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Nota a Trib. Milano, Sez. Impr., 6 maggio 2025.

di Alessio Buontempo

Associate presso Giovannelli e Associati

Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, ha affrontato un tema di primario interesse nel diritto societario: l’arbitrabilità delle controversie relative allo scioglimento delle società di capitali e i limiti della legittimazione del socio nell’agire in nome della società.

Il giudizio trae origine da una controversia insorta all’interno di una società a responsabilità limitata immobiliare, avente come unico cespite patrimoniale una villa composta da più unità immobiliari. Nel corso degli anni, i soci e le rispettive famiglie avevano utilizzato stabilmente porzioni dell’immobile, senza corrispondere alcun corrispettivo.

Uno dei soci conveniva in giudizio gli altri, lamentando l’utilizzo gratuito di tale bene sociale, condotte ostruzionistiche dell’amministratore unico e la paralisi della vita societaria. A suo dire, era ravvisabile l’impossibilità del conseguimento dell’oggetto sociale e del funzionamento dell’assemblea, integrando una causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 c.c. e dello statuto. Di qui le richieste di: accertamento delle cause di scioglimento, messa in liquidazione con nomina di un liquidatore, rilascio dell’immobile e condanna dei convenuti al pagamento di un’indennità annua.

I convenuti hanno contestato tali pretese, sollevando l’eccezione di incompetenza del Tribunale per la presenza di clausola compromissoria statutaria e, in subordine, eccependo il difetto di legittimazione dell’attore con riferimento al rilascio dell’immobile.

 

La questione di diritto: arbitrabilità dello scioglimento di società di capitali

Il primo profilo esaminato dal Collegio riguarda la competenza a conoscere della domanda di scioglimento. L’attore sosteneva che la questione attinente allo scioglimento della società fosse sottratta all’arbitrato, trattandosi di diritti indisponibili. A sostegno richiamava un orientamento risalente della Cassazione (Cass. n. 12412/2000).

Il Tribunale, però, ha aderito a un indirizzo giurisprudenziale più recente (cfr. Cass. nn. 24153/2013; 25931/2014), secondo cui le controversie relative allo scioglimento delle società sono compromettibili in arbitri. La decisione si fonda su una serie di argomenti:

  • Disponibilità della causa di scioglimento:lo scioglimento può essere deliberato direttamente dai soci (art. 2484, n. 6, c.c.) e le altre ipotesi contemplate dalla legge possono essere superate con opportune delibere assembleari (ad esempio proroga della durata sociale, ricostituzione del capitale, modifica dell’oggetto sociale). Se i soci hanno il potere di sciogliere o proseguire la società, allora la relativa situazione giuridica non può essere qualificata come “indisponibile”.
  • Assenza di un interesse pubblico generale alla sopravvivenza della società:secondo il Collegio, non esiste nell’ordinamento un “diritto all’esistenza” della singola società di capitali. L’interesse sociale si identifica con quello dei soci e non gode di tutela autonoma rispetto alla loro volontà. Anche i creditori, pur protetti dalla disciplina della liquidazione, non sono legittimati ad agire per lo scioglimento.
  • Allineamento con la disciplina positiva:la possibilità di introdurre ulteriori cause di scioglimento nello statuto (art. 2484, co. 1, n. 7, c.c.) e di revocare lo stato di liquidazione (art. 2487-ter c.c.) conferma che la materia è affidata alla disponibilità dei soci. Se lo statuto può attribuire ad un organo sociale la competenza a verificare tali cause, a maggior ragione la clausola compromissoria può deferire la controversia agli arbitri.
  • Criterio dell’indisponibilità dei diritti:il Tribunale richiama la più recente elaborazione della Cassazione in tema di arbitrabilità, secondo cui sono indisponibili solo i diritti che coinvolgono interessi di terzi o dell’ordinamento e che richiedono la reazione officiosa del giudice. Poiché nello scioglimento non vi è tale esigenza, l’istituto ricade nella disponibilità dei soci.

Conseguentemente, la domanda di accertamento delle cause di scioglimento è stata dichiarata di competenza arbitrale.

 

La nomina del liquidatore: inammissibilità della domanda

Quanto alla richiesta di nomina di un liquidatore, il Tribunale ha distinto. Se l’accertamento delle cause di scioglimento è arbitrabile, la nomina del liquidatore non può essere né devoluta agli arbitri né al giudice ordinario in sede contenziosa. Tale materia, infatti, appartiene alla volontaria giurisdizione (art. 2487, co. 2, c.c.). Ne consegue l’inammissibilità della domanda attorea, trattandosi di provvedimento costitutivo non previsto dal sistema del giudizio ordinario.

La pronuncia chiarisce così che il giudice ordinario non può sostituirsi all’assemblea nella nomina degli organi sociali, salvo ipotesi espressamente disciplinate dalla legge.

Rilascio dell’immobile e indennità: difetto di legittimazione

Il Tribunale ha rigettato anche la domanda di rilascio dell’immobile e di corresponsione dell’indennità. Secondo il Collegio, tali diritti appartengono alla società, unica titolare della proprietà dell’immobile, e non al singolo socio. L’attore non aveva quindi la legittimazione a farli valere in giudizio.

La decisione si inserisce in un orientamento costante che distingue nettamente tra le azioni spettanti alla società e quelle eventualmente esercitabili dal socio. Quest’ultimo può certamente agire a tutela dei propri diritti individuali (ad esempio per danni diretti derivanti da comportamenti degli amministratori ex art. 2395 c.c. e, in materia di s.r.l., ex art. 2476 c.c.), ma non può appropriarsi di pretese patrimoniali spettanti alla società.

Il godimento di un bene sociale – quale l’immobile oggetto di causa – riguarda infatti direttamente la sfera patrimoniale dell’ente, ed è quindi la società, tramite i suoi organi, l’unico soggetto legittimato a richiederne la restituzione o un corrispettivo economico. Ammettere un’azione individuale del socio equivarrebbe ad attribuirgli un potere sostitutivo rispetto agli organi sociali, in contrasto con il principio di autonomia della persona giuridica e con la separazione tra patrimonio sociale e patrimonio dei singoli partecipanti.

Il Tribunale ha così ribadito che, in mancanza di strumenti processuali ad hoc (come l’azione sociale di responsabilità, azionabile anche da minoranza qualificata di soci), non è consentito al singolo socio agire direttamente per ottenere utilità economiche spettanti alla società. Ne discende la declaratoria di rigetto per difetto di legittimazione attiva.

Questa parte della sentenza ribadisce un principio consolidato: il socio, pur potendo agire a tutela di diritti individuali o collettivi ex artt. 2395 e 2476 c.c., non può sostituirsi alla società nell’esercizio di azioni che spettano esclusivamente all’ente.

 

La decisione

Il Tribunale di Milano ha dunque: 1. dichiarato la propria incompetenza a decidere la domanda di scioglimento, devoluta agli arbitri; 2. dichiarato inammissibile la domanda di nomina del liquidatore; 3. rigettato le altre domande attoree; 4. condannato l’attore, soccombente, a rifondere ai convenuti le spese di lite.

 

Considerazioni conclusive

La sentenza si segnala per almeno tre profili: 1. il Tribunale conferma che le cause di scioglimento rientrano tra i diritti disponibili e sono quindi compromettibili in arbitri, in linea con l’evoluzione giurisprudenziale più recente; 2. viene riaffermato che essa non può essere oggetto di sentenza costitutiva in sede contenziosa, essendo disciplinata dalla legge come provvedimento di volontaria giurisdizione; 3. si ribadisce il limite della legittimazione individuale del socio, che non può sostituirsi alla società nell’agire per la gestione del patrimonio sociale.

In definitiva, la pronuncia valorizza il ruolo dell’autonomia privata e della volontà dei soci, ponendo un argine alle pretese individuali volte a strumentalizzare il processo per risolvere conflitti endosocietari. Al tempo stesso, essa contribuisce a chiarire la ripartizione di competenze tra arbitri e giudice ordinario, tracciando una linea di confine che appare coerente con il sistema e con le esigenze di certezza in materia societaria.

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