Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 3 maggio 2022, n. 13969.
Massima redazionale
Come già statuito dalle Sezioni Unite Civili[1], la responsabilità della banca negoziatrice, nell’attività di identificazione nel legittimo portatore del titolo della persona che lo ha materialmente portato all’incasso, ha natura contrattuale (sub specie di «contatto qualificato») e segue i parametri della responsabilità per negligenza e colpa professionale, ex art. 1176, comma 2, c.c., con esclusione di ogni riferimento al canone della responsabilità oggettiva.
Siffatta responsabilità si riferisce specificamente a un obbligo professionale di protezione proprio dell’impresa, che viene a operare nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione sottostante, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso.
La banca negoziatrice chiamata a rispondere, ex art. 43, comma 2, L. A., del danno derivato (per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo) dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è, quindi, ammessa a provare che l’inadempimento non le sia imputabile, per aver assolto la propria obbligazione con la diligenza richiesta.
A tal riguardo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., che è norma “elastica”, da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli “standard” valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente. Nell’attribuire contenuto all’obbligo di diligenza professionale dell’istituto di credito, a cui sia presentato per l’incasso un assegno non trasferibile da parte di un soggetto risultato poi non legittimato, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la responsabilità della banca negoziatrice che abbia dimostrato di aver identificato il prenditore del titolo mediante il controllo del documento di identità non scaduto e privo di segni o altri indizi di falsità, in quanto la normativa vigente (e, in particolare, la normativa antiriciclaggio ex art. 19, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 231/2007) stabilisce modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela e non prevede il ricorso ad ogni possibile mezzo, né alcuna indagine presso il Comune di nascita[2].
Né rientra nei parametri di diligenza professionale in discorso la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a questa prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva; peraltro, una simile regola prudenziale di condotta non si rinviene neppure negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale[3].
La Corte territoriale, nel caso de quo, ha ritenuto che risultasse dimostrato che il pagamento fosse avvenuto a chi si presentava legittimato senza colpa della banca negoziatrice, dato che il personale di quest’ultima aveva identificato il prenditore (a mezzo della patente di guida e del codice fiscale, di cui non era tenuta a controllare l’autenticità), aveva versato l’importo dell’assegno su un libretto nominativo intestato allo stessa persona e aveva verificato, prima dell’incasso, la mancata inclusione del titolo nell’elenco degli assegni oggetto di furto. Simili valutazioni si ispirano ai parametri di diligenza professionale fissati dalla giurisprudenza di questa Corte in precedenza evocata.
[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 12477/2018.
[2] Cfr. Cass. n. 3649/2021.
[3] Cfr. Cass. n. 34107/2019.
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