Nota a CGUE, 9 febbraio 2023, C-555/21.
Dopo la sentenza “Lexitor” pronunciata dalla Corte di Giustizia Europea l’11 settembre 2019, una sequela giurisprudenziale che ha attraversato qualche iniziale incertezza, sfociata nella sentenza della Corte Costituzionale n. 263 del 22 dicembre 2022 (che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 11-octies, comma 2, del Dl n. 73/2021, convertito con legge n. 106/2021, nella parte in cui veniva limitato ad alcune tipologie di costi sostenuti per il finanziamento il diritto alla riduzione spettante al consumatore in caso di estinzione anticipata), avevano posto termine ad un acceso dibattito sulla rimborsabilità dei costi c.d. “up front” nel caso di anticipata estinzione dei prestiti chirografari (principalmente contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o delegazioni di pagamento).
La Corte di Giustizia è intervenuta ora con una nuova importante decisione (Sentenza in data 9.2.2023 nella causa C-555/21) adottata in riferimento alla Direttiva 2014/17 sui mutui ipotecari, richiamando espressamente la sentenza “Lexitor” al fine di differenziare e giustificare il diverso trattamento riservato all’ambito dei mutui ipotecari rispetto a quello del credito al consumo non assistito da garanzie reali.
Con una ampia premessa, la Corte prende in esame anche la Direttiva 2008/48 (la quale ha dato luogo alla pronuncia “Lexitor”), affermando che “è importante tenere conto delle specificità dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali, specificità che giustificano un approccio differenziato” (rispetto ai “considerando” della Direttiva 2008/48).
Secondo la prospettazione del Giudice del rinvio, infatti, “i contratti di credito ai consumatori disciplinati dalla direttiva 2008/48 presenterebbero considerevoli differenze rispetto ai contratti di credito garantiti da un’ipoteca o relativi ai beni immobili, disciplinati dalla direttiva 2014/17, atteso che questi ultimi implicano generalmente numerose spese che non dipendono dalla durata del contratto e il cui importo sfuggirebbe al controllo dall’ente creditizio. A tale titolo, il giudice del rinvio menziona, in particolare, le spese relative alla valutazione del bene immobile, all’autenticazione delle firme ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca nel registro catastale e alla domanda di riconoscimento del grado ipotecario in vista di una cessione o di una costituzione in garanzia, nonché quelle relative alla registrazione per la domanda di iscrizione catastale dell’ipoteca. Inoltre, per quanto riguarda le spese indipendenti dalla durata del contratto nell’ambito della direttiva 2014/17, il creditore non disporrebbe affatto di un margine di manovra contrattuale per riqualificare tali spese come costi che dipendono da tale durata”.
Questa netta distinzione, nel ragionamento della Corte di Giustizia, porta a concludere che il diverso trattamento che potrebbe in ipotesi essere riservato alla estinzione dei mutui ipotecari da una legge nazionale la quale includesse soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito, sarebbe giustificato dalla esclusione (nel caso dei mutui ipotecari) del rischio di un comportamento abusivo del creditore, che invece è molto elevato nel caso del credito personale ai consumatori.
Ed è proprio questo rischio che, nella Sentenza “Lexitor” e come ora ribadito nella Sentenza in commento, giustifica l’inclusione di tutti i costi (compresi quelli “up front”) nel calcolo della riduzione degli stessi a favore del consumatore in caso di estinzione anticipata.
Appare rilevante, sotto questo profilo, il considerando 32 della Sentenza, nel quale si afferma: “Vero è che, nel contesto della direttiva 2008/48, la Corte ha dichiarato che l’effettiva portata del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita, qualora tale riduzione potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi qualificati dal creditore come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto. Inoltre, limitare la riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che al consumatore vengano imposti pagamenti una tantum più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il creditore potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, Lexitor, C‑383/18, EU:C:2019:702, punti 31 e 32)”.
In sostanza, ragioni di “protezione dei consumatori” e di coerenza sistematica inducono la Corte di Giustizia a riconfermare i principi stabiliti dalla Sentenza “Lexitor”, rendendo possibile (ma, si badi, solo possibile) al legislatore nazionale, nell’ambito dei mutui ipotecari, adottare una disciplina diversa che limiti la riduzione dei costi a quelli “recurring”, laddove invece, nel credito ai consumatori, tutti i costi, anche quelli “up front”, devono essere fatti oggetto di proporzionale riduzione.
E, sulla nozione di “costo totale del credito”, la Corte ha ricordato nuovamente che esso include “tutti i costi che il consumatore deve pagare a titolo del contratto di credito, di cui è a conoscenza il creditore. Tale disposizione esclude espressamente – come confermato dal considerando 50 della direttiva 2014/14 – soltanto le spese notarili, i costi di registrazione fondiaria per il trasferimento della proprietà del bene immobile, come i costi di registrazione catastale e le tasse associate, nonché le eventuali penali pagabili dal consumatore per l’inosservanza degli obblighi stabiliti nel contratto di credito.”.
La decisione in commento conferma pertanto l’interpretazione ormai pacifica secondo la quale i consumatori avranno diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi sostenuti in relazione al contratto di credito diverso da quello immobiliare, anche quando i contratti siano stati conclusi antecedentemente all’entrata in vigore della legge n. 106/2021.
Considerata tuttavia la specifica eccezione stabilita in relazione al credito immobiliare con la sentenza in commento, si pone il problema di interpretare la normativa Italiana afferente il credito immobiliare ai consumatori.
La Corte di Giustizia UE ha infatti stabilito che la Direttiva 2014/17 non osta ad una norma nazionale che escluda la rimborsabilità dei costi up-front nell’ambito del credito immobiliare, con la conseguenza che il principio di non rimborsabilità non opera in automatico, ma deve essere disciplinato dai singoli Stati membri ed in ogni caso sottoposto al controllo degli organi giurisdizionali interni.
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