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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 19 novembre 2024, n. 29831.

Massima redazionale

La giurisprudenza di legittimità, anche nell’ipotesi di titoli detenuti in pegno, esclude, pur in presenza di un significativo scarto tra valore della garanzia e debito garantito, l’obbligo della banca di procedere alla vendita; la gestione prudenziale dei titoli e la loro dismissione, allorché lo scarto scenda sotto la soglia di legge (10%), consente, ma non impone alla banca la vendita dei titoli. In tal senso, si veda la pronuncia n. 7941/2023, la quale ha escluso l’obbligo de quo sia ai sensi dell’art. 1850 c.c.[1], sia ai sensi dell’art. 4 del D.lgs. n. 170/2004 (recante attuazione della direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria, il quale prevede che al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere, osservando le formalità previste nel contratto: a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita; b) all’appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione; c) all’utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita) che la banca garantita abbia un obbligo, piuttosto che una facoltà, di vendere i titoli oggetto della garanzia.

Pur tuttavia, il fatto che la banca non avesse l’obbligo di vendere i titoli certamente non la esonerava dall’obbligo di agire in buona fede nell’esecuzione del contratto, né, tantomeno, impediva – anzi, imponeva – alla Corte d’Appello di accertare se il comportamento fosse stato «scorretto», nonostante la sua formalistica corrispondenza al diritto, in forza del parametro della buona fede oggettiva quale «criterio vólto a contenere le conseguenze negative di un’applicazione formalistica del diritto sul piano della conciliazione di interessi confliggenti secondo una misura insuscettibile di determinazione aprioristica, ma destinata a precisarsi, di volta in volta, secondo le caratteristiche particolari di ogni singola vicenda nel quadro complessivo delle circostanze anche sopravvenute del caso concreto. Si profila, così, l’esistenza di un criterio tipicamente bilaterale e qualitativo: perché implicante un giudizio di relazione, dove ciò che è destinato a prevalere non è, sempre e comunque, l’interesse astrattamente privilegiato da una norma, ed attento, altresì, alla qualità degli interessi coinvolti»[2].

 

 

 

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[1] La disposizione codicistica prevede che se il valore della garanzia diminuisce almeno di un decimo rispetto a quello che era al tempo del contratto, la banca può chiedere al debitore un supplemento di garanzia nei termini d’uso, con la diffida che, in mancanza, si procederà alla vendita dei titoli o delle merci dati in pegno. Se il debitore non ottempera alla richiesta, la banca può procedere alla vendita a norma del secondo e dell’art. 2797, comma 4, c.c.

[2] Cfr. Cass. n. 7891/2024.

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