4 min read

Nota a Cass. Civ., Sez. III, 26 settembre 2024, n. 25798.

Massima redazionale

Come la giurisprudenza di legittimità (invero, anche a Sezioni Unite) ha già avuto modo di affermare, non costituisce un patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., né, tantomeno, uno strumento finanziario derivato implicito la clausola di un contratto di leasing che preveda: a) il mutamento della misura del canone in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera, b) l’invariabilità nominale dell’importo mensile del canone con separata regolazione dei rapporti dare/avere tra le parti in base alle suddette fluttuazioni[1].

Si è, altresì, precisato che, ove il contratto preveda una doppia indicizzazione, agganciando le variazioni del canone sia alle variazioni del tasso LIBOR, sia alle variazioni del rapporto di cambio franco/euro, va considerato che l’indicizzazione del canone al tasso LIBOR costituisce una normale clausola onnipresente nei finanziamenti a tasso variabile; è pacificamente lecita e non costituisce un derivato; l’indicizzazione del canone alle fluttuazioni del rapporto di cambio costituisce invero una clausola-valore, sicché essa è lecita, e non costituisce un derivato; dalla combinazione di due clausole, tutte e due lecite e non costituenti uno strumento finanziario derivato, non può sorgere un contratto illecito, costituente uno strumento finanziario derivato[2].

Si è posto in rilievo che in applicazione di detti princìpi deve escludersi che la clausola di “rischio cambio” determini un mutamento della causa del contratto di leasing, dovendo escludersi che la relativa previsione legittimi la conclusione che scopo dell’utilizzatore in tal caso divenga quello di realizzare un lucro finanziario in luogo di quello commerciale di acquistare un immobile, e che la volontà del concedente debba in tale ipotesi ritenersi quella di concludere il contratto al solo fine di speculare sul tasso di cambio[3]. Nel sottolineare che meritevolezza del contratto e rispetto dei doveri di buona fede sono concetti diversi[4], si è precisato che, se la pattuizione di una clausola di rischio cambio di per sé non può considerarsi integrare violazione dell’obbligo di buona fede o correttezza, va in concreto verificato se la relativa previsione viceversa non la determini in ipotesi di “mancanza di chiarezza e di informazione, conseguenti alla natura puramente speculativa della clausola, allorquando cioè il finanziatore, pur essendo a conoscenza o potendo conoscere eventuali future fluttuazioni del cambio, non avverta l’altra parte di tale circostanza in sede precontrattuale, in tal caso violando il dovere di buona fede, e, se il contratto è stipulato con un consumatore, pattuendo una clausola determinante un significativo squilibrio tra le parti[5].

Orbene, nell’impugnata sentenza la Corte di merito ha, invero, disatteso i suindicati principi. In particolare, i giudici di secondo grado hanno fatto riferimento alla macchinosità della clausola, all’aleatorietà degli effetti della medesima, allo squilibrio tra le prestazioni, senza considerare come rientri nell’autonomia privata delle parti prefigurare la possibilità di sopravvenienze che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni ed assumerne, reciprocamente o unilateralmente, il rischio modificando lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio. Del pari, hanno errato nella parte in cui ha formulato un giudizio di immeritevolezza del contratto, ex art. 1322, comma secondo, c.c., dopo aver accertato circostanze di fatto irrilevanti ai fini del suddetto giudizio (aleatorietà, difficoltà di interpretazione, asimmetria delle prestazioni).

 

 

 

 

______________________________________________________________________________

[1] V. Cass. Civ., Sez. Un., 23.02.2023, n. 5657; Cass. Civ., Sez. I, 03.11.2023, n. 30556; Cass. Civ., Sez. III, 26.01.2024, n. 2510; Cass. n. 14805/2023; Cass. n. 25578/2023.

[2] V. Cass. Civ., Sez. Un., 23.02.2023, n. 5657.

[3] V. Cass. Civ., Sez. Un., 23.02.2023, n. 5657.

[4] Difatti, il giudizio di meritevolezza vale a stabilire se il contratto può produrre effetti; il giudizio sul rispetto della buona fede assume rilievo sotto molteplici profili: prima della stipula può servire a stabilire se il consenso di una delle parti sia stato carpito con dolo o dato per errore; dopo la stipula può servire a stabilire come debba interpretarsi il contratto (art. 1366 c.c.); dopo l’adempimento può servire a stabilire se questo sia stato inesatto (art. 1375 c.c.); il contratto immeritevole è improduttivo di effetti, il contratto eseguito in contrasto con la buona fede o correttezza fa insorgere il diritto alla risoluzione o al risarcimento del danno.

[5] V. Cass. Civ., Sez. Un., 23.02.2023, n. 5657, che fa richiamo a CGUE, 20.09.2017, C-186/16, relativamente a un contratto di mutuo, e a CGUE, 20.09.2018, in causa C-51/17.

Seguici sui social: