piccoli, il prezzo di aggiudicazione non è mai satisfattivo della pretesa creditoria ed anzi talvolta è sufficiente a malapena a coprire le spese della procedura e quelle sostenute dal creditore per avviare il giudizio.

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