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«Il processo penale è, nella sua natura più intima, uno spettacolo teatrale.»

Il processo penale è, nella sua natura più intima, uno spettacolo teatrale, nel quale ciascuna delle parti, sul proscenio della giustizia, interpreta il proprio copione scenico.

Questo pamphlet, tra Sciascia e Pasolini, è una sorta di libretto d’opera, che spiega al lettore, da una prospettiva privilegiata, gli accadimenti di scena.

I fatti sono noti, quelli che hanno caratterizzato la più nota stagione giudiziaria italiana, al punto da diventarne per antonomasia riferimento ed entrare, finanche, nel linguaggio comune: Mani pulite.

Si va dal 23 luglio 2023 al 28 aprile 2024, in meno di un anno si celebra, forse, più correttamente, si inscena il processo a Sergio Cusani, una comparsa minore, che, suo malgrado, la macchina processuale, “quel congegno indiavolato di stantuffi e pulegge” nella visione novellistica pirandelliana, trasforma nell’attore protagonista. Il processo, già ritualità, delle volte involuta, diventa passerella, sulla quale, col pretesto di una giustizia sensazionalistica, sfilò gran parte dell’allora potere politico. Una sorta di passaggio sotto le forche caudine del nuovo potere capitalistico, transnazionale, che non abbisognava più di quell’equilibrio tra pubblico e privato, accomodato dall’intermediazione partitica.

La sentenza, nella sua formale solennità, arriva già scritta. Non vi è attesa per il verdetto, che si conosceva già dal prologo della vicenda.
Il sipario cala silente su una intera stagione italiana, dopo aver saziato quella fame rabbiosa di vendetta e di rivendicazione contro il sistema costituito.

Il Goya in copertina è la migliore rappresentazione di quello che il librino vuole raccontare: l’uso atipico della giustizia, che fa credere, per qualche, breve stagione, al popolo suddito di poter sovvertire i ruoli, diventando dominatore.

Di fatto, nella Spagna di Ferdinando VII e nell’Italia dei primi anni Novanta, si è assistito a una caccia alle streghe.
Poco importa che nell’un caso le fattucchiere fossero credenze e, nell’altro, tangenti.

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