Nota a Cass. Civ., Sez. I, 15 luglio 2024, n. 19401.
Massima redazionale
Nel caso in esame, l’accertamento sulla fondatezza (o meno) dell’eccezione di nullità della fideiussione prestata in relazione allo specifico profilo della violazione della normativa antitrust, alla stregua di quanto sancito nel provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005, – che, quando proposta, per la prima volta, in appello, come accaduto nella specie, era evidentemente ammissibile, in quanto eccezione in senso lato, anche al di là dei limiti e delle preclusioni processuali ormai maturate – poggia su circostanze fattuali[1] che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto ritualmente introdurre e chiedere di provare indicandone i mezzi istruttori da utilizzarsi a tale scopo, già in primo grado. In altri termini, avrebbe dovuto tempestivamente allegare, già innanzi al tribunale, i fatti costitutivi funzionali a fondare la nullità, poi, invocata in appello o la legittimità di una successiva rilevazione officiosa della stessa. La quaestio nullitatis sollevata in appello, pur astrattamente proponibile al di là delle preclusioni ormai maturatesi, avrebbe, sì, obbligato il giudice a rilevarne l’eventuale fondatezza, o meno (con conseguente applicazione del disposto dell’art. 101, comma 2, c.p.c.), ma sempre che, ed a condizione che, i fatti costitutivi del vizio denunciato fossero stati già tempestivamente allegati e dimostrati, onde legittimare una decisione fondata su quegli stessi fatti e soltanto su quelli, non essendo più consentito al giudice di appello alcun accertamento fattuale se non in violazione del principio del contraddittorio.
Nell’odierna vicenda, quindi, l’avvenuta produzione, solo in sede di gravame, del menzionato provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 a corredo della ivi sollevata, per la prima volta, eccezione di nullità della fideiussione sottoscritta su schema ABI, risulta tardiva, nemmeno avendo in quella sede, o nell’odierno ricorso, argomentato circa la impossibilità, al medesimo non imputabile, di produrla in precedenza.
Né la produzione predetta potrebbe considerarsi legittima unicamente valorizzando il fatto che l’eccezione di nullità della fideiussione suddetta era stata sollevata solo in appello, come, peraltro, sarebbe stato pienamente possibile, trattandosi di eccezione in senso lato. Così opinando, infatti, oltre a sovrapporsi non correttamente il profilo della proponibilità dell’eccezione con quello dell’ammissibilità della produzione documentale, si verrebbe ad ammettere detta produzione in modo del tutto svincolato dalla verifica della impossibilità per la parte di operarla tempestivamente nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, in tal modo facendo ricorso, in sostanza, – latamente ed immotivatamente – ad un criterio di indispensabilità che, invece, non assume più rilievo nella vigente disciplina dell’ammissibilità di nuovi mezzi istruttori in appello.
Va osservato, inoltre, che, come recentemente opinato[2] «Al citato provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, […], reso da quest’ultima in qualità di Autorità Antitrust, nemmeno può attribuirsi natura e forza di legge o comunque carattere normativo, consistendo, invece, esso in un mero provvedimento amministrativo di carattere sanzionatorio; sicché, nella specie, da un lato, la sua produzione non poteva che soggiacere ai noti principi di tema di onere probatorio, dall’altro, la corte di appello […] non avrebbe potuto tenerne conto solo perché consultabile on line o comunque richiamato in alcune pronunce di questa Corte, non essendo, al riguardo, certamente invocabile il principio iura novit curia. Come la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito (cfr. Cass. n. 1742 del 1976; Cass. n. 6933 del 1999; Cass. n. 34158 del 2019), infatti, tale principio, là dove eleva a dovere del giudice la ricerca del “diritto”, si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi), sia quelli aventi forza normativa puramente interna (come gli statuti degli enti ed i regolamenti interni). A tale secondo ambito di fonti, sottratte all’operatività del detto principio, va certamente ricondotto il provvedimento in discorso».
Infine, va rimarcato che la fideiussione sottoscritta era chiaramente una “Fideiussione specifica” e non “omnibus”, mentre la declaratoria di nullità della fideiussione che ricalchi lo schema esaminato dal menzionato provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 postula che la fideiussione stessa sia qualificabile come omnibus.
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[1] Riguardanti, tra l’altro: il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità; la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato; la concreta riferibilità di quanto sancito in quest’ultimo, frutto di accertamenti che avevano riguardato un intervallo temporale ricompreso tra il 2002 ed il 2005, ad un contratto di fideiussione stipulato, solo successivamente ad esso, nel dicembre 2006 – giugno 2007, come dedotto alla pag. 4 del ricorso; la circostanza che il medesimo ricorrente certamente non avrebbe sottoscritto quella fideiussione in assenza delle clausole contestate, ricordandosi, a quest’ultimo proposito, che: i] giusta Cass., SU, n. 41994 del 2021, «I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti»; ii] come sancito da Cass. n. 18794 del 2023, «Il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto».
[2] Cfr. Cass. n. 16289/2024.
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