Nel caso di specie, parte ricorrente riteneva che l’attualità del possesso del bene acquisito, sulla base di un contratto di cui si chieda la risoluzione per inadempimento agli obblighi informativi, non sia presupposto per individuare l’interesse ad agire della parte, ex art. 100 c.p.c. La possibilità di restituire il bene è successiva alla dichiarazione di risoluzione del rapporto che comporta l’operatività della ripetizione di indebito. In questa materia, però, è la disciplina della ripetizione che prevede all’art. 2038 c.c. ogni possibile ipotesi di impossibilità della restituzione del bene, indebitamente posseduto dalla parte che ha agito per la risoluzione, legata a varie circostanze. La norma prevede esplicitamente che, qualora tale bene non sia restituibile, sorga l’obbligo di corrispondere l’equivalente in danaro. Il ricorrente deduceva che l’interesse ad agire per la risoluzione del contratto persisteva anche se la res fosse perita o ceduta a terzi, poiché, in tal caso, l’investitore avrebbe l’obbligo di restituire il controvalore in luogo dei titoli oggetto del contratto risolto. Inoltre, ribadiva che la condanna alla restituzione della res, oltre a poter essere ottemperata per equivalente piuttosto che in natura, è subordinata a una specifica domanda della parte interessata e che la Banca si fosse «limitata ad esigere una compensazione tra la somma originariamente investita e da restituire agli attori con quanto dagli stessi incassato durante l’investimento, o, alternativamente, a ridurre il danno per concorso colposo degli attori che avrebbero – secondo l’avversa tesi – fatto bene ad aderire all’O.P.S.»; rimarcava che la Banca non avesse mai manifestato alcun interesse alla restituzione dei titoli, sempre offerta.
Ciò posto, secondo l’orientamento manifestatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, quando sia dichiarata la risoluzione del contratto d’investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo l’intermediario restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione del valore delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati, secondo la disciplina di cui all’art. 2038 c.c.; i reciproci crediti vantati dalle parti, ove ne ricorrano i presupposti, possono compensarsi legalmente, ai sensi dell’art. 1243 c.c.[1]. È stato, quindi, chiarito che spetta al giudice del rinvio: a) valutare le domande restitutorie con riguardo, rispettivamente, alla somma originariamente investita ed alle cedole ed ai titoli oggetto dell’investimento; b) verificare se i titoli siano ancora nella disponibilità degli investitori; c) verificare la sussistenza dei presupposti della compensazione nei limiti della coesistenza dei crediti; d) statuire sulla domanda risarcitoria con riguardo al danno eventualmente residuato agli investitori dopo aver proceduto alle restituzioni dovute[2].
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[1] Cfr. Cass., n. 2661/2019; Cass., n. 6664/2018.
[2] Così Cass. n.2661/2019.