Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 28 settembre 2021, n. 26242.
di Donato Giovenzana
Secondo la Suprema Corte, ai fini dell’azione revocatoria fallimentare, ciò che rileva è l’effetto solutorio dell’atto; il “pagamento” contemplato dalla dalla L.F., art. 67, comma 2, va necessariamente riferito alla data dell’effettivo incasso della somma di danaro a opera del prenditore, poiché è questo il momento in cui si verifica l’estinzione dell’obbligazione fonte di danno per la massa.
Trattandosi di revocatoria fallimentare di un pagamento, a venire in rilievo non può essere – come per contro ritiene la pronuncia della Corte territoriale – il momento in cui l’assegno viene a giuridica esistenza “come titolo di credito” e, dunque, come “mezzo di pagamento”. A rilevare è il tempo in cui l’assegno è stato messo all’incasso e così effettivamente riscossa la somma portata dal titolo: il momento, cioè, in cui si è effettivamente realizzata la funzione solutoria a cui lo stesso risulta destinato. In materia non può non rilevare il momento in cui si realizza lo spostamento patrimoniale dal debitore al creditore, con conseguente depauperamento del patrimonio del primo e arricchimento di quello del secondo. Che è proprio al verificarsi di tale depauperamento che lo strumento revocatorio intende porre rimedio.
Qui l’ordinanza.