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Nota a ABF, Collegio di Napoli, 7 aprile 2023, n. 3380.

di Sara Rescigno

Tirocinante ACF

La controversia presa in esame affronta il tema della diligenza della banca in ordine alla verifica della genuinità di un assegno circolare poi rivelatosi clonato/contraffatto/falso.

Nello specifico, il Ricorrente, dopo aver posto in vendita su un sito internet un proprio orologio di pregio, ha concordato con l’acquirente il pagamento tramite assegno circolare, considerato lo strumento più sicuro.

Ciò premesso, il Ricorrente ha lamentato il mancato compimento, da parte della Banca, di tutte le attività necessarie al fine di verificare con il massimo grado di precisione la validità del titolo presentato all’incasso.

In particolare, il Ricorrente ha fatto notare che la Banca non ha domandato il cd. ‘‘bene emissione’’ all’intermediario emittente e non ha nemmeno riscontrato diverse irregolarità presenti sull’assegno e riconoscibili ictu oculi, come le erronee indicazioni relative ai codici ABI e CAB presenti sul titolo contraffatto.

In replica alle contestazioni avanzate dal Ricorrente, la Banca ha affermato invece che la negoziazione dell’assegno è avvenuta regolarmente, avendo quest’ultima adottato tutte le necessarie cautele in seguito alla presentazione del titolo da parte del beneficiario.

Il Collegio ha ritenuto fondato il ricorso presentato dal Ricorrente per le seguenti ragioni.

In materia di assegno circolare clonato/contraffatto/falso creato da un terzo soggetto, l’Arbitro è costante nell’affermare che la diligenza della banca negoziatrice nel controllare la genuinità di un assegno risulta parametrata ai criteri previsti dall’art. 1176, comma 2, c.c., dovendo essere commisurata alla natura particolarmente qualificata dell’accorto banchiere.

Da questo assunto, ne deriva che la richiesta al trattario/emittente di bene emissione deve essere accompagnata da una conferma scritta, altrimenti la banca negoziatrice è responsabile per il legittimo affidamento ingenerato nel cliente circa la genuinità del titolo[1].

Secondo l’Arbitro, l’affidamento riposto dal cliente sulla validità dell’assegno circolare deve considerarsi di grado particolarmente elevato perché il benefondi di un assegno circolare, che viene dichiarato dalla banca negoziatrice come proveniente dalla banca emittente, dà certezza sull’autenticità del titolo e del suo importo, a differenza del benefondi di un assegno bancario, che attesta, ma non esclude, che il titolo sia contraffatto.

Ne consegue che la dichiarazione di bene emissione dell’assegno circolare, non accompagnata dalle sopra indicate cautele e riserve, comporta, in caso di mancato incasso del titolo da parte del relativo portatore, la responsabilità della banca negoziatrice, su cui grava il principio di autoresponsabilità per le informazioni inesatte rese nello svolgimento del rapporto contrattuale[2].

Alla luce delle suindicate considerazioni, l’Arbitro ha considerato responsabile la banca in quanto quest’ultima non ha depositato in atti la certificazione di bene emissione, né ha fornito la prova dell’adozione di particolati procedure per la verifica dell’assegno, né ha dimostrato l’utilizzo di sofisticati presidi antifrode.

In conclusione, il Collegio ha enunciato il seguente principio di diritto «nel caso di vendita di un bene di cui il venditore si sia spogliato facendo legittimo affidamento sulla dichiarazione di bene emissione dell’assegno circolare, poi risultato falso, consegnatogli dall’acquirente in pagamento del prezzo, la banca negoziatrice che abbia ingenerato tale affidamento è tenuta al pagamento della somma corrispondente al valore facciale del titolo[3]».

 

 

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[1] Ex multis, Collegio di Coordinamento ABF, n. 7283/18; Collegio ABF di Torino, n. 10545/19; Collegio ABF di Roma, n. 20544/19.

[2] ex plurimis, Cass. n. 15951/2022; Cass., n. 10492/2011; Cass., n. 24084/2008.

[3] Collegio di Coordinamento ABF n. 20978/20.

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