Nota a Trib. Milano, Sez. VI, 11 novembre 2025.
Segnalazione a cura dell'Avv. Osvaldo Pettene.
Massima redazionale
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione integra mera pubblicità, che assolve a un ruolo analogo a quello di cui all’art. 1264 c.c.: di talché, non ha, quindi, un ruolo sostitutivo del contratto di cessione, né, tantomeno, vale a comprovante lo stesso. La cessione del credito è contratto a forma libera; tuttavia, ciò non vale a rendere ammissibile la prova testimoniale ex art. 2721 c.c., atteso il verosimile importo della cessione in contestazione, il fatto che il contratto intervenga tra due società di capitali e, soprattutto, la qualità della parte contraente cedente – i.e. la banca – circostanza che rendono del tutto implausibile non solo una stipulazione orale (di per sé punto irrilevante) bensì l’inopportunità di una prova testimoniale (né risulta che l’art. 2721 c. I c.c. sia stato abrogato). Se non può venire in rilievo una prova testimoniale, neppure può venire in rilievo una prova indiziaria (ripetutamente richiamata dalla parte convenuta opposta nella comparsa), ex art. 2729, comma 2, c.c. Nell’ambito di quest’ultima ricade anche la produzione, ormai di prassi, di una dichiarazione della cedente che afferma che il credito in contestazione era incluso nel contratto. Tale dichiarazione, essendo di provenienza di un terzo, solo a prezzo di contorsioni intellettuali alquanto implausibili può essere considerata una confessione (se presa sul serio, nel suo rimandare a un contratto di cessione, la stessa dovrebbe valere come prova anche del diritto al corrispettivo del cedente; quindi, in definitiva, avremmo un atto di un terzo, favorevole anche allo stesso in punto di diritto al corrispettivo. In buona sostanza, trattasi (se resa al di fuori del processo e da un terzo) al più di una testimonianza scritta (inammissibile sia perché scritta, sia ex art. 2721 c.c.), ovvero di una dichiarazione che può valere solo nei limiti dell’art. 1264, comma 1, c.c.
Nella specie, parte convenuta ha prodotto un unico documento contrattuale, che, pur tuttavia, non integri la prova richiesta, stante le ampie parti omesse all’interno dello stesso. Va premesso che il contratto in oggetto non rientra nell’ambito dell’art. 119 TUB, atteso che, riguardando un rapporto nella sua totalità, mal si presta a integrare il concetto di “operazioni” di cui al comma 4 della medesima disposizione, inerente tipicamente alle operazioni poste in essere dal cliente. Il contratto può essere prodotto in pdf, salvo esporsi a specifica contestazione di mancanza di conformità all’originale. Non richiede infine neppure la sottoscrizione delle parti; si è già evidenziato che si tratta di contratto che non richiede la forma scritta ad substantiam: essenziale e sufficiente è che la volontà delle parti si manifesti come appuntata in ordine a un medesimo regolamento, il che può avvenire anche solo per invio via e-mail. Non è invece sufficiente inoltrare un contratto con degli omissis, come nel caso di specie. Al di là dell’usuale copertura di eventuali nominati, resta il fatto che il contratto non può essere prodotto con significativi omissis, riguardanti per es. un’intera clausola. In questi casi, è evidente che possono venire in rilievo clausole che possono in tesi inficiare la validità o l’efficacia del contratto, la cui omissione preclude però il controllo sull’idoneità dello stesso a trasferire la titolarità del credito. Basti solo pensare all’oscuramento del prezzo di cessione: quid juris laddove integrasse una vendita nummo uno? Per il giudice meneghino non può che conseguirne l’accertamento dell’inesistenza di un valido titolo in capo alla SPV, in relazione al credito azionato.
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