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«Dissacrante.»

José Saramago, con il suo inconfondibile periodare incalzante, che fagocita la punteggiatura, dissacra tutte le incongruenze, a una a una, della nostra società, alle prese, improvvisamente, con la più curiosa e, al tempo stesso, anelata delle assenze: quella della morte.

La morte, quella “m” minuscola, competente solo degli esseri umani, decide di prendersi una meritata pausa, gettando nel più cupo sconforto tutte le istituzioni, civili, politiche, religiose, assistenziali, che sulla chimera della immortalità fondano il proprio core business. La Chiesa, che deve reinventarsi coi propri fedeli, non più sotto il metus di doversi conquistare la vita eterna; il welfare state, declinato tra dimore del felice occaso, in overbooking peggio di una low cost dei giorni nostri, e compagnie assicurative, che brevettano una morte attuarile, per la quadratura delle polizze; la politica, che deve scendere a patti con la “maphia”, per gestire una sovrappopolazione inaspettata; le agenzie funebri, per la prima volta nella storia senza materia prima. Da ultimo, ma non per ultimo, le famiglie con un moribondo a carico, freezato lui, tra la vita e la dipartita, e loro, tra il commiato per una perdita destinata a non realizzarsi e la frustrazione per una esistenza vegetativa indirizzata a trascinarsi nel tempo.

Saramago, insomma, ne ha per tutti, nessuno escluso, compresa la stessa morte, che torna in attività, dopo la pausa sabbatica, introducendo un cordiale preavviso di dipartita: 7 giorni, per prepararsi al meglio, salutare i propri cari, sistemare le questioni in sospeso.

Finché il meccanismo non si inceppa, quando tocca a un violoncellista, un orchestrale con qualche assolo un quisque de populo, l’uomo della porta accanto, anonimo, come la sua esistenza, senza eccessi e senza amore.

Una vita come tante. E la morte deve agire in prima persona, per risolvere l’anomalia, ora che tutto è tornato alla normalità.

Senza mettere in conto di poter essere scherzata anche lei, donna giovane e seducente, dalla sottile e sagace ironia dell’Autore.

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