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di Fernando Greco

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Le brevi considerazioni che seguono rappresentano un’anticipazione (per dirla come un boomer), uno spoiler (con terminologia propria, invece, della Generazione Z), di un mio, più compiuto, approfondimento che sarà ospitato sul prossimo numero di Responsabilità Civile e Previdenza.

Muovono dalla generalizzata necessità, in seno agli osservatori giurisprudenziali e dottrinali, di ricercare nella sentenza della Corte Costituzionale n. 263, del 22 dicembre 2022, il lieto fine alla querelle relativa alla rimborsabilità (integrale) delle commissioni in caso di estinzione anticipata del finanziamento. Diatriba inaugurata dalla ormai famigerata sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019, C-383/18, per antonomasia la “Lexitor”.

Ebbene, la ricerca della tanto ambita definitività è destinata a esitare, molto probabilmente, in un nulla di fatto. Invero, al netto delle considerazioni, già formulate da attenta dottrina, circa la primazia del diritto unionale e il complesso bilanciamento con l’equipollente (se non addirittura sovraordinato) principio di certezza del diritto (e conseguente tutela dell’affidamento ivi riposto), la decisione della Consulta interviene in un contesto di per sé abbastanza composito e accidentato, rappresentando una soluzione potenzialmente valida, ma sostanzialmente monca, perché trascura la considerazione di alcuni, importanti profili sistematici. Su tutti, il valore, trasversale e pervasivo, della certezza del diritto, in tutte le sue declinazioni, nazionale e sovrannazionale; principio che, per contro, nell’attenzionata querelle, appare, a più riprese, minato.

Al netto della “bontà” (o meno) dell’intervento riformatore italiano sull’art. 125sexies TUB, nel tentativo ardito di rendere compatibile il dato normativo-regolamentare nazionale con l’interpretazione autentica della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di compromesso con l’esigenza di tutelare le esaurite ed esaurende dinamiche di mercato, per il tramite di una cesura temporale, a essere, spesso, sottaciuto è che gli intermediari bancari e finanziari, in attesa dell’epifanica sentenza Lexitor, avessero quale stella polare, nella rimborsabilità degli oneri, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, le Istruzioni di Banca d’Italia, del 2009 e del 2011: ovverosia, il diktat della propria Autorità di Vigilanza, sul quale riporre pieno affidamento, nell’allineamento delle proprie condotte.

Al netto del valore da attribuire alle sentenze del giudice sovrannazionale e del perimetro da assegnare al primato del diritto unionale, l’intervento “a gamba tesa” della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha minato le certezze regolamentari in tema di rimborsabilità degli oneri, prima limitata solo a quelli afferenti alla durata del contratto e non anche agli altri relativi a prestazioni preliminari e preordinate al finanziamento, evidentemente già completamente esaurite al momento dell’opzione per l’estinzione anticipata.

Il legislatore nazionale, in una soluzione “all’italiana”, ha tentato di ricorrere a un bilanciamento di compromesso, col il D.L. n. 73/2021, introducendo un’artefatta censura temporale e stabilendo, più nello specifico, un’applicazione della “novità” normativa ai soli contratti sottoscritti «successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»; per converso, «Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore  della legge di conversione del presente decreto continuano  ad applicarsi le disposizioni dell’articolo  125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie  contenute  nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti». In altri termini, si prevedeva un doppio binario applicativo – temporale.

La Consulta, come noto, interviene, sancendo una limitata incostituzionalità, sotto la cui scure termina, per l’esattezza, l’inciso «e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia» e ripristinando, nella sostanza, un unico regime regolatorio.

Tutto bene quel che finisce bene, se non fosse che, al netto della rinvenibile lesione dell’affidamento (legittimo) degli intermediari bancari e finanziari sulle Istruzioni di Banca d’Italia, della parzialità prospettica nell’iter seguito dalla Corte Costituzionale (che elude l’elefante nella stanza, rappresentato dalle implicazioni economiche sui rapporti già esauriti, sulle dinamiche mercatuali e sui costi nelle relazioni, anche instaurande, tra intermediari e clienti-consumatori), a sparigliare, nuovamente, le carte interviene lo stesso detentore del mazzo, ovverosia la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 9 febbraio 2023, C-555/21 (quella che per antonomasia diventerà la Unicredit Bank Austria). La Lexitor è sempre valevole, tranne che nel caso di credito al consumo immobiliare.  

Al netto della riferibilità a due distinte Direttive, è evidente come l’esito cui si approda sembri a tinte orwelliane: tutti i consumatori sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Ed è proprio per evitare la (più o meno) surrettizia introduzione di inopportune discriminazioni normative che la sentenza di febbraio non pare che possa essere scientemente letta come un ripensamento, quasi per facta concludentia, di quella di settembre 2019.

In altri termini, al netto di molteplici profili, tutti rilevanti e che saranno approfonditi funditus in altra sede, come anticipato in apertura, dal peso lordo della Lexitor rimane solo la tara, rappresentata dal ritorno al principio, a tinte vintage, della rimborsabilità limitata degli oneri, in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

O, per dirla come un melomane, «La Lexitor è mobile, qual piuma al vento».

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